Sabato 12 aprile 2025
La Tenda d’Abramo, un centro culturale di tre piani istituito dai missionari comboniani a N’Djamena (Ciad), porta avanti dal 2006 diversi percorsi di dialogo interreligioso. «Qui giovani studiano e vivono insieme la loro quotidianità, creando un’altra idea di futuro», racconta il direttore della Tenda d’Abramo, Hugues Lakoein, giurista di formazione e responsabile della struttura dal 2015.
Avenue Ngardoum è una trafficata strada del centro di N’Djamena, l’asfalto lambito dalla sabbia è attraversato a ogni ora del giorno da macchine, pullmini e clandos, i moto-taxi che ovunque sfrecciano per le vie della capitale del Ciad. Alcuni isolati prima di immettersi nella arteria intitolata al primo presidente dopo l’indipendenza, quella Avenue N’Garta Tombalbaye che dà il benvenuto a chi arriva dall’aeroporto per poi tagliare in due il cuore della città, si svolta a destra e si prende una larga strada dove i suoni del traffico vengono attutiti dalla sabbia; piccoli negozi vendono bibite davanti a un concessionario d’auto usate mentre alcune persone parlano e riposano su dei tappeti adagiati a bordo strada.
È qui che si trova la Tenda d’Abramo, un centro culturale di tre piani a cui si accede una volta varcata la soglia della sede dei missionari comboniani in Ciad. I religiosi hanno aperto questo luogo nel 2006 con l’obiettivo di fornire uno spazio per lo studio agli studenti di licei e università e soprattutto per promuovere il dialogo interreligioso. In realtà, la Tenda d’Abramo è di per sé una dichiarazione d’intenti da questo punto di vista. Il centro culturale – così come la casa dei comboniani – sorge nel cuore di Am-Riguebe, uno dei quartieri vecchi di N’Djamena, abitato per la stragrande maggioranza da persone di fede musulmana.
Un luogo non casuale
Incastonato in quella zona della capitale che va dalla già citata Avenue Tombalbaye all’altrettanto centrale Avene Charles de Gaulle – idealmente da un protagonista dell’indipendenza a uno dei 60 anni di periodo coloniale francese, conclusosi nel 1960 – il quartiere è puntellato di moschee. Almeno quattro si trovano negli immediati dintorni della Tenda, il canto dei muezzin che chiamano a raccolta per la preghiera è forse il più familiare fra i suoni che accompagnano le giornate di chi frequenta questo posto.
Scegliere questa zona come sede per i missionari comboniani quasi 20 anni fa è stato da parte dell’allora vescovo di N’Djamena, monsignor Charles Vandame, un gesto di apertura e insieme una scommessa sul dialogo. «La Tenda d’Abramo è uno spazio unico. Persone di tante estrazioni diverse vengono qui a passare il loro tempo, a godersi la vita: musulmani, cristiani, bianchi, neri». Mahamat Maouloud Djibrine è entusiasta, mentre parla a Nigrizia dell’importanza della struttura.
Ventisette anni, originario di N’Djamena, Djibrine è una delle numerose persone musulmane che frequenta il centro abitualmente, dove insegna anche inglese. Attività che svolge anche su un suo canale TikTok. Per il giovane insegnante la Tenda d’Abramo è «un punto di riferimento» per chi vive nella zona. Non è sempre stato così però. La storia della Tenda fa ben sperare sul futuro del Ciad e sulla tenuta del principio di “coabitazione pacifica” interreligiosa che lo stato ciadiano si è dato come obiettivo a livello ufficiale, ma porta con sè anche le complessità del presente e del passato del paese. Un passato segnato da grande instabilità e da una guerra civile durata circa 15 anni, fino alle fine degli anni ’70, e che ha avuto anche risvolti di tipo religioso.
La strada che porta alla Tenda
Nigrizia ha parlato del cammino della Tenda con il direttore Hugues Lakoein. Giurista di formazione, è responsabile della struttura dal 2015. Seduto in una grande sala conferenze del primo piano che affaccia su un patio, un elegante completo grigio con camicia coreana e un temperamento calmo, il responsabile ricostruisce le origini di questo centro. «La Tenda è nata nel 2006 e fin dal nome ha voluto comunicare l’idea di non essere appannaggio specifico di una sola religione. Abramo è il patriarca per i credenti delle tre grandi religioni monoteiste definite appunto abramitiche: non è cristiano, non è musulmano, non è ebreo. Appartiene a tutte queste tradizioni». Nonostante l’universalità del nome scelto, lo spazio non è stato frequentato da subito da molte persone del quartiere. «In tanti credevano che il centro fosse una chiesa e per questo i fedeli musulmani tendevano a evitarlo», spiega Laokein.
«Nella zona vivono pochi cattolici, la maggior parte dei fedeli che frequentano la Tenda provenivano e provengono da altre parrocchie, come quella di Mardjane Daffac», situata a circa tre chilometri di distanza verso l’aeroporto nel quartiere omonimo. Ma ci sono state anche fasi di diffidenza più marcata. «Per diversi anni – riferisce il direttore – fino a qualche anno prima del mio arrivo, capitavano episodi di intolleranza e anche violenza: le ragazze che venivano qui vestite con dei jeans o in abiti occidentali potevano essere insultate con parole come “prostituta” o addirittura essere colpite con delle sassate».
