Venerdì 13 luglio 2018
“Taglia e incolla, progetta e sposta, componi e crea…”. Oggi molti libri e articoli sono fatti in questo modo. Le pagine che stai per leggere sono il risultato di questa tecnica. Niente di nuovo sotto il sole! Abbiamo semplicemente preso pezzi e frammenti qua e là, li abbiamo messi in un mixer, aggiunto alcune spezie e aromi… e hop! questo è quello che abbiamo ottenuto. L’abbiamo presentato ai confratelli della provincia del Kenya. Ci hanno detto che ha un senso ed è di aiuto. (P. Zieliński Maciej Mikolaj e P. Franco Moretti)

La Regola di Vita come ‘Codice dell’Alleanza’

P. Franco Moretti e P. Zieliński Maciej Mikolaj

Nella Bibbia si può vedere come l’alleanza tra Dio e Israele sia il risultato di una profonda esperienza della presenza liberatrice di Dio nella sua storia. Quest’alleanza – che sia “tagliata”1 per la prima volta o rinnovata – è sempre “verbalizzata” (o “incarnata in parole e dichiarazioni concrete”) in un Codice dell’Alleanza. Dopodiché, senza un’obbedienza a tale “codice”, anche quegli elementi che sembrano più “sacri”, come la liturgia e i sacrifici, diventano vuoti e inutili, o piuttosto “semplici bugie”. La discrepanza tra fede e vita può diventare così ampia da rendere il divario decisamente scandaloso.

1. Alleanza nella Scrittura

In ogni Alleanza biblica c’è un prologo storico. Nell’Alleanza Mosaica c’è un riferimento sintetico al potente atto di Dio di liberare Israele dall’Egitto: “Io sono il Signore Dio tuo, che ti ha fatto uscire dalla casa della schiavitù” (Es 20,2).

I racconti della relazione di Dio con il suo popolo, che documentano il suo amore e l’intervento divino nella storia per preservarlo e liberarlo (e, allo stesso tempo, la sua ira divina e le sue punizioni per la disobbedienza), sono una parte essenziale delle Scritture. Questi racconti forniscono una storia sacra che funge da eterna testimonianza dell’indebitamento dei figli di Dio verso il loro creatore. In un certo senso, tutti i racconti storici che troviamo nella Bibbia funzionano come Prologo Storico delle alleanze.

La comprensione della reciproca relazione tra storia e alleanza ci aiuta a capire meglio e ad apprezzare perché le Scritture sono composte da un costante intreccio di legge e narrativa storica. Il racconto dell’alleanza mosaica è accompagnato da un’assemblea formale del popolo e da una cerimonia di alleanza in cui gli israeliti riconoscono pubblicamente la loro accettazione delle condizioni dell’alleanza e il loro impegno a rispettarle.

Poco prima di morire, Mosè ordinò ai figli di Israele dirinnovare il loro impegno verso l’alleanza non appena passarono il Giordano per prendere possesso della Terra Promessa, in una cerimonia formale di rinnovamento dell’alleanza. Questo avvenne a Sichem e sulle montagne di Ebal e Gerizim che sorgono su entrambi i lati di questa città.

Questo è uno dei primi riferimenti a una cerimonia dirinnovamento dell’alleanza nella Bibbia, tipicamente narratain un momento di crisi o di transizione, in cui il popolo si è nuovamente impegnato pubblicamente in un’alleanza in una cerimonia simile a quella del primo e iniziale patto di alleanza.

Due risultati diretti dell’alleanza e del rinnovo del patto di alleanza sono: a) la formazione della comunità dell’alleanza che comprende tutti coloro che hanno accettato l’alleanza; b)la raccolta delle “parole del libro della legge” (il “Codice dell’Alleanza”, una “Regola di Vita”) che sono vincolanti per la comunità dell’alleanza e quindi operano nella comunità come Scrittura.

