Mercoledì 11 febbraio 2015
Per approfondire la riflessione e la preparazione al prossimo Capitolo Generale – che si terrà dal 29 agosto al 4 ottobre 2015 e che ha come tema “Discepoli missionari comboniani, chiamati a vivere la gioia del vangelo nel mondo di oggi” –, il Consiglio Generale nella Lettera “Consacrati per la missione” (15/2015), ci invita a focalizzare la nostra attenzione su una delle dimensioni fondamentali della nostra vita, che è quella della consacrazione come religiosi comboniani per la missione. E ci suggerisce ad intraprendere questa riflessioni accogliendo la parola di Papa Francesco attraverso la sua lettera apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’anno della vita consacrata. Tra gli obiettivi che Papa Francesco disegna, ce ne sono tre che possiamo applicare alla nostra realtà e alla nostra esperienza come persone, come comunità, come province e come Istituto. Tali obiettivi sono un invito a leggere il passato con gratitudine, a vivere il presente con passione e ad abbracciare il futuro con speranza. Nella foto: P. Carmelo Casile, comboniano, l’autore del testo.
IN CAMMINO VERSO IL PROSSIMO CAPITOLO GENERALE
INVITO A PURIFICARE LA MEMORIA
Nel fare memoria del Fondatore e della Nigrizia, dei confratelli e delle consorelle della prima ora, e di tanti altri dopo di essi “fortemente identificati con la loro vocazione” (cf RV 1.4; AC ‘09, 5), rivive in noi la freschezza della nostra vocazione (“la certezza della vocazione”), nasce nel nostro cuore la lode al Signore e il bisogno di purificare la stessa memoria.
«Siamo il frutto del nostro passato, / siamo la vita stessa che ci è cresciuta dentro
come il fusto di alberi solitari / con i segni i colori e le imperfezioni
che i venti e le piogge hanno fissato / per sempre sulla loro corteccia.
Siamo anche il tempo trascorso:/ sta in noi scegliere se diventare uomini nuovi
o rimanere vecchi / come i nostri anni e i nostri ricordi». (Romano Battaglia).
1. Duc in altum: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc 5, 4)
Le onde del disimpegno e della stanchezza possono essere arrivate fino a noi missionari all’inizio del Terzo Millennio. Molti di noi, infatti, apparteniamo al mondo degli antichi convinti annunciatori del Vangelo in tutto il mondo. Abbiamo vissuto con emozione e speranza le prospettive missionarie della Chiesa nel dopo Concilio: credevamo che finalmente brillerebbe limpida e trasparente la luce del Vangelo fino agli estremi confini della terra, e ci sentivamo felici di partecipare in prima linea in questa “nobile avventura”. Avevamo l’impressione che la Missione fosse la forza che avrebbe cambiato e trasformato il mondo. Nell’esuberanza del nostro zelo missionario forse abbiamo preso Gesù come uno strumento per la realizzazione dei nostri sogni di “potenza” invece di seguirlo come Maestro e Signore umile e povero; erano momenti di creatività; ci fu emozione nei nostri gesti; ci fu generosità nella nostra donazione; pensavamo che tutto il mondo, nei suoi aspetti sociali, politici ed economici, seguirebbe la luce del Vangelo.
Ma arrivò per molti di noi la delusione: le cose non sono andate come avevamo pensato, la società umana cammina secondo le proprie norme, indifferente alla Parola di Gesù. E come se non bastasse, alcune scuole teologiche presentano forti riserve ed obiezioni riguardo alla missione “ad gentes”. Si parla di Gesù come ‘uno dei salvatori’ e si afferma che l’espressione ‘missione ad gentes’ è ormai obsoleta.
A questo clima di delusione sopraggiunge lo sconcerto delle coscienze provocato da terribili avvenimenti mondiali di intolleranza e di violenza, che aggravano le altre tante situazioni difficili in cui versa l’umanità.
In questo clima di disorientamento, che alcuni possiamo sperimentare come particolarmente angoscioso e in cui ci può nascere l’idea che la soluzione più appropriata è dare le dimissioni come missionari, ci sentiamo chiamare di nuovo.
