Martedì 20 ottobre 2020
L’ospedale Maria Immacolata (Mary Immaculate Hospital) nasce nel febbraio 2002 a Mapuordit (Diocesi di Rumbek), un villaggio sperduto nella savana di circa 5.000 abitanti, in maggioranza scappati nell’aprile 1992 dalla città di Yirol, 65 km a est di Mapuordit, quando l’esercito di Khartum aveva ripreso la città ai soldati ribelli dello SPLA, facendo strage dei civili che non erano riusciti a fuggire in tempo. (…) [Nella foto: Mons. Cesare Mazzolari e Fr. Rosario Iannetti]
OSPEDALE E SANITÀ IN SUD SUDAN
L’ospedale Maria Immacolata (Mary Immaculate Hospital) nasce nel febbraio 2002 a Mapuordit (Diocesi di Rumbek), un villaggio sperduto nella savana di circa 5.000 abitanti, in maggioranza scappati nell’aprile 1992 dalla città di Yirol, 65 km a est di Mapuordit, quando l’esercito di Khartum aveva ripreso la città ai soldati ribelli dello SPLA, facendo strage dei civili che non erano riusciti a fuggire in tempo.
Il padre diocesano Raphael Riel della Diocesi di Rumbek (DOR), che guidava il popolo in fuga da Yirol, scelse Mapuordit come luogo per fondare un villaggio per gli sfollati e una nuova missione, dal momento che il luogo era nascosto nella savana e lontano dalla strada principale che univa Yirol a Rumbek, battuta dai camion dell’esercito arabo del Nord Sudan.
Il gruppo dei Comboniani del New Sudan che operava nelle zone liberate dallo SPLA sotto la diretta responsabilità della Curia Comboniana, la cui comunità a Yirol era stata evacuata poco prima dell’attacco dell’esercito di Khartum, decise di aiutare P. Riel ad aprire la nuova missione. Nel marzo 1993 inviò a Mapuordit P. Pellerino e P. Barton, che fondarono rispettivamente la parrocchia e la scuola primaria, cui fu aggiunta nel 1998 la scuola secondaria.
Nel 1995 arrivarono a Mapuordit le suore australiane OLSH (Our Lady of Sacred Heart) che fondarono un piccolo dispensario fatto di tre capanne. I bisogni di assistenza sanitaria della popolazione locale, afflitta dalla guerra civile e da periodiche carestie, erano enormi. Non esistevano ospedali nella zona e il dispensario doveva riferire i pazienti chirurgici, specie le mamme che avevano bisogno di taglio cesareo, all’ospedale della Croce Rossa di Lopiding, a 1.000 km di distanza in Kenya, dopo aver chiamato via radio l’aereo della Croce Rossa Internazionale, che spesso non arrivava in tempo per salvare mamma e bambino.
Nel 2001 il vescovo della DOR (Diocesi di Rumbek), il comboniano Padre Mazzolari, in risposta alle richieste della comunità locale, maturò l’idea di fondare accanto al dispensario un piccolo ospedale da campo, dotato di una tenda operatoria attrezzata, fornita dall’Università di Trnava in Slovacchia, che insieme a essa inviava anche 1 chirurgo e 2 infermieri a rotazione ogni 3 mesi. Mancava un dottore permanente sul posto che coordinasse le attività del personale medico slovacco con quelle del personale paramedico locale, poco qualificato e bisognoso di istruzione, e che assumesse il ruolo di direttore sanitario del nascente ospedale.
Il vescovo chiese aiuto alla sua congregazione comboniana e il superiore della Delegazione del Sud Sudan, P. Ezio Bettini, mi chiese di mettermi a disposizione della diocesi per cooperare alla fondazione di un ospedale diocesano rurale a Mapuordit. Sebbene il superiore di Delegazione avesse chiarito con il vescovo che la mia assegnazione era ad personam e che la congregazione non assumeva l’incarico della gestione dell’ospedale, assegnò alla missione anche un altro giovane fratello comboniano elettricista, Alberto Lamana, che avrebbe dovuto aiutare, tra l’altro, lo sviluppo tecnico e la manutenzione dell’ospedale.
