Giovedì 10 agosto 2023
“Il Magistero della Chiesa oggi ci propone una visione di missione come connaturata alla Chiesa, prima ancora che esserne un compito. Dire che la missione è il paradigma di tutte le attività della Chiesa, significa superare la divisione tra cura pastorale, rievangelizzazione e missio ad gentes. Ciò non significa affatto che queste tre situazioni diverse di evangelizzazione diventino equivalenti, perché è sul piano pastorale che avviene la differenziazione, con lo sviluppo di pastorali specifiche, sviluppate per contesti diversi. Al tempo stesso, tali pastorali specifiche sono chiamate ad avere lo stesso spirito missionario, o uno stile di missione che la Evangelii gaudium rielabora e presenta in modo piuttosto articolato”. (Fr. Alberto Parise)
La missione nel Magistero della Chiesa
Fr. Alberto Parise, MCCJ
La visione conciliare di missione
Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) papa Francesco presenta la sua visione di missione che, dal punto di vista dottrinale, riconferma quella emersa dal Concilio Vaticano II, citando esplicitamente il riferimento a Lumen gentium (LG 17), ma implicando evidentemente anche Ad gentes e Gaudium et spes ad essa strettamente correlate.
La teologia del Concilio introduce un passaggio essenziale della nozione di missione, in risposta al bisogno di esplicitarne il fondamento teologico. Prima del Concilio, la missione era vista semplicemente come una “funzione” della Chiesa, chiamata ad annunciare il Vangelo fino ai confini del mondo, secondo il mandato missionario di Mt 28,19-20 e di Mc 16,15. In quanto annuncio del Vangelo ai lontani, la missione sussisteva fintanto che si formava una comunità eucaristica stabile e gerarchicamente organizzata. Il carattere missionario, in questo senso, non risulta costitutivo della Chiesa, ma una sua funzione temporanea, storicamente e geograficamente determinata (Baldi 2021, 90), destinata ad essere sostituita dalla cura pastorale della comunità cristiana.
Il Concilio, invece, afferma che la Chiesa è per sua natura missionaria in quanto originata dalla missione del Figlio e dello Spirito, missione che nasce dall’amore del Padre (AG 2): è la vita divina di amore che ci viene comunicata attraverso la missione del Figlio e dello Spirito. La missione della Chiesa è intrinsecamente connessa con il piano di salvezza di Dio e per questo la Chiesa può definirsi sacramento universale di salvezza (AG 1), che svolge un ministero finalizzato alla pienezza di Cristo. Come enunciato nella Lumen gentium, «la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). La vita trinitaria che ci è donata invita a superare la dispersione e a raccogliere l’umanità nell’unità.
In altre parole, la Chiesa è da un lato il risultato della missione divina, dall’altro soggetto della missione nel mondo. Il Vaticano II riporta così la missione al centro della vita ecclesiale, non più ai margini della Chiesa, con l’insistenza sulla partecipazione di tutto il popolo di Dio alla missionarietà della Chiesa (Colzani 2010, 76).
Questa visione supera la nozione giuridico-territoriale di missione che aveva caratterizzato la riflessione missiologica prima del Concilio, così consolidata da rimanere ancora per molto tempo attiva ed operante nella prassi e nella riflessione sulla missione. Lo stesso decreto Ad gentes, del resto, dopo aver abbracciato il fondamento trinitario e l’universalità della missione, ritorna alla nozione di “missioni”, per la quale il fine specifico dell’attività missionaria sono l’evangelizzazione e la fondazione della Chiesa tra quei popoli e gruppi umani in cui ancora non esiste.
Tale visione risulta avere una forte connotazione geografica ed è stata in seguito ripresa giuridicamente dal Codice di diritto canonico del 1983 (Canone 786)[1], che assume la nozione tradizionale di missione e perpetua l’ambiguità dell’uso del termine stesso, oscillante tra la prospettiva teologica che la vede come costitutiva della Chiesa e un dovere fondamentale di tutti i fedeli da un lato; e la prospettiva di un’attività missionaria particolare, di natura transitoria dall’altro.
Sarà l’Esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, che Giovanni Paolo II ha definito come la Magna Charta della missione, a superare tale contraddizione, armonizzando organicamente visione teologica e principi dottrinali con l’attività missionaria della Chiesa.
Tale armonizzazione avviene a partire dalla considerazione del contenuto dell’evangelizzazione, che comprende due elementi: il Vangelo e la sua comunicazione (EN 4). Come a dire, una dimensione dottrinale ed una antropologica. La missione richiede quindi una doppia fedeltà: ad un messaggio di cui i fedeli sono servitori e alle persone a cui devono comunicarlo intatto e vivo. In questa prospettiva, l’orizzonte dottrinale e la pratica concretizzazione della missione vengono ricongiunte in una visione unitaria (Colzani 2010, 112). Nel quadro di questa visione unitaria, ci sono diverse forme di pastorale – tutte viste come evangelizzazione – che prestano attenzione ai vari destinatari dell’annuncio, che possono essere i lontani come i fedeli.
