Lunedì 27 luglio 2015
P. Carmelo Casile, missionario comboniano, riflette su “L’universale vocazione alla santità nella Chiesa e la vita consacrata nell'insegnamento del Concilio Vaticano II” alla luce dell’Anno della vita consacra. “Farsi religioso vuol dire corrispondere alla vocazione universale alla santità. C’è, infatti, una santità unica per tutti i cristiani; ‘l’indiviso corde’ nell’amare Dio vale per tutti (LG 42); tra i religiosi e i non religiosi c’è solo la differenza del ‘più’ nella modalità della pratica degli impegni battesimali”, scrive P. Carmelo.

 

P. Carmelo Casile,
missionario comboniano.


 

Risvegliare la memoria del Concilio Vat. II
per attualizzarne la dottrina nel nostro oggi

 

L’universale vocazione alla santità nella Chiesa
e la vita consacrata
nell'insegnamento del Concilio Vaticano II


Nella Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della vita consacrata, Papa Francesco pone tra gli obiettivi quello di ringraziare Dio “in modo particolare per questi ultimi 50 anni seguiti al Concilio Vaticano II, che ha rappresentato una "ventata" di Spirito Santo per tutta la Chiesa. Grazie ad esso la vita consacrata ha attuato un fecondo cammino di rinnovamento che, con le sue luci e le sue ombre, è stato un tempo di grazia, segnato dalla presenza dello Spirito”. In questo contesto, per coinvolgerci in profondità nel pensiero del Papa, ci è di aiuto richiamare alla memoria la dottrina del Concilio Vat. II, che ha dato la spinta al cammino di rinnovamento della Vita Consacrata.

Per cogliere l’impatto dell’insegnamento conciliare sulla Vita Consacrata, è necessario tenere ben presente il fatto che all’epoca del Concilio c’era una convinzione che si andava estendendo sempre più, secondo la quale la pratica dei consigli evangelici non è un monopolio dei Religiosi e, perciò, possono e devono essere praticati da tutti i membri della Chiesa e a volte con più intensità che nello stesso “convento” o nella comunità religiosa.

Per entrare nel vivo di questa convinzione, è di primaria importanza sapere come si arrivò alla redazione finale della dottrina sulla Vita Consacrata. La commissione conciliare della LG in un primo momento voleva trattare in un solo capitolo tutto ciò che riguarda la “vocazione universale dei battezzati alla santità” e i “religiosi”, realizzatori più vivi di questa vocazione. La finalità che si voleva raggiungere seguendo questo metodo, era proprio quella di mettere in evidenza l’unione profonda esistente tra la vocazione cristiana e la vocazione religiosa. Ma il progetto non fu realizzato: visto che la Gerarchia ha avuto il suo capitolo, che anche il laicato ha avuto il suo, sarebbe stato duro per i religiosi non avere anch’essi il loro capitolo

È nato così il Capitolo VI della Lumen Gentium, che in realtà è un complemento del Cap. V; per questo è impossibile comprenderlo fuori del contesto del Cap. V.

Infatti la vera introduzione al Cap. VI è contenuta nel n. 39, primo numero del Cap. V. E l’ultimo numero di questo Capitolo (LG 42) presenta già la dottrina sui consigli evangelici.

Entrare nella vita religiosa, per tanto, significa voler corrispondere in modo radicale alle esigenze del Battesimo e della Cresima. Sta qui la grande funzione e la grande responsabilità dei religiosi nella grande Famiglia di Dio: stimolare tutti i battezzati nel loro impegno di santità nella vita cristiana attraverso la radicalità della sequela di Cristo.

È evidente, per tanto, l’intenzione del Concilio di presentare la Vita Religiosa come dinamizzazione e in funzione della comune vocazione battesimale. Ogni membro della Chiesa è chiamato alla santità. La condizione battesimale è fin dal principio uno stato di perfezione che il cristiano è chiamato a conseguire. Ogni stato di vita nella Chiesa è stato di perfezione e di impegno verso la conquista della santità, che è esigenza inalienabile del Battesimo e consiste nel camminare verso la perfezione della carità, così come è presentata nel Vangelo, nella sua duplice direzione di amore filiale verso Dio e di amore fraterno verso il prossimo, realizzabile attraverso la morte a se stesso, l’unione e l’imitazione della carità di Cristo, crocifisso e risorto, sotto l’influsso della grazia del suo Spirito Santo.