Ciclo dell’Alleanza

Nel Libro di Giosuè, i capitoli 1-12 sono racconti narrativi delle conquiste militari israeliane della terra. Sono piene di dettagli vivaci di battaglie, successo e fallimento, vittoria e sconfitta. Nei capitoli 13-22, passiamo dal realizzare ciò che è stato promesso al goderne i frutti. Qui la strategia dello scrittore si sposta dai racconti drammatici della guerra alla retorica dell’elenco e del mettere in ordine; la narrativa è rallentata per una prosa amministrativa più statica. Abbiamo qui una “transizione” da uno stile di vita nomade a uno rurale. Una nuova situazione si è venuta a creare. I capitoli 23-24 completano la narrazione con il rinnovamento dell’antica alleanza di Israele con Dio, con Giosuè che congeda il popolo per andare a godersi la loro eredità e la morte di Giosuè.

I parallelismi con Mosè non sono da trascurare. Anche alla fine della vita di Mosè, l’antica alleanza di Israele era stata rinnovata (Dt 26,16-19; 29,1-32; 47) e le persone furono mandate a prendere possesso della loro eredità. Ma c’è una nuova nota alla fine di Giosuè, una lacuna che prepara la narrazione dei Giudici: alla morte di Mosè, erano stati presi provvedimenti per il trasferimento della leadership a Giosuè (Dt 31,1-8; 34,9), ma, alla morte di Giosuè, nessuna disposizione era stata presa per la successione alla sua leadership. Siamo rimasti con il popolo nella terra promessa, ma senza un leader che lo guidasse in modo da servire il Signore. Quali saranno le conseguenze? È la storia deiGiudici.

Promessa e obbedienza

Alcune domande: che dire della terra promessa? È l’eredità che accompagna la liberazione dall’Egitto, la promessa incondizionata di Dio ai padri? O è posseduta solo a condizione di un’obbedienza? È una concessione unilaterale dovuta a un giuramento che si è avverato nella sua partecipazione alla lotta per Israele, affinché nessuna delle sue promesse dovesse venire meno (11,23; 21,43-45; 23,14-15) o è un’eredità incompleta, una conquista incompleta in cui rimangono altre nazioni sullo stesso suolo (13,13; 15,63; 16,10; 17,12-13) e il continuo possesso di Israele è legato alla fedeltà (23,6-8; cfr. Dt 20,17-18)? Il dono della terra è incondizionato, o la punizione, successiva alla mancata osservanza da parte della nazione dei comandamenti di Dio, annullerà le promesse?

Mosè nel Deuteronomio ha già descritto la tendenza di Israele a ricadere nell’infedeltà e il disastro che li avrebbe colti alla fine (Dt 31,27-29). Israele avrebbe iniziato a emulare i Cananei rimasti nel paese e sarebbe stata cacciata dalla terra per le stesse ragioni per le quali vi era stato portato (Dt 18,9-12; 2Re 17, 8-18; 21, 3-15). Al momento della sua morte, Giosuè, come Mosè, era certo che la nazione non avrebbe osservato l’alleanza (24,19-20, Dt 31,15-29).

Riassunto – Concludendo questo rapido excursus biblico, possiamo dire che:

a) da parte di Dio, l’Alleanza è un intervento liberante a favore del suo popolo; un motivo che lo accompagna nel deserto o in qualsiasi altra situazione; è “una colonna di nuvola per guidarli sulla loro strada e di notte una colonna di fuoco per dar loro luce, in modo che possano viaggiare di giorno o di notte” (Es 13,21; cfr. Is 4,5-6); è “stare con il popolo” con immancabile fedeltà.

b) Da parte del popolo, l’Alleanza è l’accettazione delle “10 Parole”, che diventano il “Codice dell’Alleanza”, in quanto applicate alle nuove situazioni di vita. Le 10 Parole rimangono, ma sono rinnovate. Ancora di più: senza l’adesione al “Codice dell’Alleanza”, l’unità è distrutta, la vita non riflette la fede (come i profeti hanno spesso denunciato), la vocazione del popolo messianico si corrompe e sorgono nuove e più pesanti forme di schiavitù.