L’Evangelii gaudium riprende ed attualizza la visione dell’Evangelii nuntiandi, tanto che lo stesso papa Francesco ha dichiarato, scherzosamente, di averla “plagiata”[2]. Richiamando che «il mandato di evangelizzare tutti gli uomini [sic] costituisce la missione essenziale della Chiesa», Paolo VI afferma che evangelizzare è l’identità più profonda della Chiesa (EN 14). Riconosce che ci sono degli elementi così importanti che si tende a identificarli con l’evangelizzazione (l’annuncio di Cristo a coloro che lo ignorano, la predicazione, la catechesi, il battesimo e gli altri sacramenti), ma che l’evangelizzazione è una realtà più ricca, complessa e dinamica di quello e va colta nel suo insieme, abbracciandone tutti gli elementi essenziali (EN 17).
Si tratta di una realtà complessa in quanto evangelizzare viene visto come portare il Vangelo in tutti gli strati dell’umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa. Questo cambiamento interiore è appunto lo scopo dell’evangelizzazione, cioè la conversione della coscienza personale e insieme collettiva delle persone, delle loro attività, della loro vita e ambiente (EN 18). Insomma, per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in zone geografiche o a popolazioni sempre più estese, ma anche di «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (EN 19). La profondità di questo incontro tra Vangelo e vita, che porta ad una sorta di rigenerazione dell’umanità in Cristo, porta alla luce il legame necessario tra evangelizzazione e promozione umana (EN 31)[3], la dinamica dell’evangelizzazione delle culture (EN 20) e della liberazione evangelica (EN 33-39).
L’Evangelii gaudium riprende la prospettiva di Evangelii nuntiandi e, in un certo modo, va oltre affermando che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa (EG 15). Non solo la missione non può essere ai margini della Chiesa, ma anzi ne deve caratterizzare ogni attività. Papa Francesco non presenta una nuova prospettiva teologica o dottrinale, ma propone una riforma pastorale per raggiungere ed incontrare tutti nel mondo.
La questione della missione ad gentes
A questo punto viene spontaneo domandarsi che ne sia della missione ad gentes[4] in una prospettiva in cui la missione è il paradigma di ogni attività della Chiesa. In effetti, si tratta di una domanda già presente nel Concilio che, come abbiamo visto, allora non trovò una risposta coerente alla questione della specificità dell’agire missionario. Si trovò un ampio consenso giustapponendo due prospettive diverse. Il decreto Ad gentes, abbiamo visto, da un lato guarda alla missione come costitutiva della Chiesa, che è per sua natura missionaria (AG 2); dall’altro, distingue le attività missionarie – tra i pagani – dalla cura pastorale che viene svolta in mezzo ai fedeli e dalle iniziative per ristabilire l’unità dei cristiani (AG 6). In altre parole, queste due ultime attività non sono considerate, di per sé, come missionarie, anche se si devono ricongiungere saldamente alle attività missionarie.
L’idea di fondo in cui si inserisce tutto questo è quella per cui da un lato esiste la Chiesa, corpo mistico di Cristo; dall’altro c’è il mondo, a cui il Vangelo deve essere annunziato prima della seconda venuta del Signore, quando la Chiesa sarà raccolta nel regno di Dio (AG 9). Con l’attività missionaria Dio conduce a termine la storia della salvezza estendendo il popolo di Dio. La teologia del Concilio ha valorizzato la presenza dei semi del Verbo e dei valori del Regno nel mondo, al di là dei confini della Chiesa, nelle culture e popoli non cristiani, che interpreta come una sorta di preparatio evangelica[5]. Ma la Chiesa rende presente Cristo con la Parola e i sacramenti, di cui centro e vertice è l’eucaristia; inoltre, l’accoglienza del Vangelo tra popoli non cristiani “purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo (…). Perciò, ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell’anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio” (AG 9). Qui già si intravvede il germe della riflessione missionaria del dopo Concilio che porterà all’immagine di missione come “dialogo profetico” (Bevans – Schroeder 2014).
Nella sua impostazione, l’Evangelii nuntiandi non distingue tra evangelizzazione, cura pastorale ed ecumenismo, come aveva fatto il decreto Ad gentes. Assume invece la prospettiva che evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda, cioè che la Chiesa esiste per evangelizzare. La sua azione, poi, si rivolge ad una vasta gamma di destinatari, a cui dedica tutto il capitolo V. Tale articolazione di destinatari comprende sia i lontani (coloro che non conoscono Cristo, le religioni non cristiane, il mondo scristianizzato, gli atei) che i fedeli (praticanti, non praticanti, comunità di base, fedeli di altre chiese / ecumenismo). Come accennato in precedenza, di tratta comunque di evangelizzazione, pur con approcci e caratteristiche pastorali diverse.
Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Redemptoris missio (1990), prende atto dell’urgenza della missione ad gentes, a partire dal fatto che il numero di coloro che ignorano Cristo era raddoppiato dal tempo della fine del Concilio e che la missione specifica ad gentes viveva una fase di rallentamento. Per questo si propone di invitare la Chiesa ad un rinnovato impegno missionario (RM 2). Di fronte ai rapidi e sostanziali cambiamenti che portano a situazioni inedite e complesse, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali a cui si era abituati, il papa si interroga sulla prospettiva da assumere: «Alcuni, pertanto, si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba ammettere che esiste un’unica situazione missionaria, per cui non c’è che un’unica missione, dappertutto eguale» (RM 32). In particolare, l’enciclica riconosce che la tradizionale distinzione tra terre di missione e paesi cristiani è ormai superata dagli eventi storici. Tuttavia, afferma che «dire che tutta la chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes». Conseguentemente, il testo arriva a distinguere tre situazioni (RM 33):
Tuttavia, l’Enciclica deve subito riconoscere che i confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria non sono nettamente definibili (RM 34). Non approda ancora, cioè, ad una soluzione efficace in grado di rilanciare l’azione missionaria della Chiesa – in particolare in relazione al mondo al di là dei propri confini – in un contesto ecclesiale e mondiale profondamente cambiato. La Redemptoris missio ritorna a giustapporre due prospettive diverse sulla missione (teologica e funzionale-territoriale), e non sembra cogliere l’occasione di porre la questione della “attività missionaria specifica” – o ad gentes – nella prospettiva della relazione tra Chiesa e mondo, come si trova nella Lumen gentium e nella Gaudium et spes.
La Lumen gentium presenta la Chiesa, «popolo di Dio», come «sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). C’è una correlazione tra il tema della salvezza, come partecipazione all’amore di Dio e la volontà unificatrice del Padre (Baldi 2021, 107). Nel piano di Dio di elevare tutta l’umanità alla vita divina, la salvezza non è un fatto semplicemente individuale, ma passa attraverso la costituzione di un popolo messianico che ha per fine il regno di Dio, già incominciato sulla terra e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine della storia verrà portato a compimento da Dio con la seconda venuta di Cristo, includendo la liberazione della creazione (LG 9). Per la Lumen gentium, il popolo messianico non comprende l’universalità delle persone – e non la comprenderà fino alla fine dei tempi – ed anzi potrà apparire addirittura come un “piccolo gregge”, ma comunque rappresenta per l’umanità «il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza», «strumento della redenzione di tutti», inviato a tutto il mondo come sale della terra e luce del mondo (LG 9). Ciò nonostante, tutti sono chiamati a formare il popolo di Dio, secondo il piano di Dio di radunare insieme i suoi figli e figlie disperse in un’unità che prefigura e promuove la pace universale (LG 13). Nella relazione con il mondo, risulterà allora che la Chiesa assolverà la sua missione tanto con l’annuncio diretto di Cristo, quanto con la promozione dell’unità del genere umano e della pace universale. Lo riaffermerà esplicitamente anche il sinodo dei vescovi del 1971, che nel documento conclusivo De iustitia in mundo (“la giustizia nel mondo”) dichiarerà: «L’agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni dato di cose oppressivo» (6).
Il tema del rapporto fra Chiesa e mondo viene trattato in modo particolare nella costituzione pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, che si apre sulle note dell’intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana: la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia (GS 1).
Una delle novità sostanziali della Gaudium et spes è la visione di reciprocità tra Chiesa e mondo: si tratta di un dare e di un ricevere, non di una relazione a senso unico. E la Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel riceverne molto, ha di mira il solo fine che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità (GS 45). La costituzione pastorale riconosce che la Chiesa sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena – «siamo nella stessa barca», sottolineerà papa Francesco durante la pandemia del COVID-19 (Francesco 20201) ed è come il fermento della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio (GS 40).
In una affermazione che richiama l’immagine di Chiesa in Lumen gentium (LG 1), Gaudium et spes afferma che la relazione della Chiesa con il mondo è caratterizzata da due aspetti: comunicare all’umanità la vita divina e diffondere nel mondo la luce che questa vita divina irradia. In particolare, la Chiesa diffonde la luce della vita divina soprattutto per il fatto di risanare ed elevare la dignità delle persone, di consolidare la compagine della società umana e di conferire al lavoro quotidiano un più profondo senso e significato, contribuendo significativamente ad umanizzare la famiglia umana e la sua storia (GS 40). Viceversa, il mondo fornisce in vario modo un aiuto prezioso per preparare le vie al Vangelo. La Chiesa, infatti, riconosce tutto ciò che di buono, di vero e di giusto c’è nelle società umane, soprattutto il movimento verso l’unità, una sana socializzazione e la solidarietà. Avvertendo l’importanza di questi segni dei tempi, il Concilio insiste sul fatto che promuovere l’unità corrisponda all’intima missione della Chiesa (GS 42).