È la voce di Giovanni Paolo II. Egli nell’ultima decada del Duemila, nonostante le nubi che offuscavano l’orizzonte missionario, proiettandosi verso il futuro nell’enciclica “Redemptoris missio”, intravedeva l’albeggiare di “una nuova epoca missionaria”: “La Missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa, è ben lontana dal suo compimento. […] Mai come oggi la Chiesa ha l’opportunità di far giungere il Vangelo, con la testimonianza e la parola, a tutti gli uomini e a tutti i popoli. Vedo albeggiare una nova epoca missionaria” (RM 1; 92); e all’inizio del secolo e del Terzo Millennio ripete: “La Chiesa non si può sottrarre all’attività missionaria verso i popoli, e resta compito prioritario della missio ad gentes l’annuncio che è nel Cristo, “Via, Verità e Vita”, che gli uomini trovano la salvezza” (NMI 56b)[1].
Ci ricorda così che la barca e le reti ci servono ancora e con l’invito “Duc in altum”, ci anima a riprendere il cammino missionario per proclamare il Vangelo con un dinamismo nuovo che nasca dalla eredità che ci consegna l’esperienza del Giubileo, cioè la contemplazione del volto di Cristo: “lui considerato nei suoi lineamenti storici e nel suo mistero, accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso della storia e luce del nostro cammino” (cf 15a).
All’incitamento missionario di Giovanni Paolo II si unisce Benedetto XVI, che ci ricorda con parole soppesate:
«La Chiesa è depositaria del mistero di Cristo: lo è in tutta umiltà e senza ombra di orgoglio o arroganza, perché si tratta del dono massimo che ha ricevuto senza alcun merito e che è chiamata ad offrire gratuitamente all’umanità di ogni epoca, come orizzonte di significato e di salvezza. Non è una filosofia, non è una gnosi, sebbene comprenda anche la sapienza e la conoscenza. È il mistero di Cristo; è Cristo stesso, Logos incarnato, morto e risorto, costituito Re dell’universo. Come non provare un impeto di entusiasmo colmo di gratitudine per essere stati ammessi a contemplare lo splendore di questa rivelazione? Come non sentire al tempo stesso la gioia e la responsabilità di servire questo Re, di testimoniare con la vita e con la parola la sua signoria? Questo è, in modo particolare, il nostro compito, venerati Fratelli Cardinali: annunciare al mondo la verità di Cristo, speranza per ogni uomo e per l’intera famiglia umana. Sulla scia del Concilio Ecumenico Vaticano II, i miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, sono stati autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Ed è per me motivo di consolazione poter contare sempre su di voi, sia collegialmente che singolarmente, per portare a compimento anch’io tale compito fondamentale del ministero petrino». (Omelia nella Solennità di Cristo Re, 2007).
Benedetto XVI esplicita ulteriormente questo suo pensiero nelle varie Encicliche e nei messaggi per la Giornata Missionaria Mondiale.
Ai nostri giorni, Papa Francesco non si stanca ripeterci il “duc in altum” con parole e gesti quotidiani e in modo organico con l’esortazione Evangelii gaudium. Essa, infatti, «consta di cinque parti, attraverso cui (1) scopriamo come il cristianesimo o è missionario o non è, (2) affrontiamo gli ostacoli che si frappongono oggi alla missione, dall’interno e dall’esterno della Chiesa, (3) studiamo le modalità della nuova evangelizzazione, (4) ne esaminiamo le conseguenze – che non sono facoltative – sul piano della dottrina sociale, e infine (5) siamo richiamati alla dimensione spirituale che è l’anima di ogni apostolato».
