Giovedì 2 giugno 2022
La prima giornata del XIX Capitolo Generale dei Missionari Comboniani, che si sta svolgendo dal 1 al 30 giugno, nella Casa Generalizia dell’Istituto a Roma, è iniziata con le lodi. Dopo i capitolari si sono ritrovato nel giardino della casa per una prima breve dinamica di conoscenza, seguita poi da incontri in nove gruppi linguistici, nei quali ciascuno ha avuto la possibilità di presentarsi agli altri. [Nella foto, messa conclusiva della giornata, presieduta da P. Jeremias dos Santos Martins]

Una presentazione più approfondita è avvenuta già in sala capitolare dove ciascuno ha avuto il tempo per descrivere l’attività ministeriale che ha svolto nel corso del suo servizio come missionario comboniano. Ad aiutare questa presentazione è stato preparata una diapositiva per ciascuno, che conteneva oltre la foto, i principali dati del “curriculum vitae” personale. Dai 69 capitolari con diritto a voto, 27 sono già stati una o più volte ad altri capitoli generali, mentre 42 stanno partecipando per la prima volta.

Al pomeriggio, i capitolari si sono ritrovati di nuovo in gruppi per condividere come ciascuno si senti e quali sono le sue attese per questo capitolo. Ogni gruppo ha poi scelto un simbolo che è stato spiegato durante la messa conclusiva della giornata, presieduta da P. Jeremias dos Santos Martins.

Vari gruppi hanno scelto il simbolo del ramo o dell’albero dell’olivo, con tutta la sua ricchezza biblica e la preziosità dei frutti. Altri simboli sono stati, per esempio, un cactus – una pianta che resiste nei terreni duri –, una “capulana” – tessuto multiuso che serve, soprattutto in Africa, per coprire e proteggere…–, il disegno di una barca che prende il largo, una piantina di alloro, per le sue qualità terapeutiche e una pentola con tre pietre dentro.

P. Roberto Turyamureeba, vice provinciale e delegato al XIX Capitolo Generale della Provincia di Lingua Tedesca (DSP).

Eucaristia del 1° giugno 2022
Omelia di P. Jeremias dos Santos Martins

Non per scelta nostra, ma per un dono della Provvidenza di Dio, celebriamo questo Capitolo in un contesto particolare: dopo due anni in cui abbiamo lottato contro il covid e, adesso, mentre una guerra brutale e insensata semina morte e sofferenza in tutto il mondo. Nel corso del Capitolo celebreremo le feste della Pentecoste e del Sacro Cuore di Gesù.

Quando il Consiglio Generale ha convocato il Capitolo, il 19 giugno 2020, festa del Sacro Cuore di Gesù, ha scelto come ispirazione la frase del vangelo: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto” (Gv 15,5). Il motivo principale di questa scelta è che ci è sembrato che la nostra comunione con Cristo fosse mancante nella nostra vita e nella missione e che, per questo, ci manca anche, tante volte, l’entusiasmo missionario e la disponibilità/docilità ad accettare la missione come un dono che ci è offerto da Dio attraverso l’Istituto. Un dono, non una scelta mia!

Rimanere in Cristo, abitare in lui e lasciarsi abitare è la condizione sine qua non per essere missione, per essere comunità e mettersi in cammino avendo i poveri come compagni e maestri. Senza questo, dice Comboni nelle Regole, il missionario finirebbe per ritrovarsi in una specie di vuoto e di intollerabile isolamento (Regole X).

Gli atti degli apostoli parlano di Paolo in partenza per Gerusalemme, in una celebrazione piena di affetto e di commozione, nell’addio agli anziani di Efeso. Paolo dice, in questo capitolo 20 degli atti, terzo viaggio missionario di Paolo, che è costretto dallo Spirito, o meglio, in greco, “incatenato” (dedeménos) dallo Spirito” che gli aveva fatto intendere che lo attendono “catene e tribolazioni”.

Nel vangelo, ultima parte dei discorsi di addio, alla fine della sua missione sulla terra, Gesù consegna al Padre i suoi discepoli: custodiscili nel tuo nome, … perché siano una sola cosa, come noi. E ancora: Consacrali nella verità. La tua parola è verità.

Quello che accomuna Gesù e Paolo è la loro consegna totale e senza riserve alla missione affidata loro, fino alla fine. Vivono la missione in un modo totale, disposti a tutto affinché il messaggio del Regno arrivi ai confini della terra. Tutti noi conosciamo confratelli che sono o sono stati esempi di questa dedizione totale alla missione, che hanno seguito i passi di Comboni. Io ne ho conosciuti alcuni in Mozambico e in Sudafrica e per questo sono grato a Dio, a loro e all’Istituto. Quanta bellezza, quanta gioia, quanta speranza e quanti sogni abbiamo sperimentato, insieme anche a tante sofferenze e fragilità! Sfortunatamente, ci sono anche dei confratelli che “toreano la missione” e non hanno la capacità di affrontarla e prenderla per le corna, come si dice, con tutte le sue conseguenze, come fanno i “forcados” portoghesi.

In questi giorni, partendo delle varie relazioni al Capitolo, che ognuno ha già letto, almeno in parte, e da tutto il materiale che ci è stato consegnato, mi è venuto un desiderio interiore di mettermi in cammino con due atteggiamenti che considero fondamentali: l’ascolto e il silenzio.

L’ascolto: ascoltando ci immedesimiamo nella vita dell’Istituto e della gente. Ascolteremo tante parole, tanti eventi, tanta storia di salvezza. Ascolteremo Dio che ci parla nella sua Parola, nella scrittura e nell’eucarestia, e nella gente e nei contesti in cui ci troviamo. Tuttavia, è importante chiederci come ascoltiamo.

La scrittura ci dice che Dio parla e ascolta con umiltà e invita anche noi a parlare con rispetto e ad ascoltare con un cuore umile. Si ascolta veramente solo quando lo si fa con l’orecchio del cuore, che vale a dire, con l’orecchio di Dio.

Il silenzio: fa fruttificare l’ascolto e lo trasforma in preghiera. Bisogna dare spazio al silenzio. E questo non sarà facile, perché avremo tanto bisogno di parlare, di comunicare, di raccontare e di raccontarci. Nel silenzio possiamo discernere la voce dello Spirito in mezzo alle tante voci che ascolteremo e sentire dove lo Spirito vuole portarci. Guai a noi se vivremo questi giorni talmente occupati con il fare e il chiacchierare da non trovare il tempo per ponderare e contemplare quello che ascoltiamo.

Auguriamoci a vicenda che cresca in noi questo desiderio dell’ascolto e del silenzio, e che si realizzi in mezzo a noi la profezia di Gioele: io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni.

Concludo con la parola di un grande vescovo brasiliano, Hélder Câmara, che ha saputo ascoltare e fare cammino con i fratelli più poveri come è anche nostro desiderio e vocazione: partire! Partire è anzitutto uscire da sé. Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro “io”. Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore. È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esige dei compagni. Partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e umano.

La giornata si è conclusa con una cena fuori, in giardino della casa, insieme agli altri comboniani che lavorano nella Direzione generale a Roma.

Per conoscere i partecipanti al XIX Capitolo Generale, clicca qui.