Ciò si comprende pienamente solo nella prospettiva escatologica proposta dal Concilio, per la quale Dio prepara un cielo nuovo ed una terra nuova (GS 39), quando la risurrezione trasformerà l’universo e ciò che è stato seminato, pur nel limite della corruzione, rivestirà l’incorruttibilità, restando solo la carità con i suoi frutti. E dunque, continua la Gaudium et spes,
«benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio. Ed infatti quei valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». (GS 39)
In altre parole, anche la Gaudium et spes insiste sul fatto che promuovere l’unità del genere umano è costitutivamente parte della missione della Chiesa, non soltanto lungo la direzione di un ampliamento, di una estensione della comunione ecclesiale; ma anche nel senso della costruzione del bene comune, attraverso il dialogo, la solidarietà e la pace, considerato in una prospettiva non secolarizzata ma escatologica, guidata dall’azione dello Spirito nella storia.
La missione nell’Evangelii gaudium
Come accennato all’inizio, l’Evangelii gaudium non elabora una nuova visione teologica e dottrinale della missione, ma piuttosto propone una prospettiva pastorale per raggiungere ed incontrare tutti nel mondo. Papa Francesco si ispira alla Evangelii nuntiandi ed al documento conclusivo di Aparecida (2007), rilanciando la missione come il paradigma di ogni opera della Chiesa. Questo comporta due conseguenze, di cui si occupa l’esortazione apostolica di Francesco: ripensare lo stile pastorale secondo criteri missionari (EG 18) e la trasformazione missionaria della Chiesa in uno «stato permanente di missione» (EG 25), affinché possa assumere e vivere coerentemente tale stile missionario.
Anzitutto, l’esortazione apostolica prende subito le distanze da una prospettiva primariamente espansionista e geografica[6] della missione. Riprendendo l’omelia di Benedetto XVI nella Messa di inaugurazione della V Conferenza Generale del CELAM (Aparecida 2007), papa Francesco sottolinea che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione (EG 14). Come l’Evangelii nuntiandi aveva sottolineato, nella dinamica dell’evangelizzazione il primo passo deve necessariamente essere quello della testimonianza della vita (EN 26. 41); poi viene l’importanza e la necessità della predicazione (EN 42), l’edificazione di comunità cristiane, la vita sacramentale e la catechesi, valorizzando anche la religiosità popolare. Insomma, certamente la crescita della Chiesa è parte fondamentale della missione, ma non ne è di per sé il fine ultimo.
Ma, soprattutto, si tratta di una considerazione di carattere pastorale: la Chiesa cresce per iniziativa del Signore, se vive e testimonia anzitutto con la vita la sua fede e la sua relazione trasformante con il Signore. C’è qui un invito a decentrarsi, a mirare alla meta trascendente della missione, come già proposto dalla Gaudium et spes (Dianich 2022, 161). In altre parole, la missione deve affrontare la sfida della credibilità nel mondo contemporaneo. Già per l’Evangelii nuntiandi, l’evangelizzazione richiede fedeltà alle persone a cui si comunica il suo contenuto. Ecco perché il tema del dialogo con le culture e religioni e dell’inculturazione è così prominente nell’esortazione apostolica di Paolo VI ed è ripreso con molta enfasi da quella di papa Francesco.
Come rileva Dianich (2022, 161),
«Questo [dialogo] non comporta alcuna forma di oblio o di emarginazione del kerygma. Perpetuare nel mondo, lungo la storia, la memoria di fede, di Gesù vissuto, crocifisso e risorto, è il motivo puro e semplice per il quale la Chiesa semplicemente esiste. Il dialogo non rappresenta un ostacolo ma, praticato a tutto campo, costituisce la condizione essenziale nella quale le persone possono esprimersi per quello che sono e il credente può dire con libertà anche la sua fede in Gesù risorto e Signore della vita».
Inoltre, nel mondo di oggi così fortemente caratterizzato dalle diversità, culturali e religiose; dalla frammentazione sociale, oltre che dalla sfida di superare le dinamiche colonialiste di sfruttamento, esclusione ed invasione culturale, non è pensabile una missione che miri a una riconduzione a sé di ogni alterità e non sia protesa, oltre che alla comunicazione della fede, anche a una sua integrazione, con la pratica del dialogo e la ricerca di ogni possibile cooperazione al bene comune (Dianich 2022, 160-161). Infatti, la missione apparirà come prolungamento di quella di Cristo solo se si manifesta come dono gratuito, che si manifesta soprattutto nel servizio ai poveri e al generale bene comune di tutta la popolazione (Dianich 2022, 157), senza aspettative o, peggio, pressioni, proselitistiche.
