Il custode fedele della missione.

Nato a Verona nel 1856, Francesco Pimazzoni rimase orfano di padre a 5 anni e di madre a 8 per cui fu educato da una zia. Mentre frequentava la scuola tecnica ha sentito un uomo che bestemmiava. Tornato a casa ha detto alla zia: “Non vado più in quella scuola perché là si bestemmia il nome di Dio”.
Trovò lavoro in una fabbrica di carrozze e, nei momenti liberi, frequentava l’oratorio dei Filippini dove ricevette un’ottima formazione. Andato soldato a Gaeta e a Messina dal 1877 al 1879 “santificò la caserma e mantenne nella sua compagnia la fede, la religione e indusse molti compagni a frequentare la chiesa e i sacramenti” (dal necrologio di mons. Grancelli). Il 30 agosto 1879 entrò nell’Istituto di Comboni a Verona.

Descrive la morte di Comboni

Comboni lo inviò al Cairo nel novembre del 1879 dove rimase per un anno come studente. “Francesco deve studiare molto il latino” scrive Comboni dal Cairo. Lo stesso Comboni lo porta con sé a Khartoum, via Mar Rosso. È il 12 febbraio 1881. “Il missionario più virtuoso e più santo è Francesco Pimazzoni a cui darò domenica la chierica e gli ordini minori. Sono certo che diverrà il più perfetto e santo missionario dell’Africa centrale” (Comboni).
Intanto Francesco continua gli studi per accedere agli ordini minori. A Khartoum si susseguono le morti di missionari stroncati dalla malaria e dal tifo. Il 2 ottobre 1881 Comboni scrive (mancano 8 giorni alla sua morte): “Don Francesco ha offerto la sua vita a Dio perché il Signore metta fine alle morti dei missionari e delle suore”. Il giorno dopo Francesco è morente e chiede gli ultimi sacramenti. Comboni si ribella e scrive: “Pimazzoni non deve morire, perciò abbiamo messo in croce San Giuseppe. Appena celebrato il funerale di Paolo Descandi, ho fatto subito togliere il catafalco, perché Pimazzoni per ora non vi deve andare sopra”.
Sette giorni dopo, il 10 ottobre 1881, muore lo stesso Comboni e Pimazzoni lo piange come un padre e poi ne fa una toccante rievocazione. Il suo scritto comincia con queste parole: “Scrivo qualche idea del come deve disporre il suo cuore colui che aspira a venire in Africa, deducendolo dagli atti e dalle parole del nostri illustre Fondatore”.
Attraverso la penna di questo chierico, Comboni diventa maestro di vita e di missione per chi vuole mettersi sulle strade dell’Africa.


Morte e vita

La morte di Comboni coincide con la guarigione quasi improvvisa di Pimazzoni. Il 1° giugno 1882, mentre si trova al Cairo, chiede al Canossa le dimissorie per essere ordinato sacerdote. Infatti brucia dal desiderio di andare a Khartoum come missionario di prima linea. Invece, poco dopo succede il primo moto nazionalista in Egitto per opera di Urabi Pascià e tutti i membri della missione devono fuggire a Verona, eccetto Pimazzoni che rimane solo a custodire la missione. “Davvero che le cose sono serie – scrive a Verona. – O vivere o morire, Io che, grazie a Dio, sono indifferentissimo per le due, me la passo contento e pacifico più che mai”. Poi, tirando fuori il fine umorismo di cui era dotato, aggiunge: “Posso assicurare che qui tutta la comunità sta bene ed, essendo solo, interpreto certamente il pensiero di tutti”.
Constatando che l’elezione del successore di Comboni tardava, si lamenta in questo modo con il superiore di Verona: “Corpo di Bacco: S. P. Q. R. Mons. Comboni, di sempre felicissima memoria, traduceva queste iniziali in questo modo: Sono Poltroni Questi Romani… E mi pare non avesse tutto il torto di dirlo, come faceva anche davanti ai cardinali e ai vescovi in Propaganda stessa”.


Segretario di mons. Sogaro

Intanto fu scelto mons. Sogaro come primo successore di Comboni. Questi chiamò a Verona Francesco Pimazzoni e, il 23 dicembre 1882, lo ordinò sacerdote. Aveva 26 anni. Celebrò la prima Messa nell’oratorio dei Filippini. In gennaio don Pimazzoni tornò al Cairo insieme a mons. Sogaro e con lui andò a Khartoum. Monsignore, infatti lo fece suo segretario. Durante il viaggio via Mar Rosso studiò l’acquisto di una casa per i missionari a Suakin.
Giunto finalmente a Khartoum si è interessato della crescente insicurezza creata dalla Mahdia. Le orde del Mahdi, infatti, portando con sé i missionari e le suore che avevano fatti prigionieri nelle missioni di Delen (Monti Nuba) e di El Obeid, avanzavano verso Khartoum.
Il 13 maggio 1883, vedendo che le cose si mettevano male, mons. Sogaro lasciò Khartoum portando con sé tutti i missionari e le suore insieme a tanti cristiani e riparò al Cairo in Egitto.


L’ora del Te Deum

Don Francesco Pimazzoni insieme ai confratelli don Giovanni Dichtl, don Leone Hanriot e i laici Lorenzo Dal Lago e Domenico Donizzoni volevano rimanere a custodia della mission di Khartoum. Ed ecco che il 6 ottobre 1883 don Francesco fu preso da una fortissima febbre. Fu chiamato anche il medico, ma ormai non c’era più niente da fare. Eppure aveva celebrato Messa anche quella mattina. Don Leone lo confessò e il superiore gli amministrò l’olio degli infermi e poi l’ammalato spirò. Aveva 27 anni. Prima di morire, Comboni aveva chiesto ai suoi missionari di essere fedeli alla loro vocazione fino alla morte: “Giura che sarai fedele alla tua vocazione missionaria”. Pimazzoni mantenne il giuramento.
Poco prima di spirare aveva scritto alle sorelle e agli amici: “Quando udrete dire: Francesco è morto, non piangete, no, ma recitate il Te Deum, perché il Signore avrà esaudito i miei voti…”. Il sogno, il sospiro il voto di Francesco ebbero compimento. Sospirava di morire in mezzo ai Neri, e vi è morto; pregava che le sue ossa riposassero sotto la polvere del Sudan, e vi riposano.
Dopo la morte di don Francesco, anche gli altri missionari abbandonarono in fretta la missione perché il Mahdi con il suo esercito incalzava. Infatti Khartoum cadde il 26 gennaio 1885 dopo un lungo assedio e il generale Gordon, che difendeva la città, venne ucciso con buona parte degli abitanti.

(P. Lorenzo Gaiga)

(1856-1883)