2. L’Alleanza Comboniana

La vita dell’Istituto comboniano segue gli stessi paradigmi delle alleanze bibliche. L’esperienza di vita deve diventare “un copione”, “una lettera scritta” (“scritta”, ma non “vuota”). Dio ci ha chiamati ad una “alleanza” con lui e tra di noi (RV 10 – Comunità di fratelli); ci ha consacrati come sua “proprietà” (RV 20 – Consacrati a Dio); ci ha costituiti come comunità (RV 36) e ci ha mandato a mettere in pratica e stimolare la missione evangelizzatrice della Chiesa (RV 13), secondo il carisma di Daniele Comboni. La risposta all’Alleanza, vissuta prima di tutto nel e dal Fondatore e dai “padri fondatori”, divenne le Regole del 1871. La vita e il carisma di Comboni divennero una “lettera” comunitaria (ancora una volta, “scritta”, non “vuota”) in questa sorta di Codice dell’Alleanza.

Col tempo, queste regole furono rinnovate nelle varie Costituzioni che seguirono. Infine, specialmente per noi, sono diventate concrete e comunitarie nella Regola di Vita del 1988 (il nostro “Codice dell’Alleanza”).

Infatti, entrando nell’Istituto, con la professione religiosa il missionario comboniano si impegna a vivere “secondo le Costituzioni dell’Istituto degli MCCJ” (RV 91). Senza questo punto di riferimento, c’è il rischio di cadere nell’individualismo e di vedere distrutta la fratellanza e la comunione; il fine specifico dell’evangelizzazione e dell’animazione diventa nebbiosa e la sequela Christi, che è il mistero dell’obbedienza (Fil 2,5-11), si svuota di ogni significato.

Prima viene la vita

Non dobbiamo mai dimenticare che le Regole del 1871, le successive Costituzioni e l’attuale Regola di Vita del 1988, sono nate dalla vita, dalla nostra esperienza, dal nostro confronto con altre esperienze, dai Capitoli Generali, dagli eventi ecclesiali (Concili), riflessioni, encicliche e documenti… In particolare, la Regola di Vita del 1988, emersa dal Capitolo speciale del 1969 (chiesto dal Concilio Vaticano II) e approvata dalla Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli nel dicembre 1987, è la traduzione in parole dell’esperienza missionaria dell’Istituto nel contesto della Chiesa universale e locale. Come nella Bibbia, la vita ha preceduto il testo e la storia ha preannunciato il Codice dell’Alleanza. Il testo che abbiamo oggi è la nostra esperienza condensata in parole.

Il testo che abbiamo è scaturito dall’esperienza del Fondatore, dal lungo impegno dell’Istituto, costantemente attento a ciò che accadeva nella Chiesa universale e nelle varie Chiese locali dove lavoravamo. Ciò è dimostrato dalle molte citazioni Bibliche, dai numerosi riferimenti agli Scritti di Comboni e ai vari documenti della Chiesa. Prima di diventare una regola o un codice, è stata una vita, un’esperienza vissuta. Di questa “storia della salvezza”, la Regola di Vita contiene in breve fatti, intenzioni, sogni, motivazioni, sagge conclusioni e direttive. Contiene la nostra storia, vagliata dalla preghiera, dallo studio, dalla ricerca, dalle riflessioni e dal coinvolgimento attivo di tutti i confratelli.

La Regola di Vita è il culmine di tre Capitoli Generali e della riflessione della Chiesa sull’evangelizzazione. Espressioni come “lo Spirito Santo come agente principale dell’evangelizzazione”, “il Regno di Dio e i suoi valori come l’orizzonte della missione”2, “liberazione integrale”, “incarnazione”, “inculturazione”, “attività missionaria come evento di comunione e di collaborazione”, “Chiesa locale”, “carisma e missione comboniana come parti integranti del nostro essere”, appartengono ormai al nostro vocabolario.

C’è stato un cambiamento sostanziale dalle Costituzioni del 1910-1958 in cui l’attenzione alle norme della vita religiosa è di primaria importanza, mentre “l’attività missionaria” è descritta principalmente in termini giuridici e in relazione all’autorità religiosa ed ecclesiale.