«Da ognuno dei cinque capitoli possiamo estrarre un’idea forza. Dal primo, che evangelizzare gli altri non è facoltativo. Un cristiano che se ne sta a casa e non evangelizza non è cristiano. Dal secondo, il grande ritorno della denuncia del relativismo, cara a Benedetto XVI, primo ostacolo all’evangelizzazione e diffusore di una “tremenda superficialità” in campo morale. Il relativismo, si legge, fa male sia alla società sia alla Chiesa, dove coinvolge anche sacerdoti e religiosi come “mondanità spirituale” e desiderio dell’applauso del mondo. Dal terzo, la lunga analisi della crisi dell’omelia domenicale nelle nostre chiese e gli epiteti durissimi – “falso profeta, truffatore, ciarlatano” – che il Papa rivolge al prete che non prepara bene la predica, non vi annuncia la verità della Chiesa ma la sua, o si riduce a scimmiottare programmi televisivi. Dal quarto, dedicato alla dottrina sociale, una difesa della politica come “vocazione altissima” contro un “populismo irresponsabile” che fa solo demagogia e non risolve i veri, tremendi problemi di poveri sempre più poveri. Dal quinto, sulle radici spirituali, l’accenno mistico secondo cui se la nostra opera missionaria non dà frutto il Signore forse se ne servirà per riservare benedizioni su “un altro luogo del mondo, dove non andremo mai” e che neppure conosciamo».
«E volendo riassumere ancora?» «Guardiamo il titolo: parla di evangelizzazione e di gioia. Il Papa lo ripete: tutti devono evangelizzare. Con questo documento davvero storico la Chiesa passa a una fase che in inglese si chiama evangelical, non si misura più sull’amministrazione dei fedeli che vanno a Messa ma sulla capacità di cercare e convertire chi in chiesa non ci va. E non a caso le comunità protestanti evangelical crescono, mentre quelle tradizionali rischiano di sparire. Poi la gioia. Una Chiesaevangelical è piena di gioia e porta gioia, bellezza – c’è un importante richiamo a evangelizzare attraverso l’arte, altro grande tema di Benedetto XVI –, amore. Nel testo c’è una bellissima frase rivolta al mondo moderno: “la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore”». (Massimo Introvigne, sociologo, in Zenit 26 Novembre 2013).
Una risonanza dello slancio missionario che riceviamo da Papa Francesco lo troviamo nella lettera del nostro Superiore Generale P. Enrique Sánchez G., mccj «Essere missionari al tempo di Papa Francesco» (Luglio 2013).
Di particolare importanza per noi è il fatto che Giovanni Paolo II arricchisce l’eredità missionaria del Giubileo con la canonizzazione del beato Daniele Comboni.
Essa, infatti, è un evento ecclesiale destinato a rafforzare e riaccendere la vocazione “ad gentes” della Chiesa, in particolare verso i popoli più poveri e abbandonati. Diviene così una sfida per tutti i cristiani a “spalancare le porte chiuse per ascoltare il grido dei “lontani” e degli “schiavi” del nostro tempo”; in particolare per noi comboniani è una sfida a lasciarci guidare dal nostro Fondatore in primo luogo verso la sua gente, cioè gli ultimi della terra - le nuove Nigrizie -, con “l’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato di un Crocefisso” che trasportò lui, fino a “sentire battere più frequenti i palpiti del suo cuore”, fino a spingersi in quelle lontane terre… per stringere tra le braccia e dare un bacio di pace e di amore a quegli infelici suoi fratelli” (S 2742).
“Duc in altum” è l’invito di Gesù a Pietro, che gli risponde: “Nella tua parola getterò la rete”.
Per noi, missionari “ad vitam”, cioè per tutta la vita e con tutta la vita, questo “Duc in altum” significa che la missione, in quanto partecipazione all’amore redentore di Dio per la salvezza del mondo svelato e donato in Cristo (56a; 1c; cf. Gv 3, 16), è la stessa ieri, oggi e sempre così come lo è Cristo (1b; cf Eb 13,8). Applicando al missionario ciò che lo stesso Giovanni Paolo II dice sull’«essere sacerdote oggi», possiamo dire che “il missionario non deve aver alcun timore di essere «fuori tempo», perché l’«oggi» umano di ogni missionario è inserito nell’«oggi» di Cristo Redentore. Il più grande compimento per ogni missionario e in ogni tempo è ritrovare di giorno in giorno questo suo «oggi» missionario nell’«oggi» di Cristo”[2].