Lo Stato religioso quindi ha la sua origine nei sacramenti fondamentali che costituiscono il cristiano membro effettivo della Chiesa: il Battesimo e la Confermazione. Farsi religioso vuol dire corrispondere alla vocazione universale alla santità. C’è, infatti, una santità unica per tutti i cristiani; “l’indiviso corde” nell’amare Dio vale per tutti (LG 42); tra i religiosi e i non religiosi c’è solo la differenza del “più” nella modalità della pratica degli impegni battesimali.

Appare chiaro, per tanto, che il Concilio fondamentalmente ci presenta il religioso impegnato nell’amore a Dio e intimamente coinvolto nella vita e nella missione della Chiesa. Dio sommamente amato per se stesso e nel prossimo è il polo unico, verso il quale il religioso deve orientare tutte le sue energie e sforzo spirituale. E tutto ciò avviene nella Chiesa ed in essa costituisce un segno peculiare.

1. La consacrazione nella vita della chiesa dalla Consacrazione battesimale alla Vita Consacrata

Il Concilio Vat. II, nella Lumen Gentium, dopo aver descritto la Chiesa nel suo mistero (Popolo di Dio e Corpo di Cristo, capp. I-II) e nella sua struttura (gerarchia e laici, capp. III?IV), tratta della sua vita dinamica di fede e carità, tesa verso la santità (capp. V?VI), e infine di speranza, tesa verso le realtà definitive (capp. VII?VIII).

Nella terza tappa della sua riflessione ecclesiologica, cioè nei Capitoli V e VI, tratta dei Religiosi: li vede occupare un posto particolare in quel movimento di santità battesimale che anima tutta la Chiesa. Per cogliere il significato della Vita Consacrata, occorre mantenere strettamente uniti questi due Capitoli, che all'inizio formavano un unico Capitolo; la Vita Consacrata, infatti, è un certo modo di amare Dio e i fratelli, che costituisce la legge fondamentale dell'unica santità dei battezzati.

Inoltre, per cogliere nella sua globalità la dottrina conciliare sulla Vita Consacrata, è importante tener presenti alcuni accenni che si trovano nei Capitoli precedenti.

Innanzi tutto nel n. 28b si afferma che “tutto quanto fu detto del Popolo di Dio è ugualmente diretto ai laici, ai religiosi e al clero”. Questa affermazione ci rimanda al Cap. II della LG sul “Popolo di Dio”, che parla dell’unità di tutta la Chiesa prima di parlare delle differenziazioni gerarchiche, e mette come fondamento dell’unità della Chiesa “il sacerdozio comune dei fedeli”, cioè la consacrazione battesimale.

Il Popolo della Nuova Alleanza, acquistato a prezzo del sangue dell’Agnello (cfr. Ap 1,6; 5,9), è il Popolo-Famglia di figli, popolo di consacrati, tutti fatti Sacerdoti, Re e Profeti: “Infatti in virtù della rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce (cfr. 1Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna (cfr. 1Pt 3,15)”.

1.1 La Vita Consacrata, una vocazione per la Chiesa e il mondo

La consacrazione del Popolo di Dio sfocia quindi nel carattere missionario della Chiesa, la quale “memore del comando del Signore che dice: «Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), promuove con ogni cura le missioni” (LG 16). Per questo, “ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di spargere, quanto gli è possibile, la fede” (LG 17).

Si profila cosi la figura del battezzato come discepolo missionario ed emerge il tema della consacrazione per la missione: un tema biblico-telogico, sul quale poi la LG nei Cap. V e VI offre una dottrina teologica, spirituale e missionaria sulla Vita Consacrata. Mette così in luce che la missione radica e quindi fiorisce dal cuore stesso della Vita Consacrata.

Ma già nel n. 13c viene messo in evidenza il ruolo globale dei religiosi nel Popolo di Dio, affermando che i religiosi ”tendendo alla santità per una via più stretta, sono di stimolo ai fratelli con il loro esempio”; e nel n. 31b sottolineando i ruoli complementari dei laici, dei religiosi e del clero, dei religiosi si dice che “col loro stato testimoniano in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini”.

“La vita religiosa” viene così agganciata al Cap. II sul Popolo di Dio, popolo “consacrato” a Dio, cioè popolo composto da donne e uomini nuovi, unti dallo Spirito Santo nel Battesimo e segnati dalla maggiore età nella Confermazione, con una missione da compiere nel mondo e per il mondo. Così nell’espressione “vita religiosa” l’aggettivo “religiosa” viene integrato con il tema della “consacrazione” e si comincia a parlare di “vita consacrata”, per sottolineare che la vita religiosa non può essere intesa come un’opera autonoma dell’uomo, ma nasce dall’iniziativa divina sotto l’azione dello Spirito Santo, e per ribadire che in un primo momento la “vita religiosa” è semplicemente vita cristiana, cioè vita consacrata in virtù del Battesimo. Tutti i cristiani, infatti, sono morti mediante la fede al mondo vecchio; tutti hanno ricevuto nel Battesimo il dono dello Spirito, che li sigilla conformandoli a Cristo Gesù. Per questo i religiosi sono anzitutto persone semplicemente impegnate a vivere come cristiani, consapevoli che sono consacrati con tutti i cristiani del mondo, con essi condividono l’“universale vocazione alla santità e alla missione” e sono quindi chiamati alla pienezza della vita cristiana mediante il raggiungimento della perfezione della carità[1].