Nelle vecchie Costituzioni – che dovevano essere le stesse per tutti gli Istituti – la parola carisma non appariva. NellaRegola di Vita, invece, il carisma del Fondatore apre il testo e caratterizza il tono dell’intero documento.

“Non più orfani”

All’inizio, l’Istituto dei Figli del Sacro Cuore di Gesù (FSCJ) non fu considerato come un’estensione del Collegio delle Missioni Africane avviate da Comboni nel 1867. La prima lettera circolare del Superiore Generale non faceva menzione di Comboni come Fondatore. Tipico è il seguente brano da una lettera circolare di p. Angelo Colombaroli, il primo Superiore Generale, scritta il 7 giugno 1903: “Per molte ragioni noi stessi dobbiamo la nostra esistenza ad una persona santa che fu come un padre per noi e ci amò davvero come con amore paterno. Però mi ricordo ancora come, nelle sue conferenze spirituali che era solito fare quando la nostra Congregazione era solo all’inizio, diceva che non avevamo un padre nel vero senso della parola: in quanto il Padre è il Fondatore di una Comunità Religiosa che ha fondato e formato. Fu veramente dovuto alla Divina provvidenza che il Rev. Padre Asperti di venerabile memoria visto la nostra condizione di orfani, volle affidarci in modo speciale al Sacro Cuore di Gesù con il nobile nome di suoi Figli. Sperava che anche noi avessimo un esempio dal quale prendere ispirazione, nel quale avremmo potuto trovare la pienezza della vita e la sorgente di quella amorevole unione che deve regnare fra di noi”.

Mons. Sogaro si riferiva a Comboni solo come suo predecessore nella missione e, nella prima stesura delle Regole, ci si riferisce a Mons. Sogaro come Fondatore. Quando P. Meroni, nel 1923, mandò il suo promemoria a Propaganda Fide chiedendo la separazione dei confratelli austro-tedeschi, fece notare che la Congregazione era stata “fondata in Italia, da Gesuiti italiani, con membri che erano per la maggior parte italiani, e per costituire un Istituto italiano, nel senso etnico, non in un senso esclusivo, politico e nazionalistico”.

Carisma

Per quanto riguarda la comprensione del carisma, possiamo fare riferimento a ciò che Papa Francesco ha detto nel suo discorso ai partecipanti al Capitolo Generale dei Padri di Schönstatt.

“Il quinto Capitolo Generale che avete appena celebrato ha avuto luogo durante il 50° anniversario della fondazione dell’Istituto di P. Josef Kentenich. Dopo questi anni di cammino, voi vi prendete cura di mantenere vivo il carisma fondazionale e la capacità di trasmetterlo alle generazioni più giovani. Anch’io sono preoccupato che lo manteniate e lo trasmettiate in un modo che continui ad ispirare e sostenere la loro vita e la loro missione. Sapete bene che un carisma non è una mostra da museo, da preservare intatta in una teca, da contemplare e nient’altro. Fedeltà al carisma, mantenendolo puro, non significa in alcun modo chiuderlo in una bottiglia sigillata, come se fosse acqua distillata, per evitare che venga contaminata dall’esterno. No, un carisma non viene preservato tenendolo in disparte; deve essere aperto e avere la possibilità di uscire, in modo che possa entrare in contatto con la realtà, con le persone, con le loro ansie e i loro problemi. In questo modo, in questo fruttuoso incontro con la realtà, il carisma cresce, si rinnova e anche la realtà viene trasformata, trasfigurata attraverso il potere spirituale che questo carisma porta con sé” (Sala del Concistoro, giovedì 3 settembre 2015).

Un’altra bella definizione del carisma la troviamo nelle Direttive per le Mutue Relazioni tra vescovi e religiosi nella Chiesa, della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e la Congregazione per i Vescovi, nel maggio 1978.

