Mercoledì 9 ottobre 2019
Il 2019 è stato proclamato dall’ONU anno internazionale delle lingue indigene. Inoltre Papa Francesco ha voluto che il mese di ottobre 2019 fosse un Mese Missionario Straordinario per celebrare il centenario della Lettera apostolica di Papa Benedetto XV Maximum Illud (30 novembre 1919). Per celebrare questi due eventi i Missionari Comboniani hanno allestito una mostra nella casa generalizia di Roma dal titolo “Lingue, Missione, Memoria: il contributo dei Missionari Comboniani allo studio e alla preservazione delle lingue locali nella loro opera di annuncio del Vangelo”.
LA MOSTRA
Lingue, Missione Memoria
il contributo dei Missionari Comboniani
allo studio e alla preservazione delle lingue locali
nella loro opera di annuncio del Vangelo
Il 2019 è stato proclamato dall’ONU anno internazionale delle lingue indigene. «Le lingue, si dice nel portale delle Nazioni Unite, svolgono un ruolo cruciale nella nostra vita quotidiana. Non sono solo il nostro primo mezzo di comunicazione, educazione e integrazione sociale, ma sono anche al centro dell'identità, della storia culturale e della memoria di ogni persona. La continua perdita delle lingue indigene è particolarmente devastante, in quanto le complesse conoscenze e le culture che esse promuovono sono sempre più riconosciute come risorse strategiche per il buon governo, la costruzione della pace, la riconciliazione e lo sviluppo sostenibile. Cosa ancora più importante, tali perdite hanno un enorme impatto negativo sui diritti umani fondamentali delle popolazioni indigene.»
Inoltre Papa Francesco ha voluto che il mese di ottobre 2019 fosse un Mese Missionario Straordinario per celebrare il centenario della Lettera apostolica di Papa Benedetto XV Maximum Illud (30 novembre1919).
L’intento della mostra
Per celebrare questi due eventi i Missionari Comboniani hanno allestito una mostra nella casa generalizia di Roma dal titolo Lingue, Missione, Memoria il contributo dei Missionari Comboniani allo studio e alla preservazione delle lingue locali nella loro opera di annuncio del Vangelo.
Il titolo e il sottotitolo ne catturano l’intento: fare memoria dell’impegno dei Missionari Comboniani nello studio e nella traduzione di testi in alcune lingue africane. È proprio la lingua, infatti, lo strumento che esprime la ricchezza della cultura di un popolo e che è veicolo indispensabile per trasmettere il messaggio evangelico.
La mostra è divisa in sei sezioni: grammatiche/dizionari, catechismi, testi di Storia Sacra, testi liturgici, testi educativi e musica. L’obiettivo, quindi, è di offrire una gamma di testi tradotti nelle lingue locali cercando di descriverne il gruppo etnico, la posizione geografica e l’autore quando si tratta di grammatiche e dizionari. Inoltre, sono esposte immagini, racconti d’epoca e mappe storiche dei territori dove operavano i missionari.
Ci siamo concentrati su alcuni documenti scelti e rappresentativi della maggioranza dei gruppi etnici in Africa, dove i Missionari Comboniani hanno lavorato. Per dare un panorama veramente esaustivo del lavoro di traduzione, studio, catalogazione, sistematizzazione delle lingue, molti altri documenti sarebbero dovuti essere esposti: le grammatiche e i dizionari di altri missionari comboniani che hanno lavorato in Etiopia, Mozambico, Sudan, Uganda, Kenya... catechismi e testi di storia sacra ecc. Inoltre, non sono esposti gli innumerevoli articoli e libri di etnologia e storia che i missionari hanno scritto; antologie di racconti, favole, proverbi ecc. che hanno raccolto e catalogato. Sarebbe stato un lavoro enorme, tanto da farne un museo.
Il missionario a confronto con la lingua e la cultura locale
Quando un missionario viene inviato in una zona cosiddetta ‘di missione’ ha il compito principale di studiare la lingue e la cultura del popolo a cui è inviato. La conoscenza della lingua è essenziale perché compito del missionario è proclamare il Vangelo nelle categorie espressive e di pensiero della gente. Inoltre, alla base di questo sforzo vi è un atteggiamento di apprezzamento e stima per la gente e la sua cultura della sua capacità di recepire e ‘incarnare’ le verità cristiane nelle proprie categorie di pensiero e nella vita.