In questa prospettiva il n. 39 del Capitolo V della LG indica, come strada privilegiata della santità cristiana, la pratica dei “consigli evangelici”, assunti “sia privatamente sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa”. Così viene introdotto già il tema della Vita Consacra nell’ampio contesto dell’«Universale vocazione alla santità nella Chiesa» (LG 39-42).

Il n. 42 dettaglia questa prospettiva: partendo dalla teologia della carità, mette in rilievo le “vie o mezzi” speciali di santità: il martirio, la verginità o il celibato volontario, la povertà volontaria e “l’obbedienza a un altro a causa di Dio”. I “consigli” qui sono considerati in se stessi e ancora fuori di uno stato di vita ufficiale, e aprono quindi il cammino verso il superamento della funzionalità dei voti in favore del loro dinamismo teologale.

Viene così specificato che, pur essendo una sola, la Consacrazione cristiana ha diverse forme di realizzazione e quindi diverse forme di manifestarsi, che costituiscono la Vita Consacrata: dal martirio ai consigli evangelici praticati nelle diverse forme di Vita Consacrata fino alla Vita Religiosa, cioè la Vita Consacrata vissuta mediante la professione pubblica dei tre voti secondo le Costituzioni di una Famiglia religiosa; dallo stato sacerdotale a quello laicale e coniugale.

C’è da notare tuttavia che il primato assoluto dell’iniziativa divina nella Vita consacrata non elimina la collaborazione dell’uomo, che è ugualmente necessaria e diviene effettiva per mezzo della vita ascetica. Infatti, essendo l’uomo intelligenza e libertà, non esiste la consacrazione particolare, se essa non chiama in causa l’intelligenza e la libertà dell’uomo. Il risultato è che l’uomo possiede Dio nello stesso tempo in cui si trova posseduto da Lui e destinato a fare della sua vita un atto di culto e di servizio al Signore.

La collaborazione dell’uomo nella Vita Consacrata si basa nell’esercizio della virtù della religione, per mezzo della quale la creatura umana tende a Dio e gli dà l’omaggio interno ed esterno, che gli è dovuto in quanto è suo Principio e suo Fine. Quando nel parlare o nel vissuto della consacrazione si mette l’accento sull’esercizio della virtù della religione, allora la Vita consacrata riceve l’aggettivo “religiosa” e diviene Vita consacrata religiosa o semplicemente Vita Religiosa, in quanto costituisce un esercizio eminente, ufficiale e permanente della virtù della religione come risposta al dono della consacrazione nella Chiesa.

La consacrazione allora designa uno stato di vita, cioè una nuova “forma stabile di vita”, in cui il soggetto si viene a trovare, proprio in conseguenza della consacrazione ricevuta e professata con vincoli pubblici definitivi. Per questo nel linguaggio tradizionale il termine «Religione» designa un Ordine o Congregazione (“entrare in Religione”) e la parola «Religioso» designa i suoi membri.

Ai “Religiosi” la LG dedica il Cap. VI (33-35). Si tratta qui solo dei religiosi che s'impegnano irrevocabilmente verso Dio con la professione perpetua. La loro vita viene caratterizzata con gli elementi seguenti:

— pratica dei tre consigli in quanto “liberatori” di un'intensa carità;

— pratica “professata” con voti o impegni simili definitivi;

— in una nuova “forma stabile di vita”,

— pubblicamente riconosciuta e regolata dalla Chiesa gerarchica.

Per tanto, il termine “Vita religiosa” o “Religiosi” comprende in concreto tutti coloro che professano i tre consigli evangelici con voti o “con altri sacri legami”, quindi anche i membri delle società di vita apostolica e persino quelli degli istituti secolari.

Va tenuto presente che la dottrina della LG sulla Vita religiosa riceve ancora arricchimenti dottrinali di grande valore nel Decreto Perfectae Caritatis sul Rinnovamento adeguato della vita religiosa, specialmente nei nn. 1 e 5.