Insieme
Come si è passati da luogo ritenuto quasi un “affronto” nel cuore di un quartiere musulmano a punto di riferimento per la comunità? Uno dei passaggi fondamentali è stato lasciare che il dialogo interreligioso si esprimesse spontaneamente, mettendo a disposizione spazi comuni ai quali si accedeva solo in base al possesso di una tessera, nient’altro. «Una delle prime attività che abbiamo messo in piedi – ricorda Laokein – è stata la biblioteca, che negli anni abbiamo arricchito di diversi volumi e che oggi è frequentata dagli studenti dei licei e delle due maggiori università del paese, l’ateneo musulmano Re Faysal all’Università del Ciad, che è pubblica e laica».
La Tenda di Abramo dispone poi di sale studio mentre la biblioteca organizza conferenze e dibattiti. Nelle ultime settimane si è svolto un incontro sul ruolo della donna nelle politiche di “coabitazione pacifica” e un altro sulla violenza e il dialogo a livello politico. Laokein dice adesso che «alla Tenda si viene per tante ragioni diverse, dal partecipare a un’iniziativa culturale al seguire un corso fino semplicemente a leggere e studiare».
Ci sono poi dei programmi dedicati alle scuole. Il direttore spiega: «Proiettiamo dei film pensati in modo complementare ai programmi scolastici, li facciamo vedere ai ragazzi e alle ragazze in modo tale che possano approfondire i temi che studiano anche con altre modalità». Contributi all’apprendimento e più in generale alla cultura non di poco conto in un paese dove un bambino su quattro non è iscritto neanche alle scuole primarie (una su tre se si parla di bambine) e dove il tasso di alfabetizzazione si attesta intorno al 22% secondo UNESCO e Banca Mondiale.
La componente socio-culturale è una delle più importanti per la Tenda d’Abramo e la condivisione di uno spazio in cui poterla sviluppare contribuisce naturalmente al dialogo. Tutte le attività sono finanziate dai missionari comboniani e dai loro donatori, la struttura non riceve finanziamenti statali. Comprese quelle che mirano in modo più specifico a facilitare l’avvicinamento tra le diverse tradizioni religiose.
Utile capire prima il contesto del paese da questo punto di vista. La popolazione ciadiana, quasi 18 milioni di persone, è composta da musulmani per circa il 55%, di cui la maggior parte fa riferimento a confraternite sufi, mentre i cristiani sono circa il 40%: poco più della metà sono protestanti, il resto cattolici. Tensioni interreligiose si sono sommate ai conflitti che hanno segnato il paese e continuano a sommarsi alle tensioni intercomunitarie che si verificano anche adesso e che non di rado sfociano in violenze, soprattutto fra pastori nomadi e coltivatori.
Nel paese si registrano inoltre le attività di milizie estremiste islamiche come quelle legate alla milizia nota come Boko Haram, che nasce in Nigeria ma che opera anche nella zona del Lago Ciad, qualche decina di chilometri a nord di N’Djamena. Anche la storia della missione comboniana nella capitale testimonia alcune delle divisioni che segnano la conformazione sociale del paese. L’attività dei religiosi inizia infatti nelle province meridionali, dove si concentrano la maggior parte dei fedeli cristiani, e solo successivamente si sposta a N’Djamena, nonostante questa sia la città più importante.
«Oggi – riprende il filo del discorso Laokein – presentiamo degli incontri in cui si parla di questioni centrali delle varie religioni e anche delle caratteristiche comuni fra le varie tradizioni, penso a esempio al ruolo di Maria, Mariam per i musulmani. O della differenza fra Quaresima e Ramadan, che quest’anno sono caduti negli stessi giorni. È necessario che ci siano quanti più elementi per comprendersi», aggiunge il responsabile.
La Piattaforma per il dialogo interreligioso
L’impegno per il dialogo ha anche una dimensione istituzionale. In Ciad esiste dal 2008 una Piattaforma per il dialogo interreligioso che riunisce rappresentanti di Conferenza episcopale, Consiglio superiore per gli affari islamici e Chiese evangeliche. L’obiettivo è portare avanti l’idea di “coabitazione pacifica” e di “vivere insieme” che informa tutti i programmi istituzionali che affrontano la questione. «Ogni anno esponenti delle organizzazioni confessionali si riuniscono qui, a esempio per discutere della lettera annuale dei vescovi», afferma Laokein in riferimento a un documento pubblicato ogni anno dalla Chiesa cattolica, spesso carico di valenza politica.
Non da ultimo, a unire c’è il calore della festa. «Oltre a ospitare anche matrimoni musulmani – conferma il direttore– ogni anno si svolgono qui le celebrazioni per il Natale e per l’Eid al-Fitr, l’ultimo giorno di Ramadan. Fedeli di entrambe le religioni partecipano con gioia, questi appuntamenti piacciono sempre molto a tutti». Un clima festoso che mostra un’alternativa alla violenza o alle tensioni e che una volta di più spiega l’importanza di un luogo come la Tenda d’Abramo.
Nelle sale e nei cortili di questo spazio giovani agiscono il cambiamento tutti i giorni, spesso anche in contrasto alla politica «che invece tende strumentalizza le differenze», denuncia Laokein. Ma il futuro è già nelle parole che usano i ragazzi che vengono alla Tenda, conclude il direttore: «Ci sono termini dispregiativi che in Ciad vengono usati tradizionalmente per riferirsi alle persone del sud o del nord, testimonianze viventi di diffidenza. I giovani che vengono qui non ci pensano neanche a utilizzarli, mangiano, studiano e vivono momenti importanti insieme. Con la testa già oltre certe idee del passato».
Brando Ricci – Nigrizia