La missione, per tanto, ha a che fare con la nostra vita qui e ora, all’inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio; essa cammina con noi, continua ad essere, di fronte alle grandi sfide con cui si apre il nuovo millennio (50-51), grazia e sorpresa di Dio in Cristo per gli uomini di oggi (4b; 29); per mezzo di essa la vita umana continua a divenire una storia incontrata da Cristo e che nel dialogo con lui riprende il suo cammino di speranza (8a).
2. Necessità di purificare la memoria
Ricevuto ancora una volta il mandato missionario da Cristo “contemplato e amato” (58a) con lo sguardo di Daniele Comboni, ripercorriamo il nostro lungo cammino missionario. Ci accorgiamo come il suo “Duc in altum”, risuonando incessantemente nel nostro cuore, ci ha mantenuti in cammino e ha guidato i nostri passi anche nei momenti più difficili. Abbiamo anche sperimentato quanto era limitata la nostra capacità di tenere lo sguardo fisso sul Crocifisso e di rimanere attenti al “Duc in altum” del Signore risorto, lasciando che si insinuasse in noi un certo senso di scoraggiamento, di rassegnazione e quasi d’impotenza di fronte alle urgenze dell'evangelizzazione.
Inoltre la maggior parte di noi siamo eredi d’una visone del mondo in cui predomina il senso di superiorità dell’uomo occidentale, e che noi abbiamo espresso in vari modi nell’attività missionaria.
Tutto ciò, unito alla nostra personale debolezza, ci ha resi tante volte opachi e pieni di ombre e ci ha indotto a commettere errori, che si aggiungono a quelli che si sono andati accumulando lungo i secoli. Assumerli tutti in prima persona e come comunità significa riconoscere che anche il passato missionario personale e collettivo va “redento”, sradicato dagli errori, per lanciare l’azione missionaria come attività portatrice di vita, dialogante e capace di oltrepassare pregiudizi secolari. Il “Duc in altum” che ci giunge adesso ci sollecita quindi alla purificazione della memoria, cioè ad aprirci alla luce di Cristo che, rendendoci più umili e vigili nella nostra adesione al Vangelo (6), ci rende uomini e donne nuovi (54) e ci riempie di rinnovato slancio nell’annuncio di Cristo, nella vigilanza per non ripetere gli errori già riconosciuti e nella convinzione che di fronte ai problemi e alle sfide del nostro tempo “non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi” (29b).
Per la purificazione della memoria (6) ci è di aiuto ritornare con il pensiero e rivivere la “Giornata del perdono” celebrata durante il Giubileo e culminata nella Liturgia del 12 Marzo del 2000[3].
Attraverso quest’esercizio possiamo arrivare a cogliere le responsabilità dei cristiani perduranti nel tempo, nelle quali possiamo trovarci coinvolti anche noi oggi, e quindi a individuare possibili cammini di conversione e a farci promotori di effettivi gesti di riconciliazione in quei contesti dove siamo presenti.
In quella circostanza il Papa ha invitato i cristiani alla preghiera, affinché “ chiedano perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l’uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni”.
Questa visione d’insieme offerta dal Papa, è stata poi specificata nella confessione delle colpe durante la celebrazione della Liturgia, in cui sono stati evidenziati: a) colpe commesse usando metodi di intolleranza a servizio della verità; b) peccati che hanno compromesso l’unità del Corpo di Cristo; c) colpe nei rapporti con Israele, d) colpe commesse con comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni; e) peccati che hanno ferito la dignità della donna e del genere umano; f) peccati compiuti nel campo dei diritti fondamentali della persona.
2. 1. Alla scuola del salmo 105/106
Il Salmo 105 ci presenta il popolo d’Israele impegnato a realizzare la purificazione della memoria, che consiste nel confessare i peccati compiuti nel passato dai “padri”, nel riconoscere che la comunità di oggi continua in questa durezza di cuore, nel rettificare il cammino tortuoso con la fede alla Parola del Signore e nel trovarvi un ammaestramento per il futuro.
La comunità, per tanto, è presentata come luogo della memoria e della speranza.