2. L’universale vocazione alla santità nella Chiesa e la pratica dei consigli evangelici nei vari stati di vita

È un fatto che la vera introduzione al Cap. VI dedicato ai “Religiosi” è contenuta nel n. 39, primo numero del Cap. V, dedicato alla “universale vocazione alla santità nella Chiesa”, che consiste nel tendere alla perfezione della carità (LG 40b).

Nel numero 39, infatti, si dice che la santità nella Chiesa deriva dall’amore di Cristo unitamente ai doni dello Spirito Santo e si esprime in “varie forme”. Una di queste forme particolarmente evidente è la pratica dei cosiddetti consigli evangelici, costituiti dalla tradizionale triade di povertà, castità perfetta (celibato) e obbedienza. L’ultimo numero poi dello stesso Capitolo V, il 42, introduce l’esposizione teologale dei tre consigli evangelici, mettendo come fondamento il primo paragrafo totalmente dedicato alla teologia della carità, che riguarda tutti i battezzati.

Da qui è nata nella Chiesa la convinzione sempre più estesa che la pratica dei consigli evangelici non è un monopolio della Vita Consacrata e, perciò, possono e devono essere praticati da tutti i membri della Chiesa e a volte con più intensità che nello stesso “convento” o nella comunità religiosa.

A questo riguardo è sintomatico il fatto che il Concilio Vat. II dà la definizione della Vita Consacrata secondo i consigli evangelici nel Capitolo V della Lumen Gentium, dedicato alla «universale vocazione alla santità nella Chiesa», che consiste nel tendere alla perfezione della carità (LG 39; 40b).

In effetti, il raggiungimento della perfezione della carità mediante la pratica dei consigli evangelici nelle varie situazioni di vita, è proposto come la meta più alta per tutti i membri della Chiesa. Ogni cristiano deve tendere alla santità cercando di tradurre lo spirito dei consigli evangelici nella sua vita concreta e, se le circostanze lo esigono, deve abbandonare tutto, anche la propria vita, per unirsi a Cristo (LG 39; 42c-e).

Solo dopo aver indicato, nel Cap. V, questo altissimo ideale di vita per tutti i cristiani, il Concilio nel Cap. VI, dedicato ai Religiosi, passa a esporre la dottrina sulla la pratica effettiva o radicale dei consigli evangelici mediante la professione religiosa, alla quale sono chiamati da Dio alcuni cristiani sia dallo stato dei chierici, sia dallo stato dei laici (LG 43b).

Per tanto, secondo la dottrina del Concilio la pratica dei consigli evangelici nella Chiesa è una metà comune, che si può e si deve vivere in forme diverse secondo le distinte situazioni o stati di vita e che la Vita Religiosa è una realizzazione “peculiare” di questo impegno comune di santità.

Il Concilio è attento a questa pianificazione della vita cristiana nel momento di delineare il profilo spirituale e il piano di vita delle diverse categorie di fedeli.

2.1 Profilo spirituale del missionario

Questo modo di procedere è molto chiaro nel “Decreto sull’attività missionaria della Chiesa” (AG), quando tratta dei Missionari nei nn. 23?27 del Cap. IV, dove espone la specificità della vocazione missionaria, la spiritualità e la formazione del missionario, e riconosce la necessità assoluta degli Istituti Missionari, che in grande maggioranza sono Istituti Religiosi.

Il Decreto “Ad Gentes” è uno degli ultimi documenti elaborati dal Concilio e riflette in sintesi la più alta quota della teologia conciliare. L’impostazione adottata per la teologia della missione supera una prospettiva strettamente missionologica per trasformarsi in teologia fondamentale della missione della Chiesa e della evangelizzazione. La prospettiva è profondamente trinitaria e chiaramente dinamica, in chiave di Storia di Salvezza.

Come il dovere di tendere alla santità, anche il dovere dell’attività missionaria incombe a tutto il popolo di Dio, cominciando dai vescovi e passando alle comunità cristiane, alle quali il Concilio ricorda che il loro rinnovamento globale è vincolato al loro rinnovamento missionario. Seguendo la logica dell’«universale vocazione alla santità» (LG 39-42), il Concilio sottolinea che il primo dovere missionario non è relazionarsi con le missioni, cioè con l’attività missionaria, ma vivere profondamente la vita cristiana (AG 23-25; 36b).

In questa ottica, la Vita consacrata (religiosa) è particolarmente significativa e decisiva, giacché essa è un modo radicale di approfondimento della vita cristiana (LG 44a; PC 5a), e mediante la professione pubblica dei consigli evangelici appare come un segno, una parabola in atto, che può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana (LG 17; 44c). E per mezzo di essa, la Chiesa può presentare meglio Cristo ai fedeli e agli infedeli (LG 46a).