“Lo stesso ‘carisma dei fondatori’ si rivela come un’esperienza dello Spirito trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il corpo di Cristo in perenne crescita. Per questo ‘la Chiesa difende e sostiene l’indole propria dei vari istituti religiosi’ (LG 44; cf. CD3 33; 35,1; 35,2; ecc.). Questa indole propria comporta anche uno stile particolare di santificazione e di apostolato, che stabilisce una sua determinata tradizione in modo tale che se ne possano convenientemente cogliere gli elementi oggettivi.

Pertanto, in quest’epoca di evoluzione culturale e di rinnovamento ecclesiale, è necessario che l’identità di ogni istituto sia conservata con tale sicurezza, che si possa evitare il pericolo di una situazione non sufficientemente definita, per cui i religiosi, senza la dovuta considerazione del particolare stile di azione proprio della loro indole, vengano inseriti nella vita della Chiesa in modo vago e ambiguo” (11).

3. La storia della Regola di Vita del 1988

Il 22 giugno 1979, solennità del Sacro Cuore di Gesù e giorno dell’apertura del XII Capitolo Generale Speciale, la riunione delle due congregazioni Comboniane, FSCJ e MFSC, fu ufficialmente sancita in un unico Istituto, i Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, con la sigla MCCJ. L’occasione fu vista come un evento dello Spirito Santo che guida la storia lungo strade meravigliose. Infatti, un Istituto diviso per 56 anni (dal 1923) era tornato ad essere una sola famiglia, trovando la sua identità nella missione, che è la missione del Cuore di Dio, sulle orme del grande apostolo dell’Africa, san Daniele Comboni.

La riunione dei due rami non era avvenuta di punto in bianco. Il Capitolo Generale del 1975 (il IX nella storia dell’Istituto, il VII dopo la separazione) aveva deciso di riunirsi al ramo tedesco. Questa decisione era il risultato di diverse esperienze di comunione dei due rami, soprattutto in Spagna e in alcune province dell’America Latina. La decisione fu ratificata nel settembre del 1975, con i due Capitoli riuniti a Ellwangen, con la formulazione di un Ordine Giuridico Speciale. Durante quell’incontro fu creata la Commissione Centrale di Coordinamento (CCC), con il compito di preparare la nuova Costituzione e il Direttorio Generale4.

Il CCC iniziò i suoi lavori nel luglio 1976, a Ellwangen. Dopo varie riunioni e varie edizioni del testo, nel settembre 1977 la Commissione poté inviare a tutti i membri dei due Istituti un testo, con la richiesta di inviare osservazioni. La lunga consultazione fu fruttuosa. Nel maggio 1978, il CCC iniziò a elaborare un nuovo testo da inviare al Capitolo Generale del 1979.

Il 9 luglio 1979, il testo fu presentato al Consiglio Generale “in sezioni”. Fu approvato come “strumento di lavoro”, ma con ampia possibilità di correzioni da parte dei gruppi di lavoro.

Il 24 luglio, le osservazioni dei gruppi furono presentate al Capitolo Generale. Vengono indicati i difetti, sottolineati i punti positivi, presentati dei chiarimenti e suggerite delle modifiche.

I lavori di gruppo continuano. Le modifiche sono accettate, ma i testi suggeriti devono essere riscritti per intero. Ogni gruppo, dopo aver preparato un nuovo testo, lo presenta agli altri gruppi per osservazioni e suggerimenti, che vengono poi rispediti al gruppo interessato. Questo informa gli altri gruppi su ciò che è stato accettato o rifiutato. Il nuovo testo viene quindi consegnato alla Commissione Centrale, che lo presenta al GC per la discussione e la votazione. I delegati possono chiedere emendamenti.

Come si può vedere, la metodologia adottata potrebbe sembrare macchinosa e molto complessa. Ma una cosa era chiara: ogni testo (ed erano 968) doveva essere il risultato della collaborazione di tutti. Vi furono centinaia di votazioni. Alcuni testi ebbero più di un emendamento.

La frase “Regola di Vita” apparve per la prima volta nella 44° sessione, il 28 settembre 1979. Il Capitolo approvò la nuova “formulazione”, con il sottotitolo “Costituzione e Direttorio Generale”. Il testo finale (in italiano, inglese e tedesco), approvato dal Capitolo, venne consegnato alla Commissione Post-Capitolare. Il suo compito era rivedere lo stile e la formulazione, per verificare l’esattezza delle note e la concordanza delle varie traduzioni.