Di qui l’esigenza di una “chiesa in uscita” dalla propria comodità verso tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (EG 20). Una Chiesa missionaria spinta dalla gioia del Vangelo, popolo di Dio che vive immerso nella storia, in continuo esodo ed in costante conversione, secondo la dinamica del dono, dell’uscire da sé, annunciando il Vangelo con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio (EG 259). Comunità cristiane che, in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza, danno testimonianza di comunione fraterna, del prendersi cura gli uni degli altri (EG 99), di comunità autenticamente fraterne e riconciliate: questa è sempre una luce che attrae (EG 100).
Papa Francesco invita la Chiesa a camminare e seminare sempre di nuovo, sempre oltre (EG 21), rispettando «la libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a modo suo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi» (EG 22). L’evangelizzazione è l’azione misteriosa dello Spirito e l’annuncio da parte della comunità ecclesiale è una diaconia dello Spirito, un servizio di mediazione della sua opera (EG 280).
Nel suo insieme, l’Evangelii gaudium propone delle linee guida in merito allo stile missionario della pastorale, all’annuncio del Vangelo e alla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Questa impostazione è coerente con la visione della Lumen gentium e della Gaudium et spes, che hanno definito la Chiesa per natura missionaria, chiamata a crescere in comunione e unità come popolo di Dio e genere umano.
Uno stile pastorale missionario
Il punto di partenza di una pastorale missionaria è l’intima comunione con Gesù, personale e comunitaria, da cui nasce l’esperienza fondamentale di essere suoi discepoli-missionari, chiamati ad essere più vicini alla gente, generare ambiti di comunione viva e di partecipazione, orientati completamente alla missione (EG 28).
Missione che si esplica anzitutto come “Chiesa in uscita” verso le periferie e sempre nuovi ambiti socioculturali (EG 30), con una attenzione particolare verso i poveri, destinatari privilegiati del Vangelo (EG 48). È una chiesa con le porte aperte per accogliere, ascoltare, accompagnare chi è rimasto al bordo della strada (EG 46). Insomma, una chiesa in uscita per offrire a tutti la vita di Gesù Cristo (EG 49), annunciando il vangelo in tutti i luoghi, in tutte le occasioni senza indugio, senza repulsioni e senza paura (EG 23).
L’esortazione apostolica descrive anche la prassi missionaria, usando cinque verbi: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare (EG 24). Si tratta cioè di andare incontro, cercare i lontani, invitare gli esclusi. Il coinvolgimento riguarda la solidarietà con la gente, il fare causa comune, assumendo la vita umana toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Tale comunione viene resa con un’immagine plastica: “gli evangelizzatori hanno così l’odore delle pecore e queste ascoltano la loro voce”. È una vicinanza necessaria per accompagnare l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere, con misericordia e pazienza. Il Signore è presente e all’opera lungo questo percorso, e la comunità, sempre a lui unita, porta frutto: si prende cura del grano e non perde la pace per la zizzania. La Parola che si incarna in una situazione concreta di vita porta frutti di vita nuova, manifestando la sua potenza liberatrice e rinnovatrice, benché i frutti appaiano imperfetti o incompiuti. Infine, nella gioia del Vangelo, la comunità evangelizzatrice sa celebrare e festeggiare ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione, nella bellezza della Liturgia, che è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi.
L’annuncio, in particolare, deve concentrarsi sul kerygma, andare all’essenziale, cioè la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto (EG 35-36). In considerazione degli enormi e rapidi cambiamenti culturali, è necessario prestare costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio comprensibile e significativo per chi le ascolta (EG 41). Questo rientra nel grande tema dell’inculturazione del Vangelo, con i suoi aspetti di valorizzazione dei semi del Verbo e di critica profetica.
Infine, l’esortazione apostolica sottolinea che la pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così” e invita ad essere audaci e creativi nel ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori. Questo, tuttavia, non va fatto camminando da soli, ma in comunione sinodale nella Chiesa (EG 33).
Evangelizzazione integrale
La visione di evangelizzazione espressa in Evangelii gaudium riprende quella di Evangelii nuntiandi, che insiste sulla ricchezza, complessità e dinamismo di tale nozione (EN 17), che per essere compresa richiede di abbracciarne con lo sguardo tutti gli elementi essenziali: la testimonianza di vita, la necessità dell’annunzio, l’adesione vitale e comunitaria, l’evangelizzazione delle culture e l’aprirsi a un impegno apostolico anche di chi è stato appena evangelizzato (EN 20-24). L’evangelizzazione non si riduce alla proclamazione del Vangelo – annuncio della Parola – ma coinvolge tutta la vita cristiana, dalla conversione alla testimonianza, dai sacramenti all’apostolato (Colzani 2010, 112).
Analogamente, Evangelii gaudium afferma che evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio (EG 176). Fermo restando che «non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore, e senza che vi sia un primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione» (EG 110), papa Francesco vuole condividere le sue preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione perché se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice (EG 176).