2.2 Il profilo spirituale del presbitero

Il Concilio si mantiene fedele alla stessa logica. Così quando, nel n. 3 del “Decreto sul ministero dei presbiteri” (PO), descrive il profilo spirituale del presbitero in rapporto al Popolo di Dio, prende come punto di partenza la sua vita consacrata.

Mette, infatti, in rapporto la consacrazione, in virtù della quale i presbiteri “sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio”, e “l’opera per la quale li ha assunti il Signore”. Per questo il presbitero viene invitato a non conformarsi al mondo ma nello stesso tempo a vivere in mezzo agli altri uomini come fratello in mezzo ai fratelli.

I presbiteri, per tanto, sono capaci di “consacrarsi interamente all’opera per la quale li ha assunti il Signore” nella misura in cui imparano a coniugare nella loro vita le esigenze della consacrazione con quelle del loro stesso ministero.

In questa prospettiva, il presbitero, in virtù della sua consacrazione è chiamato a “esser-fuori” del popolo, sull’Oreb, la montagna del grande incontro con il Signore che è nel “deserto”. Lì il Signore che lo ha assunto, gli va rivelando il suo piano riguardo al popolo che gli ha affidato e lo invita a lavorare perché lo stesso popolo arrivi alla conoscenza di questo piano, lo accetti e lo integri nella sua vita, ricavandone opzioni di vita corrispondenti. Lì sperimenta l’amore salvifico del Signore per se stesso e per il suo popolo. Questa esperienza religiosa lo porta ad accettare e a raggiungere quella robustezza morale necessaria, per affrontare le grandi prove che il suo ministero comporta. La sua lealtà a Dio, infatti, lo metterà non poche volte in conflitto con gli uomini come è successo allo stesso suo Maestro e Signore.

Nello stesso tempo, il presbitero, in virtù del suo ministero, è chiamato a “esser-dentro” la situazione del suo popolo, deve lasciare che la vita del suo popolo tocchi profondamente il suo cuore di pastore. La sua partecipazione appassionata nella vita e nella sorte dei suoi fratelli costituisce un elemento fondamentale della sua vita di “ministro di Cristo”.

Questo “essere-dentro” la situazione del popolo e questo “essere-fuori” dal popolo nell’orbita della trascendenza divina, rendono il presbitero capace di servire gli uomini e sostenerli nel travaglio del “passaggio pasquale”, cioè dal peccato, dalla violenza, dall’ingiustizia, dall’egoismo alla piena comunione con Dio Padre e tra gli uomini. Togliendo uno dei due aspetti, si toglie anche la possibilità del “passaggio pasquale”.

“Trascendenza” e “incarnazione” o “esperienza mistica” e“inserzione”: sono due dimensioni che quanto più sono vissute in mutua relazione tanto più abilitano l’eletto da Dio (= il presbitero) a compiere il compito che gli è stato affidato.

Siamo qui di fronte allo stesso Mistero della persona di Cristo: Figlio di Dio (= trascendenza, esperienza mistica o profonda di Dio => essere-fuori), Uomo (= incarnazione, inserzione => essere-dentro), tanto “dentro” e tanto “fuori” della situazione del popolo al quale è inviato che proprio per questo fatto è autore della “Pasqua” definitiva.

Se si sbiadisce la presenza di Gesù Cristo come dono del Padre (= consacrazione, esperienza mistica) nella vita del presbitero, il suo ministero si trasforma in semplice frutto della nostra terra (= incarnazione-inserzione come pura strategia umana).

A questo riguardo è emblematico il fatto che Mosè fu sottoposto alla stessa tentazione, quando il popolo chiedeva gli “dei” per essere “come” gli altri popoli, ma egli rispose bruciando il vitello d’oro.

È chiaro che colui che sbiadisce il dono della consacrazione e non è disposto ad affrontare la grande fatica della preghiera, rimane fuori del significato della sua vocazione presbiterale. Finirebbe per identificarsi con il vitello d’oro, perdendo così il senso della sua missione, che consiste nel rivelare il piano di Dio al popolo e accompagnarlo nella sua realizzazione.

Per mantenere vivo il senso della consacrazione e progredire nel suo cammino di santità, il Concilio propone al presbitero la pratica dei consigli evangelici (PO 15 - 17). La vita in fraternità e armonia tra i presbiteri, che completa la pratica dei consigli evangelici, è raccomandata ai nei numeri 8 e 14.