Il 31 ottobre 1979, il Consiglio Generale presentò il testo a Propaganda Fide per l’approvazione, concessa nel febbraio 1980 “ad modus unius” (ad experimentum) per 7 anni. Degno di nota è l’apprezzamento lusinghiero e gratificante del testo da parte di Propaganda Fide, dal punto di vista teologico-spirituale e per l’ampio spazio dato alla dimensione missionaria e internazionale dell’Istituto. Pubblicato in sei lingue (questa volta, fu fatta anche la traduzione in francese), con una lettera di accompagnamento dei Delegati Capitolari, che invitano tutti “a tradurre nella vita la Regola che abbiamo scelto”, il nuovo testo diventò legge il 13 giugno 1980, solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Verso l’approvazione finale

Alla vigilia del Capitolo Generale del 1985 fu istituita una commissione preparatoria. Tra i suoi compiti c’era la revisione di alcuni testi della Regola di Vita, secondo le indicazioni del 1979 di Propaganda Fide. Inoltre, tenne conto delle singole osservazioni dei confratelli, delle indicazioni del nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) e dei nuovi commenti della Santa Sede.

La commissione “rivide” 16 testi costituzionali e 43 direttoriali. Il Capitolo accettò 13 emendamenti ai testi costituzionali e 37 a quelli direttoriali.

Il 1° febbraio 1986, gli emendamenti furono presentati a Propaganda Fide. Propaganda rispose il 7 giugno 1986, approvando alcuni emendamenti e respingendone altri e presentando lei stessa 5 emendamenti ai testi costituzionali e 5 a quelli direttoriali.

Il Consiglio Generale stabilì un piano di lavoro, costituendo due commissioni, una tecnica (di 3 persone) e una rappresentativa (di varie nazioni, settori, ecc.) perché rivedessero l’intero testo prima di ripresentarlo al Consiglio Generale per l’approvazione.

Nel gennaio 1987, il Consiglio Generale esaminò il nuovo testo con gli emendamenti apportati. Il 15 gennaio, lo presentò a Propaganda Fide che impiegò 6 mesi per rispondere.

Il 17 luglio 1987, il testo fu rimandato indietro con 5 osservazioni generali e 91 particolari. Tutte queste richieste di correzioni e modifiche possono sorprendere. In effetti, rivelarono la grande attenzione che Propaganda dava al testo.

Il Consiglio Generale e i membri delle commissioni accettarono solo quelli giudicati “opportuni”, e lo fecero “in dialogo”, senza mai rinnegare le caratteristiche del testo approvato dal Capitolo Generale. D’altronde, la maggior parte degli emendamenti riguardavano il Direttorio, un testo che rientrava nelle competenze del Capitolo Generale.

Il 28 ottobre 1987, il Consiglio Generale presentò il nuovo testo, con alcune note.

Il 3 dicembre 1987 la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli approvò definitivamente il testo della Regola di Vita così come lo abbiamo oggi.

4. Non è la fine della strada

Una volta approvata e stampata la ‘Regola di Vita nel 1988, vi furono varie iniziative per aiutarci a capirne meglio le ricchezze5. Alcune di questa hanno portato il frutto desiderato. “Oggi con Daniele Comboni – un commento biblico sulla Regola di Vita” ha dato la possibilità di comprendere meglio e vivere più profondamente la Regola di Vita. Altre iniziative fallirono miseramente.

Questo fallimento è un “peccato mortale”? Ci ha aiutati a mettere sulla mensola la Regola di Vita e a farle prendere polvere? L’abbiamo considerato “Scrittura” per confrontarci con esso ed essere accompagnati a metterlo in pratica?