Il missionario opera tra popoli la cui trasmissione culturale è essenzialmente orale, ecco allora che allo sforzo di studiare la lingua si associa la necessità di darne una sistemazione grammaticale e sintattica che ha certamente il pregio di fissare delle regole precise e dei criteri fonetici. Le grammatiche, però, sono elaborate seguendo le regole delle lingue europee basate su categorie di pensiero – quelle, per esempio, legate al ‘tempo’ e alle sue varie sfumature – differenti da altri ambienti culturali.
Nel 1928 il governo del Sudan (a quel tempo sotto il dominio congiunto del Regno Unito e del Regno d'Egitto) convocò una conferenza a Rejaf in sud Sudan che cercò di adottare, tra l’altro, un sistema ortografico comune (sarà proposto, pur tra polemiche e resistenze, il sistema elaborato dall’International Phonetic Association). Un’altra decisione della Conferenza fu che l’istruzione, per le prime classi elementari, fosse fatta in lingua locale. Da qui la necessità di produrre testi scolastici. Ne vediamo alcuni esempi, in questa mostra, nei testi nelle lingue Bari, Denka e Ndogo.
La traduzione dei testi cristiani nelle lingue locali e le scuole
Il passo successivo, accanto allo studio della lingua, è quello di elaborare strumenti che possano trasmettere le verità cristiane contenute sia nel Credo che nella Bibbia. Sorge allora la necessità di tradurre catechismi, racconti biblici, testi liturgici, messali, libri di preghiere ecc.
La traduzione della Bibbia è stata originariamente condotta da missionari protestanti. I missionari cattolici, all’inizio, si sono limitati a tradurre racconti biblici che suffragavano gli articoli del catechismo. Dopo il Concilio Vaticano II, la traduzione della Bibbia, anche per i missionari cattolici, è divenuta una priorità. Oltretutto, il nuovo clima di dialogo ecumenico ha favorito la traduzione interconfessionale della Bibbia nelle lingue locali.
Il libro, come mezzo di comunicazione, rende obbligatoria l’educazione scolastica formale. Naturalmente, vi sono anche altre motivazioni per la nascita della scuola, ragioni di promozione umana e di sviluppo integrale della persona oltre alle politiche del governo coloniale che, a partire dagli anni venti del 1900, favorivano la costruzioni di aule e istituti. La scuola era associata allo studio della ‘dottrina cristiana’: nelle missioni del Sudan, dell’Uganda e del Mozambico lo stesso ambiente diventa classe scolastica e aula per l’insegnamento del catechismo.
Problemi di traduzione di termini cristiani
Nella traduzione dei testi catechistici e biblici in lingua locale il problema che si pone è la scelta dei termini. Come tradurre concetti teologicamente complessi quali ‘grazia’, ‘trinità’, ‘sacramenti’ o, anche, vocaboli apparentemente semplici ma che non esistono nella realtà locale, quali, per esempio, ‘pane’ e ‘vino’? Come tradurre la parola ‘Dio’ preservandone la profondità del termine cristiano? (alcuni missionari, per esempio, hanno lasciato il termine italiano ‘Dio’ oppure adottato un termine mutuato da altre lingue africane, come il kiswahili, oppure il luganda del popolo Baganda dell’Uganda del sud). Si presenta, quindi, un compito investigativo della lingua e della cultura locale le quali vengono sviscerate e studiate nei minimi particolari. A questo stadio, al lavoro del missionario si affianca quello dei catechisti, dei maestri e, poi, del clero e dei religiosi locali; saranno loro che, assieme ai missionari, trasmetteranno nuove conoscenze e pertanto diventeranno agenti di cambio culturale.
Ricordiamoci, appunto, che questa vasta produzione di testi non è stata il frutto di missionari singoli, per quanto specialisti ed eruditi possano essere stati, ma di un lavoro che si nutriva del contatto quotidiano con la gente, delle domande poste, dell’ascolto attento e dell’osservazione appassionata, cioè di un dialogo arricchito da stima e apprezzamento per la gente del luogo.