Il numero 14 è particolarmente significativo, perché affronta il problema dell’unità di vita del presbitero. Egli deve alimentare la sua vita spirituale per mezzo del ministero sacerdotale e della preghiera. Non è difficile notare la somiglianza di questo numero con il numero 8 del PC, che parla dei religiosi dediti alla vita apostolica. Questi realizzano la loro unità di vita quando la loro vita religiosa è compenetrata di spirito apostolico e quando tutta la loro azione apostolica è animata da spirito religioso e procede dall’intima unione con Cristo, con la quale viene alimentata la carità stessa verso Dio e verso il prossimo.

Di fatto molti sacerdoti secolari stanno cercando forme di vita comunitaria, vivificata dalla pratica dei consigli evangelici nello spirito della Vita consacrata. Il P. Andrè Manaranche nel suo libro «Come gli Apostoli» (Queriniana 1971), meditando sulla Bibbia e sul Concilio, delinea la figura del prete nelle sue prospettive fondamentali nel contesto sociologico postconciliare, e sottolinea come la vitalità del presbitero, se vuole trovare la sua autenticità, deve ispirarsi nella vita del gruppo apostolico, cioè nella vita dei Dodici con Gesù, prolungando così nel mondo la missione degli apostoli seguendo Gesù vergine, povero e obbediente in comunità fraterna: si tratta di essere sacerdote alla maniera degli Apostoli, cioè stando con il Signore (= vita centrata in Cristo), e inviato da Lui al mondo, condividendo il suo destino (= vita totalmente donata per gli uomini). E ciò costituisce il cuore della Vita consacrata religiosa, anche se in essa la dedizione totale per gli uomini si può incarnare in una gamma più ampia di cammini.

Questa impostazione, chiamata «apostolica vivendi forma», è ripresa e sviluppata nella Esortazione apostolica «Pastores dabo vobis» (1992): partendo dal fatto che Gesù affida ai Dodici la sua missione, n. 14, traccia il profilo spirituale del Sacerdote sottolineando che è chiamato a «vivere al seguito di Cristo come gli Apostoli», n. 42, a conformarsi a Gesù Cristo Capo e Pastore, vivendo un’esistenza all’insegna del radicalismo evangelico, che trova la sua espressione concreta nella pratica dei consigli evangelici, nn. 27-30.

La «apostolica vivendi forma» appare due anni dopo nell’Esortazione apostolica «Vita Consacrata» (1996), la quale riconosce le radici della Vita consacrata nella figura biblica del gruppo dei Dodici, ai quali Gesù propone il suo stesso programma di vita: 1; 14a; 18; 22a; 41a; 93b; 94a.

La ragione di questo orientamento è la centralità della pratica dei consigli evangelici nel cammino di santità, alla quale sono chiamati tutti i cristiani e la cui realizzazione più espressiva si dà nella Professione religiosa.

Questa centralità, proclamata nella dottrina conciliare e nel successivo magistero della Chiesa, ci permette di scoprire il nesso necessario tra il servizio missionario o pastorale e la vita cristiana profondamente vissuta (AG 36b; PO 15-17), e che quindi è possibile una compenetrazione tra vita missionaria specifica e vita consacrata religiosa. Da questa compenetrazione nasce la Vita consacrata missionaria religiosa, come radicalismo della consacrazione battesimale, che è nello stesso tempo impegno di santità e di azione missionaria nella Chiesa per il mondo.

2.3 Il profilo spirituale del laico

Il Concilio traccia il profilo spirituale dei laici nel n. 4 del Decreto Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici, che porta appunto come titolo “La spiritualità dei laici in ordine all’apostolato”.

Il richiamo ai consigli evangelici si nota al paragrafo 8 del n. 4.

Questo paragrafo richiama l’inizio del n. 42 della LG, che è dedicato alla teologia della carità, che riguarda tutti i battezzati; richiama anche il n. 31b della LG che, sottolineando i ruoli complementari dei laici, dei religiosi e del clero, dei religiosi dice che “col loro stato testimoniano in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini”.

Parlando ora direttamente dei laici, parte dalla teologia della carità per affermare che “La carità di Dio, « diffusa nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5,5), rende capaci i laici di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle beatitudini. Seguendo Gesù povero, non si deprimono nella mancanza dei beni temporali, né si inorgogliscono nella abbondanza di essi; imitando Gesù umile, non diventano avidi di una gloria vana (cfr. Gal 5,26), ma cercano di piacere più a Dio che agli uomini, sempre pronti a lasciare tutto per Cristo (cfr. Lc 14,26) e a soffrire persecuzione per la giustizia (cfr. Mt 5,10), memori delle parole del Signore: « Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Coltivando l'amicizia cristiana tra loro si offrono vicendevolmente aiuto in qualsiasi necessità” (AA 4i).