Quindi fin dalla sua nascita nel 2002, l’ospedale vedeva un forte coinvolgimento di fratelli comboniani nella sua fondazione e gestione, presenza che è stata sempre una costante fino ad oggi, con numero di presenze varianti da un minimo di due fino a 4 fratelli presenti contemporaneamente.
Un’altra caratteristica che ha consentito lo sviluppo dell’ospedale in tempi relativamente brevi nonostante l’isolamento causato dalla guerra civile, la ristrettezza delle risorse economiche e la mancanza di personale locale qualificato, è stata la scelta prioritaria di istruire in modo informale sul posto i giovani che avevano studiato presso la scuola secondaria della missione, usando come istruttori alcune infermiere specializzate ugandesi e una laboratorista volontaria italiana. Le infermiere ugandesi provenivano da un ospedale gestito dalle suore comboniane in Uganda, St. Kizito Matany Hospital, quindi erano motivate a trasmettere ai sud-sudanesi non solo professionalità ma anche i valori cristiani di servizio al prossimo ammalato. Ovviamente l’obiettivo a lungo termine era la realizzazione dentro l’ospedale di una scuola formale per infermieri professionali, ma a causa della guerra e della mancanza di fondi questo sogno diventò realtà solo nel 2009. Per i primi 10 anni della sua esistenza, l’ospedale ha funzionato soprattutto grazie a infermieri ausiliari locali istruiti sul posto con brevi corsi teorici e tanta pratica, sotto la supervisione di alcune infermiere specializzate ugandesi e australiane e di fratelli infermieri comboniani.
Dal 2005, subito dopo l’accordo di pace e la creazione del governo autonomo del Sud Sudan, l’ospedale ha visto anche una rapida crescita delle sue infrastrutture, grazie al contributo di donatori statali (Cooperazione Italiana allo Sviluppo) ed ecclesiali (soprattutto dalla Slovacchia, Austria, Italia e Germania) desiderosi di contribuire alla ricostruzione del Paese dopo la guerra.
Di conseguenza, già nel 2006 l’ospedale era per la maggior parte costruito in materiale permanente e contava circa 100 letti distribuiti in 5 reparti (chirurgia, medicina, maternità, pediatria e chirurgia settica), sala operatoria, laboratorio e ambulatorio esterno, anche se il completamento in materiale permanente di tutte le restanti strutture (farmacia, blocco operatorio, clinica prenatale, radiologia, isolamento) e dei servizi idrici, sanitari ed elettrici sarebbe continuato lentamente fino al 2017. Il bacino di utenza diretto contava circa 90.000 abitanti residenti in un raggio di circa 40 km dall’ospedale, anche se alcuni pazienti venivano perfino da 200 km di distanza per sottoporsi a operazioni elettive (fino al 2013 venivano eseguite in media circa 1.000 operazioni all’anno).
Dal 2005 la provincia comboniana del Sud Sudan è lentamente ma progressivamente entrata nella gestione dell’ospedale, consentendo l’apertura di un conto specifico per l’ospedale presso la procura della provincia e la raccolta diretta dei fondi, oltre a continuare a fornire 3 fratelli impiegati a tempo pieno dall’ospedale.
Intanto la Commissione Diocesana della Salute della DOR, ancora giuridicamente responsabile della gestione dell’ospedale, nel 2006 si trasformava in una NGO (la AAA: Arkangelo Ali Association) che limitava la sua azione al campo della TB (Tubercolosi) e lebbra, anche al di fuori della diocesi.
Questo creava tensione con l’amministrazione dell’ospedale, che ormai aveva le dimensioni di un ospedale di distretto e riceveva richieste da parte del Ministero della Salute (MOH) dello Stato dei Laghi di offrire tutti i tipi di servizi sanitari, in cambio del pagamento da parte del ministero dei salari di 50 lavoratori e della fornitura di parte delle medicine.
Dopo aver avuto l’approvazione dall’assemblea provinciale del gennaio 2009, l’1 febbraio 2009 il Superiore Provinciale del Sud Sudan, P. Luciano Perina, firmava col vescovo Mazzolari un MOU (Memorandum of Understanding) in cui la Provincia Comboniana del Sud Sudan si faceva carico della gestione dell’ospedale per un periodo di 5 anni, mentre la AAA continuava a sostenere solo le attività dell’ospedale legate ai programmi per la TB e la Lebbra. Il MOU è stato rinnovato per altri 5 anni nel 2015 dal nuovo Provinciale P. Daniele Moschetti e dal Coordinatore Diocesano P. Mathiang, con scadenza al 30 giugno 2020.