La parola ad un esperto
Uno studioso altamente qualificato, p. Stefano Santandrea, missionario comboniano, a proposito di due lingue sudanesi, lo Ndogo e il Giur-Luo, e della complessità di tradurre una semplice proposizione come ‘Cuore di Gesú’ scriveva nel 1977: «Simboli adottati in campo religioso come ‘Cuore di Gesú, non dicono proprio nulla a queste genti», dimostrando come altre parti del corpo, in queste lingue, fossero assunte a simboli di intelligenza, acume, sentimenti di gioia, dolore, amore. Per esempio, argomentava, la testa è la sede del giudizio e della memoria; il ventre, dei pensieri profondi; mentre l’intelligenza e la scaltrezza vengono attribuiti agli occhi e i sentimenti di amore/odio hanno sede nel fegato. P. Santandrea si chiedeva come trasporre in lingua locale termini cristiani: «É una domanda che mi sono fatta tante volte nei miei trent’anni nel Bahr el Ghazal, ma alla quale non ho trovato risposta soddisfacente per nessuna delle lingue di mia conoscenza, come non l’ho trovata da gente che conosceva la teologia e che invitai a studiare il problema sul posto, in Sudan». Per non parlare, poi, della traduzione di parole quali ‘spirito’, ‘spirito del morto’, ‘anima vivente’. P. Santandrea notava «quanta strada ci sia ancora da fare per la comprensione della terminologia religiosa degli africani. Lavoro, questo, che gli studiosi africani dovranno portare avanti.» Naturalmente la posizione di uno studioso rigoroso come p. Santandrea è eccezionale nel panorama delle traduzioni in lingua locale di verità cristiane. La soluzione parziale è quella prospettata da p. R. Pazzi, grande conoscitore dei popoli Gbè del Togo/Ghana/Benin: «Non c’è mai una soluzione ideale, – osservava – bisogna scoprirla passo passo, condividendo la realtà umana e spirituale dei popoli cui si è mandati. Riscoprendo e maturando sempre piú la propria fede». Detto in altre parole, il lavoro di traduzione è un compito di approfondimento della bellezza e della complessità della cultura e della lingua dell’altro ma, allo stesso tempo, di scoperta progressiva della propria fede: il vero incontro porta sempre ad un arricchimento reciproco.
Come conclusione
Il compito di traduzione, studio, catalogazione, sistematizzazione di molte lingue e culture africane da parte dei missionari in genere e dei Missionari Comboniani in particolare, ha portato a dei vantaggi che superano la semplice traduzione e lavoro scientifico. Infatti, le traduzioni e gli studi linguistici ed etnografici hanno preservato e dato dignità a lingue, parlate anche da popolazioni poco numerose, e culture che altrimenti sarebbero scomparse; questo ha ampliato il senso di identità culturale e di coesione sociale di particolari gruppi umani, elemento essenziale per la costruzione di uno stato nazionale e unitario.
Cosí scriveva Enrico Leva nel volume intitolato Il contributo italiano alla conoscenza delle lingue parlate in Africa dal Cinquecento al primo sessantennio del secolo XX: «Molto spesso certe operette di umili missionari non avevano alcun precedente, e rivelavano lingue del tutto sconosciute, che gli specialisti riuscivano a costruire su quei pochi dati…Altri missionari registrarono lingue che stavano per estinguersi, rendendo cosí alla scienza un servizio che nessun specialista avrebbe potuto prestare. Neppure l’inevitabile dilettantismo dei missionari è valso di per sé a rendere le loro opere piú scadenti di quelle di certi dilettanti laici…Per ragionata volontà della Chiesa, l’attività linguistica dei missionari ha una sua parte esclusivamente scientifica, condotta con metodi piú aggiornati… ne sono tipici esempi gli studi dei PP. Santandrea, Muratori, Gasperini, Crazzolara, Malandra, Molinaro, per non citare che i piú celebri; i quali trattano la materia linguistica con metodi corretti, ma affrontano anche problemi di linguistica comparata e di sistematica».