Il dovere etico di affrontare la crisi climatica con piena responsabilità

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Mercoledì 20 dicembre 2023
Il “Consenso di Dubai (EAU)”, l’accordo a cui le 197 parti dell’Accordo di Parigi sul clima sono arrivate, è stato salutato come un risultato storico, che segna l’inizio della fine dei combustibili fossili. Infatti, per la prima volta in 30 anni, un accordo menziona la prospettiva di “abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l'azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in accordo con la scienza.”

Nonostante la forte opposizione dei paesi dell’OPEC, alla fine è passato questo punto fondamentale per mantenere viva la speranza di poter contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale, soglia considerata critica per contenere gli impatti dei cambiamenti climatici. Infatti, sia il Rapporto sul divario di produzione 2023[1] di UNEP, sia il Rapporto sui cambiamenti climatici 2023 dell’IPCC[2], hanno rilevato che l’86% delle emissioni di gas ad effetto serra provengono dalla combustione di idrocarburi. E siccome una transizione richiede anche la realizzazione di una alternativa energetica, va valutata molto positivamente la mozione di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.

Tutti sono consapevoli che restiamo molto distanti da quello di cui c’è bisogno per raggiungere tale obiettivo: sia in termini di impegni assunti dai Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi, che non sono affatto in linea con il mantenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C; sia per quanto riguarda la reale attuazione di tali impegni, ben al di sotto delle promesse. E all’interno del Consenso di Dubai, ci sono anche diverse scappatoie[3] che lasciano aperta la strada a un surriscaldamento globale incontrollato.

Tuttavia, la COP28 ci insegna alcune cose importanti. Anzitutto, che non bisogna mai dare nulla per scontato. C’era molto scetticismo alla vigilia della conferenza, per il fatto che il presidente designato, Sultan Al Jaber, fosse l’amministratore delegato dell’azienda petrolifera di Stato di Abu Dhabi (ADNOC), una delle più grandi al mondo. Ed invece, la presidenza ha dimostrato di agire in buona fede e di cercare di mettere assieme tutti Paesi per una svolta reale nell’impegno per il clima. Cercando di includere tutti e mantenendo lo sguardo fisso sul limite di 1,5°C di surriscaldamento globale. Per riuscirci, la presidenza ha cercato di costruire un clima di fiducia reciproca ed in questa chiave va letta la decisione, arrivata al primo giorno della COP28, di rendere operativo e di finanziare il fondo per le perdite e i danni dovuti ai cambiamenti climatici, altra meta di portata storica. Come anche, il giorno dopo, l’annuncio della Carta della decarbonizzazione dell’industria del petrolio e del gas, sottoscritta 50 aziende internazionali e nazionali[4], che detengono il 40% della produzione di greggio. Anche questo era un segno per aiutare ad avere atteggiamenti più aperti e costruttivi nelle trattative. Lascia pertanto molto perplessi la caccia allo scoop della stampa occidentale che, proprio quando la conferenza si stava instradando bene, hanno usato una registrazione di una conversazione di Al Jaber con Mary Robinson, precedente alla conferenza, decontestualizzata e tagliata, che dava del presidente della COP28 una percezione opposta a quanto stava pubblicamente facendo nella conferenza.

In secondo luogo, va sottolineato che per la prima volta una decisione politica è stata influenzata dalla scienza, che ci dice cosa dobbiamo fare per rimanere entro 1,5°C di surriscaldamento globale. Il ruolo della politica è trovare un accordo sul come farlo. Ci sono, ovviamente, interessi contrastanti e priorità differenti tra i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi, ma è possibile che la ragione ci aiuti a conciliare le posizioni, partendo dalla realtà, da ciò che sta succedendo alla nostra casa comune, dalle cause conclamate di tutto ciò e dai rimedi che sono evidentemente necessari. Anche grazie alla pressione morale ed alla visione alternativa dei popoli indigeni, dei giovani, della società civile e delle religioni, che con forza articolano una visione alternativa del pianeta, dell’economia, della giustizia climatica e di una transizione equa, che non lasci indietro nessuno. Scienza e spiritualità assieme stanno spingendo la classe politica verso una direzione opposta alla traiettoria che purtroppo il mondo sta seguendo.