Sulla scia di Paolo VI, papa Francesco riprende le motivazioni di carattere antropologico, teologico ed evangelico che connettono intimamente evangelizzazione e promozione umana[7], sottolineando le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma (EG 177-184). Tuttavia, l’impostazione di Evangelii gaudium sviluppa considerevolmente tale prospettiva a partire dalla centralità dell’immagine di Chiesa come popolo messianico di Dio. Così, tanto il terzo capitolo – dedicato all’annuncio del Vangelo – quanto il quarto – sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione – mettono a tema il diventare popolo di Dio.
Vale la pena ripercorrere sommariamente il filo di questo discorso nell’Enciclica. L’evangelizzazione inizia con l’iniziativa divina, con la quale la Chiesa collabora, ma il primato rimane della grazia. Le persone che accolgono il Vangelo sono convocate come popolo, non come esseri isolati. Riuniti come popolo messianico, secondo il grande progetto di amore del Padre, sono fermento di Dio in mezzo all’umanità. È un popolo dal volto pluriforme, incarnato nei popoli della terra, ciascuno con la propria cultura e doni che arricchiscono la maniera in cui il Verbo è annunciato, compreso e vissuto. Lo Spirito Santo costruisce la comunione e l’armonia del popolo di Dio, e suscita una molteplice e varia ricchezza di doni, sicché l’unità non è mai uniformità, ma multiforme armonia che attrae.
Tutti sono chiamati ad essere discepoli-missionari: in virtù del battesimo ciascuno è soggetto evangelizzatore. Infatti, se uno ha fatto realmente esperienza dell’amore di Dio che salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, per dare testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore. A condizione di lasciarsi costantemente evangelizzare dagli altri, perché il cammino di conversione e di crescita continua nella comunità dei fedeli. In questa dinamica, il Vangelo si incultura in un popolo, che diventa così soggetto collettivo evangelizzatore. E nel suo processo di trasmissione culturale, comunica anche la fede in modi sempre nuovi: da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. Si può dire che il popolo evangelizza continuamente se stesso e qui riveste importanza la pietà popolare, espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio e realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è protagonista. Se il Vangelo si è incarnato in una cultura, infatti, non si comunica più solamente attraverso l’annuncio da persona a persona, che rimane comunque fondamentale.
Dal momento che non è sufficiente la preoccupazione di giungere ad ogni persona e il Vangelo si annuncia alle culture nel loro insieme, la teologia, in dialogo con altre scienze ed esperienze umane, riveste una notevole importanza per pensare come far giungere la proposta del Vangelo alla varietà di contesti culturali e dei destinatari. Le università sono un ambito privilegiato per pensare e sviluppare questo impegno di evangelizzazione in modo interdisciplinare e integrato.
Infine, il mandato missionario del Signore comprende l’appello alla crescita della fede indicando di insegnare ad osservare tutto ciò che Lui ha insegnato (Mt 28,20). Viene sottolineato il ruolo della iniziazione mistagogica, dell’accompagnamento spirituale e della centralità della Parola di Dio nel percorso di approfondimento del kerygma.
Essere come un sacramento dell’unità del genere umano, d’altra parte, richiede che la Chiesa affronti due grandi questioni, fondamentali nel mondo odierno: l’inclusione sociale dei poveri – in un tempo in cui le disuguaglianze e l’impoverimento dei più continuano a crescere rapidamente – e il tema della pace e del dialogo sociale – in un mondo sempre più diviso e divisivo, conflittuale e violento.
Papa Francesco mette in evidenza la chiamata ad ascoltare, uniti a Dio, il grido dei poveri e dei popoli, oppressi ed esclusi. Riconoscendoli come soggetti, nella loro irriducibile identità, ogni cristiano ed ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che possano integrarsi pienamente nella società. Si tratta anche di collaborare a risolvere le cause strutturali della povertà e di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità e della priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci. Invece, serve vino nuovo in otri nuovi, cioè nuove strutture socioeconomiche con l’ispirazione del regno di Dio: questa è la trasformazione sociale frutto dell’evangelizzazione della società. Una trasformazione che include i poveri, che hanno un posto preferenziale nel cuore di Dio, come soggetto di tale trasformazione.
Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a fare causa comune con loro, ad essere loro amici, ascoltarli, comprenderli, a lasciarci evangelizzare da loro, che con le loro sofferenze conoscono il Cristo sofferente, e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.
La pace e l’unità del genere umano, d’altro canto, si costruiscono giorno per giorno nel perseguimento di una giustizia più perfetta tra le persone e i gruppi umani. Diventare popolo richiede più di una cittadinanza attiva e una partecipazione alla vita politica: serve un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo, che esige di volersi integrare e di imparare a farlo, fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia. Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, papa Francesco presenta quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzano all’interno di un progetto comune[8].
Nell’annunciare Gesù Cristo, che è la pace in persona, la nuova evangelizzazione sprona ogni battezzato e le comunità cristiane ad essere strumento di pacificazione e testimonianza credibile di una vita riconciliata. è tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo come forma d’incontro, la ricerca di un consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni. L’autore principale, il soggetto storico di questo processo, è la gente e la sua cultura. Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale. Evidentemente, soprattutto in questo ambito, risalta la prospettiva escatologica della missione, tenendo conto che si tratta di situazioni in cui Chiesa e mondo condividono un destino comune.
