Lunedì 2 settembre 2024
Uno dei più grandi passi falsi del cristianesimo missionario è stato quello di presentarsi come sostituto della religione africana. “Ciò che molti missionari non hanno capito è che una maniera di vivere, una spiritualità, è diversa da una religione organizzata fatta di credo, dogmi e dottrine…”, dice il gesuita nigeriano Agbonkhianmeghe E. Orobator. [Beppe Magri – Popoli e Missione. Credit photo Pexels]
Ciò che molti missionari non hanno capito è che una maniera di vivere, una spiritualità, è diversa da una religione organizzata fatta di credo, dogmi e dottrine. Quest’ultima può essere facilmente sostituita e rimpiazzata, non così la prima. Ad affermarlo è il gesuita nigeriano Agbonkhianmeghe E. Orobator, responsabile della Compagnia di Gesù di tutta l’Africa, nel suo libro dall’eloquente titolo “Confessioni di un animista, fede e religione in Africa” (2019).
In un passato neanche non molto lontano, sembrava quasi scontato poter etichettare in modo dispregiativo la cultura religiosa africana, con i suoi miti, i suoi riti e le sue leggi, come “animista” o “pagana”. Semplicemente perché non conforme ai nostri canoni del sapere scientifico e filosofico saldamente legato alla cultura greco-latina; o, più in particolare nel contesto missionario, contraria, almeno in apparenza, alle dottrine morali e categorie teologiche del cristianesimo.
Eppure, come ben descritto dal professor Kipoy Pombo, religioso giosefita congolese, nel libro “Chi è l’Uomo, introduzione all’antropologia filosofica in dialogo con le culture” (2009), le religioni tradizionali africane sono ontologiche e permeano il modo di vivere “dalla culla alla tomba”; e ciò vale anche per la maggior parte di coloro che si professano “convertiti” al cristianesimo o all’islam.
Orobator sostiene che “ciò che i missionari definivano animismo era una caricatura basata sugli stereotipi e sull’ignoranza, e sull’arroganza di uomini che si consideravano ambasciatori di una religione e di uno stile di vita civilizzati. Ancora oggi, diverse denominazioni cristiane considerano la religione africana demoniaca, satanica e occulta”.
Ma riconosce che l’evangelizzazione si è diffusa non per sostituzione, ma per integrazione nel modo di vivere africano, dando prova che “il cristianesimo è radicato nel suolo della religione africana”.
Tra i più presenti stereotipi che raffigurano in modo “caricaturale” (e inquietante) la religione africana vi è senza ombra di dubbio il rapporto dell’uomo (nelle relazioni interpersonali, familiari e di gruppo con legami familiari e affinità culturali) con le forze del male.
Il professore Kipoy ci ricorda, come dato di fatto, che la religione africana si alimenta di una spiritualità generata tanto dal mondo visibile, nel quale vengono identificati i capi con autorità sulla famiglia e i gruppi ad essa affini, e la natura (terra, fiumi, cielo, animali, alberi, luoghi), quanto dal mondo invisibile, composto in primo luogo da un Creatore datore di vita, gli antenati che fungono da intermediari tra l’uomo e il Creatore, gli spiriti (buoni, o cattivi), le anime disincarnate dei morti che sono in viaggio verso il villaggio degli antenati, e le forze naturali (fulmini, terremoti, pioggia, vento, fuoco).
Questi due mondi sono in stretta relazione tra loro, come due facce di una stessa medaglia che rappresenta il mondo dei viventi.
È vero, però, che nelle culture africane esistono anche pratiche occulte, al di fuori dei legami costituiti con il mondo dei viventi e quindi della religione tradizionale, che riguardano in particolare la ricerca e la soppressione delle cause degli insuccessi e degli incidenti personali, delle disgrazie famigliari, delle malattie, della morte.
Queste pratiche, che in modo fin troppo semplicistico liquidiamo come stregoneria, si avvalgono di persone accreditate come stregoni, feticisti, indovini e guaritori, dai quali mette chiaramente in guardia padre Orobator affermando che “la religione africana non tollera la stregoneria, la considera un’aberrazione”.
Non per questo, però, un certo cristianesimo africano (rappresentato, almeno in parte, da quelle che genericamente chiamiamo sètte), si manifesta in “performance patologiche” di esponenti religiosi che Orobator non esita a definire “predicatori da jet-set”, i quali abusano della religione per scopi lucrativi personali, utilizzando rituali simili a quelli propri della stregoneria.
Chissà se le cose stanno come mi fu raccontato da un monaco africano tanti anni fa, a proposito di un presunto evento malvagio inspiegabile razionalmente: “Io a queste cose non ci credo, ma succedono davvero?”
Beppe Magri – Popoli e Missione