In Giosuè 1,7-8, Dio dice al nuovo capo del popolo di Israele: “Tu dunque sii forte e molto coraggioso, per osservare e mettere in pratica tutta la legge che ti ha prescritto Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, e così avrai successo in ogni tua impresa. Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cammino e avrai successo”. Nel capitolo 24 di Giosuè, l’intero popolo rinnoverà il proprio impegno verso quel Codice, verso quella Regola di Vita, e l’adatterà alla nuova situazione.

L’accelerazione dei tempi

Quando fu divulgata, la Regola di Vita era già, per così dire, vecchia di dieci anni. Nel 2009, aveva trent’anni. La vita nel frattempo era andata avanti. Riflessioni e nuove intuizioni si erano formate dentro e fuori della Chiesa. Le trasformazioni erano molto più rapide rispetto ai secoli o anche ai decenni precedenti. Nel 1994 fu celebrato il primo Sinodo Africano. Nel 2009 seguì il secondo Sinodo Africano. Incontri simili ebbero luogo anche in altri continenti.

Nel Capitolo Generale del 2003 si percepiva chiaramente un “senso di malessere”. Riguardava la questione della “missione comboniana in un mondo in transizione”. Riguardava la necessità di prendere decisioni dolorose, soprattutto a livello di governo all’interno dell’Istituto. Riguardava le modalità della nostra presenza missionaria, che aveva bisogno di un cambiamento.

Il processo che ci ha portato alla Ratio Missionis avrebbe dovuto favorire un processo parallelo di conversione e di concentrazione sui parametri missiologici, sui campi di missione da scegliere, sulla qualità della vita dei missionari comboniani. Assemblee provinciali e continentali furono dedicate a questo processo (ancora nella “fase del vedere”). In realtà, il problema non era solo una questione di “chiarezza dei concetti” e “chiarimento dei criteri”. Il problema riguardava il governo e l’autorità/leadership, e una “fragile spiritualità” che minava le basi della vita missionaria. Dopo l’Assemblea Intercapitolare in Messico, nel settembre 2006, il Consiglio Generale scrisse una lettera denunciando “una crisi di leadership a tutti i livelli”; rimproverando un certo “provincialismo”, cioè l’incapacità a sentire e pensare in comune, come Istituto; censurando “l’obbedienza ridotta a una ‘debole virtù’; rimproverando ‘i superiori [che] tendono a chiudere gli occhi di fronte a gravi situazioni’, castigando ‘l’individualismo e il personalismo’ che stavano rendendo il ministero dei superiori pesante e macchinoso”.

Il “senso di malessere” andava di pari passo con un “senso di scoraggiamento”: tutti i numerosi inviti a rivedere i nostri impegni e la riqualificazione del personale erano stati inascoltati, erano rimasti “lettera morta”. Era come se il “Codice dell’Alleanza” fosse stato dimenticato. Le parole finali della lettera del Consiglio Generale erano chiare: “Forse è giunto il momento per un Capitolo Generale Speciale, con un’agenda imposta dalla situazione attuale dell’Istituto e le nuove sfide che ci vengono dalla missione. È un’agenda sentita e sollecitata, soprattutto, dalla base dell’Istituto … È giunto il momento di rivedere la nostra ‘Regola di Vita e il nostro sistema di governo… il nostro processo di formazione’… È giunto il momento di riprogettare la nostra presenza e riprogrammare la vita dell’Istituto”.

Da quell’Assemblea Intercapitolare arrivò il tema del Capitolo Generale 2009: “Dal piano di Comboni al piano dei Missionari Comboniani”, riqualificazione della missione, formazione e governo. Il processo della Ratio Missionis è continuato; era pronto per essere presentato al Capitolo. IlCodice di Condotta fu promulgato.

Il Capitolo si aprì nel settembre 2009 con questa chiara constatazione: “L’Istituto sta cambiando e sta diventando una realtà multiculturale, sempre più ricca e altamente diversificata”.