In tutto questo, vediamo un’anticipazione della riflessione che papa Francesco svilupperà successivamente nelle sue encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. Troviamo, infatti, nell’Evangelii gaudium una dichiarazione che le introduce piuttosto chiaramente:
«Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli» (EG 183).
Conclusione
Il Magistero della Chiesa oggi ci propone una visione di missione come connaturata alla Chiesa, prima ancora che esserne un compito. Dire che la missione è il paradigma di tutte le attività della Chiesa, significa superare la divisione tra cura pastorale, rievangelizzazione e missio ad gentes. Ciò non significa affatto che queste tre situazioni diverse di evangelizzazione diventino equivalenti, perché è sul piano pastorale che avviene la differenziazione, con lo sviluppo di pastorali specifiche, sviluppate per contesti diversi. Al tempo stesso, tali pastorali specifiche sono chiamate ad avere lo stesso spirito missionario, o uno stile di missione che la Evangelii gaudium rielabora e presenta in modo piuttosto articolato.
Fermo restando che non c’è evangelizzazione senza proclamazione di Gesù Cristo e del kerygma, l’evangelizzazione è una realtà complessa che non può essere ridotta solamente all’annuncio di Cristo a coloro che lo ignorano, alla predicazione, alla catechesi, al battesimo e agli altri sacramenti. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio e ciò avviene secondo varie modalità, inclusa la dimensione sociale. Nella consapevolezza che tutto è connesso, la Chiesa ci invita ad uno stile integrale di evangelizzazione, che non separi o addirittura contrapponga l’aspetto liturgico-catechetico-sacramentale a quello sociale.
Per quanto riguarda il contesto specifico della missio ad gentes, oggi non è più proponibile pensarla in termini di proselitismo. Invece, per comprendere il ruolo che la ad gentes assume oggi, dobbiamo collocarla nel contesto della relazione tra la Chiesa e il mondo. Il magistero di papa Francesco, in continuità con il magistero conciliare, si impernia sull’immagine di Chiesa come popolo messianico di Dio, segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano.
Da un lato tutti sono invitati ad entrare in questa comunione in Cristo; dall’altro, c’è una dimensione escatologica del piano di Dio. Pertanto, la Chiesa è vista anche come lievito, fermento, insomma una piccola parte nella pasta del mondo. Piuttosto che organizzarsi per far diventare “lievito” il mondo che è “l’impasto”, la Chiesa è chiamata a vivere la gioia del Vangelo e crescerà per attrazione. L’evangelizzazione porta una trasformazione profonda del mondo, nella quale non ci sarà uniformazione, ma una comunione nelle diversità.
La Chiesa dà e riceve molto dal mondo, in un cammino che ha come orizzonte il Regno di Dio. Infatti, il Regno è presente anche al di là dei confini della Chiesa, che nell’incontro con i popoli, trova i semi del Verbo, la presenza e il dinamismo dello Spirito. Nel dialogo con queste realtà che incontra, emerge l’importanza dell’inculturazione del Vangelo, in cui la Chiesa dà e riceve: la fede si arricchisce dei doni delle culture e dei popoli, nei quali ogni elemento di bene presente non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato.
La Ad gentes allora si pone in dialogo profetico con il mondo, spingendosi oltre i confini della Chiesa, per raggiungere tutti con il messaggio di Gesù Cristo e del Regno che ha annunciato, e diventare popolo di Dio, secondo le modalità che Dio vorrà e realizzerà.
Fr. Alberto Parise, MCCJ
Luglio 2023
Bibliografia
Documenti magisteriali:
Concilio Vaticano II (1964) Lumen gentium.
________ (1965) Ad gentes.
________ (1965) Gaudium et spes.
Francesco (2013) Evangelii Gaudium.
________ (2015) Laudato si’.
________ (2020) “Meditazione del momento straordinari di preghiera in tempo di pandemia”, Città del Vaticano: 27.03.2020 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2020/documents/papa-francesco_20200327_omelia-epidemia.html)
________ (2020) Fratelli tutti.
Giovanni Paolo II (1990) Redemptoris missio.
Paolo VI (1964) Ecclesiam suam.
________ (1974) Evangelii nuntiandi.
Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso (1991) Il dialogo e l’annuncio.
Sinodo dei vescovi (1971) De iustitia in mundo.
Testi di riferimento:
Baldi, C. (2021) Riunire i dispersi. Lineamenti di pastorale missionaria, Roma: TAB.
Bevans, S.B. - Schoroeder, R.P. (2014) Dialogo profetico. La forma della missione per il nostro tempo. Bologna: EMI.
Bosch, D.J. (2000) La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia. Brescia: Queriniana.