Per tanto, lo spirito dei consigli evangelici è l’anima della spiritualità dei laici.

3. I consacrati solidali con gli uomini e le donne di oggi

La Vita Consacrata come vocazione per la Chiesa e il mondo, come consacrazione per la missione, è evocata dal Concilio anche nella Costituzione pastorale  Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Fin dal primo numero di questa Costituzione, dopo avere messo in rilievo l’intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana, ricorda che la comunità dei discepoli di Cristo ha ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti:

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia».

Quello che qui si dice dei “discepoli di Cristo” in generale, a fortiori vale per coloro che fanno il dono totale di se stessi a Dio per il bene di tutta la Chiesa e del mondo intero, per coloro, cioè, che nella Chiesa scelgono di vivere esclusivamente davanti a Dio per la vita del mondo.

Un riferimento esplicito si trova nel n. 38b, dove si afferma che i religiosi sono chiamati “a dare testimonianza manifesta al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell’umanità”.

Un ulteriore riferimento indiretto viene dato nel n. 43, dove è indicato l’aiuto che la Chiesa intende dare all’attività umana per mezzo dei cristiani. All’inizio di questo numero il Concilio esorta i cristiani di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo, secondo la vocazione di ciascuno. È inclusa quindi anche la vocazione alla Vita consacrata.

4. La Vergine Maria nella santità e nella missione della Vita Consacrata

Secondo l'insegnamento del Concilio, Maria svolge una funzione particolare nel cammino vocazionale della Chiesa, giacché la Chiesa in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della Redenzione, ed in lei contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere (SC 103).

La radice di questa peculiare funzione di Maria nel cammino vocazionale della Chiesa risiede nel fatto che Ella è associata al piano e all'opera divina della salvezza e nella sua relazione con la Chiesa, come anche nella sua maternità spirituale in relazione a tutti i fedeli (LG 61).

La relazione tra il mistero di Maria e la vocazione della Chiesa culmina nella "imitazione" di Maria e delle sue virtù (LG 65).

Questa imitazione di Maria è proposta con un accento particolare ad ogni categoria di fedeli nella Chiesa secondo le caratteristiche proprie di ogni vocazione specifica.

Per i religiosi la Vergine Maria è modello di santità: “Così, per l’intercessione della dolcissima Vergine Maria Madre di Dio, «la cui vita e modello per tutti», essi (i religiosi) progrediranno ogni giorno più ed apporteranno frutti di salvezza sempre più abbondanti” (PC 25).

Maria, che abbracciò il genere di vita verginale e povera che Cristo Signore si scelse per sé (LG 46b), è la prima discepola di Gesù; in lei rifulge in maniera esemplare l’immagine del cristiano che fa della sua vita un dono totale a Dio in Cristo mediante la professione dei consigli evangelici, per vivere pienamente a disposizione del disegno divino della salvezza del mondo.

In lei i cardini della Vita Consacrata, che sono la santità intima personale e l’attività apostolica, appaiono coniugati in armonica unità.

Parlando della necessità dell’unità di spirito e di azione nell’apostolato, Rahner scrive:

«Questi rapporti di mutuo condizionamento e di reciproca agevolazione li vediamo all'opera nell'apostolato della Madonna. L'avvenimento più eccelso, l'atto più significativo di tutta l'economia della salvezza, si verifica nella silenziosa cameretta di una fanciulla prostrata in preghiera; ma tutta la pur santissima interiorità di quella donna non ci avrebbe giovato nulla se lo Spirito che l'adombrava non avesse iniziato la sua feconda attività nel suo seno.

In lei, azione e orientamento interiore formavano una cosa sola. La sua vita interiore non deve temere di vedersi profanata o spenta proiettandosi nell'azione esteriore; essa non ha nulla da perdere accettando la concezione d'un bambino e le cure materne, sobbarcandosi una dura vita di lavoro adattandosi ad una situazione politica instabile e minacciosa, iniziando un calvario che durerà sino alla fine della sua vita. Lo Spirito, che le era stato comunicato in un grado così elevato, s'immedesima personalmente in quest'opera; ella lo attrae a sé nella misura in cui si abbandona perdutamente, generosamente e senza riserve al suo disegno.