Dal primo luglio 2016 la direzione dell’ospedale è passata a Fr. Dr. Paolo Rizzetto, mentre il sottoscritto a fine novembre 2016, dopo aver completato le consegne a Fr. Paolo, è stato trasferito a Wau, dove attualmente dirige il St. Daniel Comboni Catholic Hospital lavorando in stretta collaborazione con le suore comboniane che hanno fondato questo ospedale nel 2011.
Circa i risultati raggiunti, indubbiamente l’ospedale Mary Immaculate si è rivelato un formidabile strumento di pre-evangelizzazione tra le popolazioni Dinka e Jur dello Stato Orientale dei Laghi e dello Stato Amadi. La gente di queste tribù, ancora oggi in maggioranza seguaci di religioni tradizionali e analfabetizzate, apprezza enormemente il servizio reso dall’ospedale, che spesso costituisce per loro la prima occasione di incontro con la fede cristiana. La Messa viene celebrate regolarmente ogni domenica in ospedale al di sotto di una tettoia che funge da sala di attesa: molti pazienti e parenti osservano incuriositi da lontano questo rito per loro nuovo e strano che non hanno mai visto prima. Purtroppo non è mai stato assegnato un cappellano all’ospedale che possa seguire con continuità gli ammalati, specie i pochi cattolici comunque presenti, anche se un prete della comunità comboniana è sempre disponibile in caso un ammalato o la sua famiglia richieda il sacramento dell’unzione degli infermi.
L’ospedale è anche un luogo di incontro e dialogo tra le diverse tribù e clans, che interagiscono tra loro sia come lavoratori sia come pazienti e loro parenti. Purtroppo la convivenza non è facile e spesso l’ospedale è stato al centro di ripetute guerre tribali nel 2004, 2006 e 2011, che hanno provocato l’allontanamento permanente dei lavoratori appartenenti a clan diversi dal clan predominante a Mapuordit (Dinka-Atuot), specie di lavoratori Dinka-Agar, Dinka-Jang e Jur. Negli ultimi 5 anni i pazienti Dinka-Agar non possono più venire a farsi curare nell’ospedale, nonostante risiedano a soli 20 km da Mapuordit. Infatti dallo scoppio della nuova guerra civile nel dicembre 2013, tutta l’area si trova in una situazione di permanente insicurezza a causa dell’abbondanza di armi tra i giovani civili e due volte, nel 2015 e 2016, la macchina dell’ospedale è stata colpita da pallottole che hanno ferito una volta il parroco comboniano P. Placide Majambo e un’altra volta l’autista.
L’ospedale è stato sempre un luogo di istruzione e di tirocino per decine di giovani paramedici e medici che ora servono in decine di ospedali e dispensari in tutto il Sud Sudan.
Circa la sostenibilità e la continuità dell’ospedale, questa è la sfida più grande al momento attuale. Il supporto finanziario da parte del ministero della salute, molto forte tra il 2007 e il 2015 e basato su un MOU tra la DOR e il MOH dello Stato dei Laghi firmato nel 2010, è venuto rapidamente meno dal 2016, quando, a causa dell’iper-inflazione, il valore reale dei salari pagati dal governo a metà del personale si è praticamente azzerato e quindi l’amministrazione dell’ospedale è stata forzata a pagare il 95% del valore reale dei salari governativi (aumentati da un’indennità di inflazione). Dall’aprile 2019 anche il supporto di medicinali da parte del governo si è azzerato. La DOR, anche a causa della mancanza del vescovo fin dal 2011, ha difficoltà ha riprendere la piena gestione dell’ospedale, come i Comboniani vorrebbero che accadesse alla scadenza del secondo MOU quinquennale il 30 giugno 2020.
Cosa ci ha insegnato questa esperienza?
A mio parere, che la classica metodologia comboniana è ancora valida nel XXI secolo;
Dott. Fratel Rosario Iannetti
Missionario Comboniano
Sud Sudan