Questo momento storico è cruciale: si tratta dell’ultima opportunità per accelerare l’azione per stabilizzare il clima. Al ritmo attuale di emissioni[5], tra sette anni avremo immesso nell’atmosfera una quantità di gas climalteranti tale da superare la soglia di 1,5°C. Di fronte a tale scenario, la COP28 è stata il primo test dell’Accordo di Parigi, misurando i risultati ottenuti dal 2015 ad oggi ed avviando un processo di accelerazione per raggiungere in tempo gli obiettivi dell’Accordo. Ora tocca agli Stati rivedere i propri piani nazionali per il clima, entro due anni, per allinearli con tali obiettivi. Alla società civile, nel suo complesso, spetta il compito di fare pressione sui governi nazionali perché abbiano il coraggio di fare ciò che deve essere fatto. Come ha sottolineato Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, «Che vi piaccia o no, l'abbandono dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi».

In terzo luogo, la conferenza ha reso visibile che non è possibile fare una transizione energetica senza una più ampia transizione economica. Il caso della Colombia è emblematico. La sua economia dipende dall’esportazione di carbone e petrolio (tra il 40% e il 50% delle esportazioni), producendo il 9% delle tasse riscosse dallo Stato. Nonostante ciò, il presidente Petro, eletto con un programma per «dare al Paese un futuro verde e non nero»[6], ha avviato una riconversione industriale, puntando sulle energie rinnovabili e su una giusta transizione che non lasci disoccupati gli oltre 100 mila lavoratori nel settore dei combustibili fossili. Ma questo ha reso nervosi i mercati – ha affermato Susana Muhamad, ministro dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile – e così anziché trovare appoggio ed incentivi alla transizione verde, il Paese «viene punito dal sistema economico finanziario: l’accesso ai finanziamenti è diventato più costoso, il Paese è minacciato di declassamento nel sistema creditizio internazionale e viene strangolato con il debito». D’altro canto, ha fatto clamore l’entrata del Brasile di Lula, che si propone come campione dell’azione climatica, nell’OPEC, proprio nel momento in cui si dice che bisogna abbandonare gli idrocarburi[7]. Una contraddizione che è specchio della situazione in cui si trova la maggioranza dei Paesi in via di sviluppo: per fronteggiare la crisi del debito e per finanziare l’adattamento ai cambiamenti climatici, devono sfruttare le proprie risorse energetiche e minerali. È chiaro che non ci può essere una soluzione della crisi climatica senza un cambiamento del sistema economico-finanziario e senza allineare i mercati alla realtà della crisi e alla transizione verde.

Infine, la COP28 ha portato ad un profilo ancora più alto le religioni nel contrasto ai cambiamenti climatici. Prima della conferenza di Dubai, ha avuto luogo il vertice mondiale dei leader religiosi[8] ad Abu Dhabi, che hanno firmato una dichiarazione di sostegno a favore della lotta ai cambiamenti climatici. Oltre 200 partecipanti – leader religiosi che rappresentano le principali religioni del mondo, accademici, scienziati del clima, giovani attivisti e rappresentanti delle popolazioni indigene – hanno sottolineato il dovere etico delle comunità religiose e dei leader politici di affrontare la crisi climatica con piena responsabilità. Inoltre, a Dubai è stato allestito per la prima volta in una COP il Padiglione delle fedi, per sensibilizzare, ispirare, lavorare assieme e promuovere un’azione climatica che rifletta il piano di Dio sulla Creazione.