Colzani, G. (2010) Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico delle Chiese: 1945-2007. Cinisello Balsamo: Ed. San Paolo.
Dianich, S. (2022) Di fronte all’altro. La missione della Chiesa. Cinisello Balsamo: Ed. San Paolo.
Pandolfi, L. (a cura di). (2021) Evangelizzazione e dialogo con il mondo. La missione della Chiesa dalla Redemptoris missio a oggi. Roma: Urbaniana University Press.
[1] «L’azione propriamente missionaria, per mezzo della quale la Chiesa è impiantata nei popoli o nei gruppi dove ancora non è stata radicata, viene assolta dalla Chiesa soprattutto mandando gli annunziatori del Vangelo fino a quando le nuove Chiese non siano pienamente costituite, vale a dire quando siano dotate di forze proprie e di mezzi sufficienti, per cui esse stesse siano capaci da sé di compiere l’opera di evangelizzazione».
[2] Cf. https://lettera.org/wordpress/papa-francesco-confessa-il-plagio-in-tv-la-dottrina-non-e-nuova/
[3] EN 31: “Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - ci sono infatti dei legami profondi. Legami di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo? Noi abbiamo voluto sottolineare questo ricordando che è impossibile accettare che «nell’evangelizzazione si possa o si debba trascurare l’importanza dei problemi, oggi così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel mondo. Sarebbe dimenticare la lezione che ci viene dal Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso». Ebbene, le medesime voci che con zelo, intelligenza e coraggio hanno affrontato nel corso del citato Sinodo questo tema cruciale, hanno offerto, con nostra grande gioia, i principii illuminanti per cogliere la portata e il senso profondo della liberazione quale l’ha annunziata e realizzata Gesù di Nazareth, e quale la predica la Chiesa.”
[4] Storicamente, la prospettiva ad gentes si consolida nel XVII secolo, quando l’Europa si era affacciata su una geografia mondiale enormemente ampliata e la Chiesa coglieva l’imperativo di diffondere nel mondo la fede in Gesù Cristo. Con la Bolla Inscrutabili, Gregorio XV istituisce il dicastero pontificio de Propaganda Fide per predicare ed insegnare il vangelo in tutte le missioni e sovraintendere alla dottrina cattolica (Baldi 2021, 47). Questo rappresentava una svolta rispetto al sistema coloniale del “Patronato”, riportando le missioni sotto la responsabilità papale, anziché quella dei sovrani portoghesi e spagnoli nei territori del cosiddetto “nuovo mondo”. L’accento veniva posto sul carattere dottrinale della propagazione del Vangelo, attraverso la predicazione, legando l’attività missionaria a quella magisteriale. Così missione, predicazione ed evangelizzazione diventano progressivamente sinonimi (Baldi 2021, 48).
Dopo il periodo illuminista in Europa, con il suo sentimento anticattolico e la denuncia della complicità o connivenza delle missioni con l’intrapresa coloniale, il XVIII secolo conosce una rinascenza del movimento missionario, che avviene in concomitanza di un rinnovamento spirituale in Europa – si pensi alla diffusione della spiritualità del Sacro Cuore – e anche culturale di quell’epoca, con il sentire comune di un ruolo civile della religione cristiana. La finalità della missione diviene duplice, cioè religiosa e civile: da un lato la diffusione della fede, dall’altro la civilizzazione, proponendo il binomio fede e civiltà, o evangelizzazione e civilizzazione (Baldi 2021, 51). In sostanza, la missione si connota per una visione territoriale ed espansionistica della cristianità, come una funzione di servizio della Chiesa. Visione che persisterà anche nello sviluppo della riflessione sulla missione del XX secolo, specie nella sua prima metà, quando il dibattito si articolerà con i contributi delle scuole missiologiche di Münster e Lovanio.
[5]Ciò si riscontra chiaramente in passi di AG 9. 11, LG 16. 17, GS 42, ES 4.
[6]È interessante notare che nella sezione introduttiva, Evangelii gaudium riprende lo schema della Redemptoris missio che distingueva tre situazioni di evangelizzazione: missione ad gentes, cura pastorale, nuova evangelizzazione (nel senso di rievangelizzazione). Ma lo fa con delle differenze significative: anzitutto, queste tre situazioni vanno tutte riferite alla “nuova evangelizzazione”, che non è una semplice “rievangelizzazione”. In secondo luogo, la missione ad gentes è valida, come situazione, anche in paesi di antica tradizione cristiana (EG 14). Il paradigma “geografico” ha ormai perso la sua utilità nella riflessione sugli ambiti di evangelizzazione.
[7] Cf. EN 31, riferimento implicito che stranamente non viene citato in EG 178.
[8]I quattro principi sono: 1. Il tempo è superiore allo spazio; 2. L’unità prevale sul conflitto; 3. La realtà è più importante dell’idea; 4. Il tutto è superiore alla parte. In riferimento a questo quarto principio, EG 236 spiega: «Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti».