Mercoledì 8 dicembre 2021
Il percorso di preparazione del XIX Capitolo Generale dei Missionari Comboniani si articola in una molteplicità di spazi di dialogo e riflessione. Si va dalle risposte personali o comunitarie ad un questionario pensato per raccogliere le valutazioni del percorso realizzato negli ultimi sei anni, alle assemblee e relazioni provinciali e continentali; dalla condivisione di riflessioni attraverso articoli pubblicati nei siti e organi di comunicazione dell’Istituto, al dialogo nelle comunità.
L’ampiezza della partecipazione alla riflessione è difficile da misurare proprio per questa articolazione degli spazi di comunicazione. Ci sono anche confratelli che non rispondono al questionario e non scrivono articoli, ma pregano per il Capitolo Generale e per l'Istituto, come fanno anche varie province e comunità. La preghiera, infatti, è un modo in cui i confratelli partecipano alla preparazione e allo sviluppo del Capitolo Generale, pur senza scrivere nulla. Le relazioni continentali, sebbene preparate dai rappresentanti delle circoscrizioni, utilizzano molto del materiale delle relazioni delle circoscrizioni che, in generale, cercano di incoraggiare il lavoro di base.
Ciò nonostante, accogliamo con gratitudine spunti intesi ad animare una riflessione per arricchire il percorso capitolare. A questo proposito, ci riallacciamo a un contributo di p. Manuel Augusto Lopes Ferreira pubblicato sul sito istituzionale (comboni.org) e su MCCJ Bulletin n° 289, ottobre 2021, pp. 100-111.
La necessità di una riflessione epocale
Nel suo articolo, intitolato Lo stato del carisma fondazionale, p. Manuel Augusto ha il merito di riproporre gli inviti di papa Francesco agli istituti religiosi a “verificare, nelle assemblee o nei capitoli, lo stato del carisma fondazionale e a fare i cambiamenti necessari nelle proprie legislazioni”. Si parla di carisma fondazionale, di cambiamenti e di costituzioni perché la fedeltà al carisma, in momenti storici particolari, può richiedere di andare oltre le sue espressioni storicamente determinate. È importante distinguere il carisma da un modello storico della missione di un Istituto. Il carisma rimane, ma le sue espressioni possono variare in corrispondenza di cambiamenti epocali, come è il caso nella presente fase storica che stiamo vivendo. Come sottolinea l’articolo di p. Manuel Augusto, papa Francesco suggerisce che “non siamo noi che possediamo definitivamente un carisma, ma è il carisma che, in modo dinamico e come realtà di grazia divina, ci possiede nelle singole stagioni della nostra vita, nelle varie epoche e generazioni dell’Istituto. Perciò, occorre ‘approfondirlo sempre meglio, riflettere sempre insieme per incarnarlo nelle nuove situazioni che viviamo’ (…) in questo senso, siamo discepoli missionari ‘sempre in cammino, sempre in conversione, sempre in discernimento’”. Coerentemente, l’articolo sostiene che non si può evitare la necessità di una verifica dei modelli di missione che portiamo avanti nei vari continenti [1].
Il mondo, infatti, è cambiato a tal punto che i modelli di missione del passato, gli approcci missionari e pastorali – un tempo efficaci e significativi – ormai possono aver fatto il loro tempo. Per questo nell’Enciclica Evangelii gaudium (EG), papa Francesco ci aiuta a riconoscere i caratteri nuovi della nostra epoca e ci invita ad essere chiesa in uscita, in risposta alle sfide che caratterizzano il nostro tempo. Lo Spirito ci chiama ad una conversione per essere discepoli-missionari di Gesù in un mondo profondamente cambiato. Così, in EG 33, Francesco insiste:
La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale.
Già in queste parole risuona la visione di un cammino di comunione, fatto con stile sinodale, che ci viene proposto oggi come percorso concreto della chiesa attraverso il sinodo sulla sinodalità. Il processo capitolare stesso è un’esperienza di sinodalità a livello d’Istituto ed apprezziamo l’invito di P. Manuel Augusto alla partecipazione di tutti i comboniani alla preparazione del Capitolo. Egli esprime la sua preoccupazione [2] per il numero piuttosto limitato di contributi alla riflessione finora condivisi e di risposte al questionario di verifica dei cammini indicati dal Capitolo scorso. Sarebbe interessante capire perché questo stia avvenendo e ciò richiederebbe un processo di ricerca sistematico. La sfida principale, ad ogni modo, è quella di pensare creativamente a percorsi che facilitino la partecipazione, l’ascolto reciproco e gli inviti che lo Spirito ci fa per accompagnarci nel fare la volontà di Dio.
Discernimento nello stile di Comboni
La strada che papa Francesco indica, dal punto di vista metodologico, ricorda molto l’esperienza di Comboni. Il nostro fondatore era cresciuto nell’Istituto Mazza, all’interno di un movimento missionario la cui strategia era quella di “prendere d’assalto” l’interno del continente e contemporaneamente riscattare dei giovani africani, educarli in Europa per poi rimandarli in Africa come evangelizzatori. Alla prova dell’esperienza, Comboni si accorge che questo non funziona. Si mette in ricerca, conosce tante altre esperienze attraverso amicizie, frequentazioni e studio; raccoglie informazioni e riflessioni. Ma soprattutto, si cala nella realtà, con mente e cuore aperti, mettendosi in gioco. Qui risuona uno dei quattro principi che papa Francesco ricorda in Evangelium gaudium, cioè che la realtà è più importante dell’idea (EG 231-233). Quando arriva a concepire il Piano per la rigenerazione dell’Africa con l’Africa, non lo fa a partire da una teoria, o da un sistema già costituito. Ci arriva attraverso un discernimento, basato sull’ascolto della realtà, del grido dell’Africa, delle esperienze – in gran parte dolorose – della missione degli anni precedenti. Così come è capace di una sapiente lettura dei tempi e dei luoghi, per cui considera i modelli di missione nel loro contesto storico e geografico; il tutto nella preghiera, nell’apertura allo Spirito, di cui coglie gli inviti che gli indicano la volontà di Dio.
Riteniamo che un simile approccio sia ciò di cui abbiamo bisogno ancora oggi. Partire dalla vita, dalla realtà e avviare processi, cammini di comunione, costruendo percorsi di ricerca condivisa (“il tempo è superiore allo spazio”, EG 222-225).
Questo è possibile se crediamo che “l’unità prevale sul conflitto” (EG 226- 230). Crederlo veramente significa adottare una metodologia inclusiva, che accoglie le differenze (di per sé generatrici di conflitti) e che porta a costruire assieme un orizzonte condiviso, in cui ognuno si può riconoscere senza venire assimilato dagli altri.
Su questo terreno si vince la sfida dell’interculturalità, a cui si può arrivare attraverso l’accoglienza reciproca, il dialogo, l’ascolto in profondità (dell’altro e dello Spirito) e il trascendere le differenze senza annullarle. Così prende vita una realtà nuova, si diventa “popolo” secondo l’immagine, tanto cara a papa Francesco, del poliedro (“il tutto è superiore alla parte” ed anche alla somma delle parti, EG 234-237).
Crediamo che una riflessione su modelli di missione [3] e carisma dovrebbe avere tali caratteristiche e che sia possibile farla perché ci sono dei metodi appropriati per condurla.
Quattro cammini interconnessi
Oltre alla verifica sulla missione, il Capitolo propone anche quella sulla formazione, sulla sostenibilità e sulla Regola di Vita. Questi aspetti sono interconnessi, e vanno considerati come componenti essenziali di un ecosistema missionario o – per usare altri termini – di un paradigma o modello di missione. Pertanto, riflettere sulla dimensione economica non significa solamente guardare a come finanziare il ministero missionario, ma al significato missionario delle scelte economiche, dello stile di vita e delle nostre strutture. Tutto questo è parte integrante di ogni modello di missione. Il rischio è dunque quello di isolare questi aspetti e non coglierne il significato e le implicazioni nel nostro ecosistema missionario.
Lo stesso vale per la riflessione sulla formazione e quindi è importante valutare la coerenza dei processi educativi in riferimento alle scelte missionarie dell’Istituto. Un aspetto delicato di tutto ciò è la visione educativa che soggiace al nostro sguardo sulle pratiche educative dell’Istituto. L’Istituto ha fatto delle scelte in questo senso, quando ha adottato il modello educativo dell’integrazione. Ma ciò non vuol dire che poi lo sguardo dei comboniani nel valutare la formazione si fondi su questo punto di vista. É importante averne consapevolezza, distinguere le prospettive e rendersi conto della propria parzialità [4]. Il dialogo, anche in questo caso, necessita della ricerca di una prospettiva interculturale. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per arrivare ad una visione più completa della complessità e dell’articolazione dell’interconnessione missione-formazione-economia.
Conclusione
Come papa Francesco ha varie volte sottolineato, viviamo un cambiamento d’epoca. Per questo, occorre un discernimento affidabile come Istituto per comprendere a cosa il Risorto ci sta chiamando in questa nuova realtà che sta emergendo. Come Comboni ci ha mostrato, è importante partire dalla realtà, dalla vita, più che dai cliché del passato o del presente. Mettersi in ascolto del grido della Terra e del grido dei poveri, come ci chiede papa Francesco. E tenere al centro il Vangelo – Gesù di Nazareth – e l’azione dello Spirito, in un dialogo che accolga le diversità, senza annullarle. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, dei diversi punti di vista, alla ricerca di un orizzonte condiviso in cui ognuno possa riconoscersi senza cancellare le differenze. Un simile percorso è possibile, ma richiede un metodo sistematico che consenta: di riconoscere ed accogliere la diversità di esperienze, il dialogo interculturale per esplorare nuovi orizzonti possibili, l’ascolto in profondità dello Spirito, il trascendere le differenze senza annullarle. Generalizzazioni, assolutizzazioni e idealizzazioni non agevolano questo cammino di comunione. La sfida è quella di costruire partecipativamente, con pazienza, una visione condivisa di un modello comboniano di missione che risponda alle sfide del nostro tempo.
P. González Galarza Fernando
Fr. Parise Alberto
P. Arlindo Ferreira Pinto
[1] Tuttavia, il timore del “rischio di perdere l’identità missionaria e la significatività nella Chiesa” espresso dall’autore e che per lui motiverebbe tale verifica ci appare piuttosto ambiguo: sottintende forse un’idea particolare, storicamente determinata di “identità missionaria”? In che relazione si pone con la realtà del pluralismo culturale, anche all’interno dell’Istituto, e dell’inculturazione del carisma? E come si intende misurare la “significatività” nella chiesa?
L’autore, inoltre, scrive: “C’è una sensazione diffusa tra noi: che, nei suoi vari ambiti, il carisma fondazionale comboniano abbia progressivamente perso spinta, vitalità. L’intensità di questa sensazione varia secondo continenti e paesi, ma la sensazione costituisce un filo comune che unisce la varietà delle situazioni ecclesiali e sociali in cui viviamo”. Non siamo al corrente di alcuno studio scientifico a riguardo che giustifichi queste affermazioni, né l’autore ne cita alcuno. Dissentiamo con il metodo di generalizzare impressioni e idee personali e di presentarle come realtà fattuale.
[2] Ringraziamo p. Manuel Augusto per la condivisione delle sue impressioni; dissentiamo, tuttavia, dalle conclusioni che trae in modo ingiustificato ed arbitrario. Crediamo che per interpretare lo stato d’animo dei confratelli a riguardo del processo capitolare sia necessario chiedere loro cosa sentano e cosa pensino, e raccogliere dati in modo sistematico e valido. Non è sufficiente osservare un basso livello di risposte ai questionari, per esempio, per concludere che manchi l’interesse per la riflessione. Così come concludere che un fattore che non ha favorito il coinvolgimento di tutti sia il fatto di avere quattro tematiche e cammini di riflessione per la verifica capitolare: questa potrebbe anche essere un’ipotesi ammissibile, ma deve essere prima verificata sperimentalmente per poterla addurre come causa conclamata.
[3] L’articolo citato offre una riflessione sui modelli di missione che l’Istituto seguirebbe in Europa e in Africa attraverso delle sommarie generalizzazioni, peraltro decisamente giudicanti, senza alcun supporto di dati fattuali. Ne emerge un quadro d’insieme che non riteniamo condivisibile, ma che soprattutto non aiuta la riflessione in quanto non getta alcuna luce sulla realtà, non aiuta in alcun modo a comprendere cosa stia veramente accadendo e perché. Inoltre, non troviamo nel testo alcun suggerimento propositivo in risposta alle questioni sollevate.
[4] Rimaniamo perplessi di fronte alle generalizzazioni senza alcuna base di ricerca affidabile – o addirittura poggianti su dati errati, ad esempio in riferimento al numero di confratelli che hanno lasciato l’Istituto – che l’articolo citato fa nel restituire il profilo attuale dei (giovani?) comboniani. Riteniamo che il metodo che porta a questo tipo di giudizi non sia di alcun aiuto per una valutazione della formazione.