Maria è così in sintonia con Dio, da ritrovarlo in tutto ciò che prova, in tutto ciò che gli chiede, in tutto ciò che fa o subisce. Ella è attiva nella contemplazione e contemplativa nell'azione. E può esserlo realmente perché è colei che è sempre servizievole e disposta ai cenni altrui, perché non cerca mai se stessa. Il dualismo formato dall'animo e dall'azione esteriore, di cui è impastata anche la sua vita, ha origine dall'unico Principio che la muove in tutto e per tutto. Siccome è sempre lo stesso Unico a volere e a dare, tale dualismo non comporta nessun antagonismo, nessun «problema»; esso, anzi, viene ad essere la variante operativa dell'immutabile azione volitiva di quell'unico Principio divino a cui ella si presta in qualità di umile ancella, pronta ad accettare tutto quanto le viene offerto istante per istante». (Karl Rahner, Missione e Grazia. Saggi di Teologia Pastorale, Ed Paoline, pp. 206-207).

Conclusione

Alla fine di questo excursus, appare chiaro che la Vita Consacrata nella Chiesa è una vocazione per la Chiesa e per il mondo, che emana dalla consacrazione battesimale e ha come cuore la missione, possiede, cioè, necessariamente una dimensione missionaria, qualunque sia la forma concreta che riveste.

La Vita Consacrata, per tanto, non esiste per se stessa, esiste necessariamente per Dio, da cui è ricevuta, e per il mondo, al quale è inviata. La decisione di entrare nella Vita Consacrata è assai di più che una scelta personale; essa interessa tutta la comunità cristiana e il mondo intero. In questa scelta di vita è Dio stesso che si impegna nei riguardi delle comunità cristiane, del mondo e della creazione. La vita consacrata è necessariamente per il mondo e per la Chiesa, e in questo senso possiede una dimensione missionaria, che prende poi la sua peculiarità dal carisma di un Fondatore.

Per noi missionari comboniani prende la forma di vita missionaria religiosa, vissuta secondo la testimonianza di vita del nostro Fondatore, san Daniele Comboni: è vita consacrata missionaria comboniana mediante la professione dei consigli evangelici.

Questa visione teologica desunta dal Concilio Vat. II sulla Vita Consacrata corrisponde alla dinamismo della storia della Vita Consacrata stessa. Percorrendo la sua  storia, non è difficile rendersi conto come nella varietà delle sue forme il percorso storico della Vita consacrata si snoda tra consacrazione e missione (Cfr. Jean-Claude Guy, Storia della vita religiosa. Una lettura sapienziale, Lipa 2014).  

Si può affermare che alla luce della storia della Vita Consacrata non esiste consacrazione senza missione, come non esiste missione senza consacrazione; sono due realtà reciproche, così che quando si sottolinea espressamente l’una è sempre supposta l’altra. Tuttavia il percorso storico è avvenuto a modo di pendolo, accentuando ora un elemento e ora l’altro. Sono nate così nel dinamismo storico della consacrazione-missione delle accentuazioni che hanno dato origine a visoni antitetiche della Vita Consacra. Così da una visione della Vita Consacrata come uno stato di perfezione, cioè una sorta di vita angelicale, un “paradiso sulla terra”, o come funzionalità pratica, ecc, si è passati a una interpretazione come vita impegnata per le grandi cause del mondo di oggi (cfr. Vincenzo Bertolone, Perfectae caritatis, cinquant’anni dopo. Né estranei agli uomini, né inutili nella città. Ed. Istante, p. 16).

La dottrina del concilio Vat. II sulla Vita Consacrata in continuità con la sua storia e i successivi interventi del Magistero della Chiesa danno un nuovo orizzonte teologico-pastorale in cui i consacrati possono leggere la loro identità e missione nella Chiesa per il mondo di oggi.

Per entrare in questo orizzonte sono stimolanti le domande che Papa Francesco rivolge ai consacrati nella Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della Vita Consacrata:

«Gesù, dobbiamo domandarci ancora, è davvero il primo e l’unico amore, come ci siamo prefissi quando abbiamo professato i nostri voti? Soltanto se è tale, possiamo e dobbiamo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che incontriamo sul nostro cammino, perché avremo appreso da Lui che cos’è l’amore e come amare: sapremo amare perché avremo il suo stesso cuore» (n. 2).

«I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai nostri Fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi?» (2)

«Dobbiamo interrogarci anche sul rapporto tra le persone di culture diverse, considerando che le nostre comunità diventano sempre più internazionali. Come consentire ad ognuno di esprimersi, di essere accolto con i suoi doni specifici, di diventare pienamente corresponsabile?

Mi aspetto inoltre che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali?» (n. 3).

Casavatore, luglio 2015
P. Carmelo Casile, mccj

 

[1] Cf Lumen Gentium, cap. V, “L’universale vocazione alla santità nella Chiesa”, nn. 39-42.