Da parte cattolica, in questi anni abbiamo assistito ad una grande accelerazione, impressa da papa Francesco. Nel 2020 indice l’anno di anniversario speciale della Laudato si’, per rilanciarla in considerazione dell’urgenza della crisi climatica e della risposta assolutamente deludente. Nel 2021, il Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale lancia la Piattaforma di iniziative Laudato si’, per coinvolgere tutto il mondo cattolico nella conversione ecologica. Il 4 ottobre 2022, la Santa Sede firma l’Accordo di Parigi, diventando una delle 197 Parti che partecipano ai negoziati per il clima. Il 4 ottobre 2023, ecco la pubblicazione dell’esortazione apostolica Laudate Deum, che si focalizza sui cambiamenti climatici e intende contribuire alla svolta nella transizione ecologica. E subito dopo, papa Francesco ha in programma di partecipare personalmente alla COP28 ed all’inaugurazione del Padiglione delle fedi. Purtroppo le sue condizioni di salute non glielo permetteranno, ma il suo messaggio verrà letto dal Segretario di Stato, Card. Parolin: «la via d’uscita e quella dell’insieme, il multilateralismo. È essenziale costruire la fiducia e ciò vale per la cura del creato così come per la pace. Sono le tematiche più urgenti e sono collegate. (...)

È compito di questa generazione prestare orecchio ai popoli, ai giovani e ai bambini per porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo. Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi del passato. Abbracciamo una visione alternativa, comune: essa permetterà una conversione ecologica, perché non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali (LD 70). Assicuro in questo l’impegno della chiesa cattolica, attiva in particolare nell’educazione e nel sensibilizzare alla partecipazione comune, così come nella promozione degli stili di vita».

In conclusione, il messaggio che Papa Francesco ha diretto ai politici (LD 60), può essere parafrasato anche per le comunità cristiane, gli agenti pastorali, i missionari: perché si vuole continuare oggi con una evangelizzazione che sarà ricordata per la sua incapacità di portare alla conversione ecologica quando era urgente e necessario farlo?

Fr. Alberto Parise, MCCJ

 

[1] Il Rapporto sul divario di produzione - lanciato per la prima volta nel 2019 - traccia la discrepanza tra la produzione di combustibili fossili prevista dai governi e i livelli di produzione globale coerenti con la limitazione del riscaldamento a 1,5°C o 2°C.

[2] È il sesto rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), un pool di scienziati che analizzano e sintetizzano i risultati della ricerca scientifica sui cambiamenti climatici.

[3] Per menzionarne alcune: la definizione di combustibili di transizione, la mancanza di una struttura economica necessaria per la transizione che non può essere semplicemente energetica, ma anche economica; le disuguaglianze tra gli attuali sistemi economici che rischia di spingere i Paesi in via di sviluppo a continuare a sfruttare i combustibili fossili; manca anche un chiaro impegno a ridurre l’estrazione dei combustibili fossili (anzi, ci sono grandi piani di espansione in atto: ogni nuovo investimento in petrolio e gas significherà una continuata estrazione per 30 anni); la chimera della cattura e stoccaggio di carbonio. Ma soprattutto, il fatto che non ci sia nulla di vincolante, mancano disposizioni di transizione energetica efficienti, obbligatorie e facilmente monitorabili.

[4] Di queste 19 hanno adottato per la prima volta l’obiettivo di zero emissioni nel 2050, mentre 31 si sono anche impegnate ad arrivare a zero emissioni di metano entro il 2030.

[5] Nell’ultimo anno l’aumento di CO2 equivalente nell’atmosfera è stato di circa 40 Gt; il rimanente “budget” di CO2 equivalente prima di arrivare ad un surriscaldamento di 1,5°C è stimato in 275 Gt. Purtroppo, nel Consenso di Dubai non sono state recepite le raccomandazioni scientifiche per un taglio di emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2030 e del 60% entro il 2035.

[6] https://www.bbc.com/future/article/20221116-how-colombia-plans-to-keep-its-oil-and-gas-in-the-ground.

[7] Al termine della COP28 è iniziata l’asta per la concessione di 603 nuove estrazioni di petrolio e gas, su terra e mare del territorio brasiliano.

[8] Il vertice è stato organizzato dal Consiglio musulmano degli anziani in collaborazione con la presidenza della COP28 e UNEP.