La missione fu considerata “globale”, non più esclusivamente “ad gentes”. Fu vista come “compassione di Dio in un mondo diviso” e doveva assumere nuove forme: prima evangelizzazione, animazione missionaria, formazione di nuovi missionari, promozione umana, impegno per la Giustizia e la Pace e l’Integrità del Creato, riconciliazione, inculturazione, solidarietà con la difficile situazione umana, inserimento, periferie, nuovi areopaghi…

Nel 2013, la celebrazione del 25° anniversario della Regola di Vita6 spinse il Consiglio Generale a nominare una commissione per esaminare l’importanza della Regola di Vitanella vita dei Comboniani. Purtroppo, per vari motivi, questo lavoro non è mai stato completato. Tuttavia, molti confratelli hanno scritto su diversi aspetti della Regola di Vita, con riflessioni profonde che sono ancora disponibili oggi. Questo è stato l’ultimo sforzo a livello di Istituto per avvicinarsi alle acque rinfrescanti della nostra Regola di Vita.

Il Capitolo Generale del 2015

Trentasei anni dopo la prima stesura della Regola di Vita, tenendo presente la nuova composizione dell’Istituto, i partecipanti al Capitolo 2015 hanno sentito nuovamente la necessità di avvicinarsi alla Regola di Vita, di conoscerla, di riappropriarsi del suo contenuto in modo da viverlo meglio e, se necessario, di modificare alcune formulazioni per allinearle ai nuovi tempi della missione e alla vita dell’Istituto.

La Commissione Generale per la Regola di Vita, durante l’incontro nel luglio 2017, ha presentato un piano programmatico come guida per rivisitare e rivedere la Regola di Vita. Questo piano è già stato inviato a tutti, tramite i superiori di circoscrizione. La Commissione Centrale ha definito il 2018 “l’anno della revisione della Regola di Vita”. Questa è la priorità assoluta fra tutte le attività dell’Istituto.

Sia il Capitolo Generale del 2009 che quello del 2015 devono essersi resi conto del fatto che il nostro Istituto era un po’ in letargo e aveva bisogno di un risveglio. Forse, alcuni membri del Capitolo avranno pensato che era necessaria una “rifondazione”. La decisione presa mostra la convinzione che un rinnovamento del “Codice dell’Alleanza” è la cosa più necessaria. Non siamo più (per usare le parole di Giosuè 1,7-8) “forti e molto coraggiosi”. Non siamo più attenti a osservare il nostro Codice dell’Alleanza, senza deviare da esso né a destra né a sinistra. La Regola di Vita (il nostro Codice dell’Alleanza) è uscita dalle nostre labbra ma non la meditiamo giorno e notte. L’abbiamo messa sullo scaffale e… è morta. Ma possiamo farla rivivere, se lo vogliamo! Su, coraggio, facciamola rivivere!
P. Franco Moretti e P. Zieliński Maciej Mikolaj

1 Nell’Antico Testamento si usa l’espressione ebraica kārat berît che letteralmente significa “tagliare un’alleanza”.

2 In realtà, tale chiara espressione non appare nella Regola di Vita del 1988. La discussione era ancora in corso, ma, almeno nella sua formulazione, il testo appare ancora “orientato alla Chiesa”, non tanto “orientato al Regno”. Vedi l’indice analitico, dove “Chiesa” ha molte più voci di “Regno”. Quest’ultimo non appare mai in un testo costituzionale, ma solo in quelli direttoriali. Nella mente di molti missionari comboniani, la Chiesa “era” il Regno.

3 Decreto sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa.

4 Il Capitolo Speciale diede un’indicazione precisa alla Commissione: tenere presente soprattutto il cammino eterogeneo dell’Istituto Comboniano, l’invito del Vaticano II a ritornare alla “primigenia inspiratio” e altri documenti della Chiesa.

5 Sia il Capitolo Generale del 1979 che quello del 1985 volevano preparare riflessioni e commenti sulla Regola di Vita. Nel 1986, a 30 confratelli (tutti i delegati al Capitolo del 1979) fu chiesto di collaborare a questo compito. Il progetto non fu mai terminato. Nell’agosto 1988, il Consiglio Generale preparò alcuni testi significativi con suggerimenti utili su come celebrare la consegna della Regola di Vita.

6 Dalla promulgazione ufficiale. Il testo però aveva già 34 anni!