Nella memoria la storia personale e collettiva della comunità appare nel suo disegno organico e riceve la luce per discernere il cammino da seguire nei i suoi vari momenti. Sorretta dalla memoria, la comunità si impegna nel presente mediante il discernimento, si spinge verso il futuro e tiene desta l’attesa della piena realizzazione delle sue aspirazioni.
La purificazione della memoria avviene ri-cor-dando, cioè ridando il cuore a Dio. Nel Salmo è pressante l’appello a ricordarsi con gratitudine di Dio, del suo amore, della sua Alleanza, dei suoi benefici, per ridare il cuore a Lui e così non rimanere coinvolti nell’infedeltà dei padri, i quali si allontanarono dall’Alleanza perché non furono capaci di ricordare: I nostri padri non ricordarono…
La comunità di Israele è in esilio in Babilonia: ripercorre la sua storia e constata che in essa Dio ha salvato il suo popolo, e il popolo ha risposto con ripetuti peccati. Di fronte ad essi Dio punisce, ma si apre anche a misericordia. Così il popolo legge anche la sua situazione attuale: segnata dal peccato, condizione costante nella storia del popolo, ma aperta anche alla speranza del perdono di Dio, dopo la “punizione” dell’esilio.
Il tradimento dell’amore di Dio avviene ovunque: in Egitto (vv. 7-12), nel deserto (vv. 13-35), in Palestina (vv. 34-43), attraverso la ripetuta mancanza di fiducia in Dio (vv. 7.13.21), l’invidia nei confronti di Mosè ed Aronne (v. 16), il rifiuto di entrare nella Terra promessa per paura (v. 24), l’idolatria nel deserto e nella Terra promessa (vitello d’oro, vv. 19-20, idoli dei popoli pagani, vv. 36-39). Il castigo per purificare nuovamente il popolo non è mai un rifiuto definitivo da parte di Dio: Egli non dimentica la sua Alleanza e le sue promesse (vv. 8.23.40-46). Il popolo raggiunto da questa misericordia invita tutti a celebrare e lodare l’opera di Dio.
“Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo” (v. 4).
Questa invocazione percorre tutta la Scrittura e giunge sulle labbra del malfattore crocifisso con Gesù: “Gesù, ricordati di me” (Lc 23, 42). Ma in questa scena c’è una presenza in più: il Figlio di Dio crocifisso.
Dio, per portare a compimento il suo disegno di salvezza, non solo perdona il nostro peccato ma addirittura si fa uomo per portare su di sé tutte le conseguenze del male: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5, 21). Dio ha compiuto in modo sorprendente le sue promesse: un malfattore si è lasciato avvolgere da questo amore, l’altro ha preferito bestemmiarlo: non mi serve un Dio che porta la croce e perdona i suoi crocifissori. L’aurora del terzo giorno ha rivelato il senso di tale spreco d’amore…
TUTTI |
Alleluia |
SOLO
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Celebrate il Signore, perché è buono, * perché eterna è la sua misericordia. Chi può narrare i prodigi del Signore, * far risuonare tutta la sua lode? Beati coloro che agiscono con giustizia * e praticano il diritto in ogni tempo. |
TUTTI
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Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, * visitaci con la tua salvezza, perché vediamo la felicità dei tuoi eletti, + godiamo della gioia del tuo popolo, * ci gloriamo con la tua eredità. |
1º CORO
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Abbiamo peccato come i nostri padri, * abbiamo fatto il male, siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, + non ricordarono tanti tuoi benefici * e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso. Ma Dio li salvò per il suo nome, * per manifestare la sua potenza. Minacciò il mar Rosso e fu disseccato, * li condusse tra i flutti come per un deserto; li salvò dalla mano di chi li odiava, * li riscattò dalla mano del nemico. L'acqua sommerse i loro avversari;* nessuno di essi sopravvisse. Allora credettero alle sue parole * e cantarono la sua lode. |
2ºCORO
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Ma presto dimenticarono le sue opere, * non ebbero fiducia nel suo disegno, arsero di brame nel deserto, * e tentarono Dio nella steppa. Concesse loro quanto domandavano * e saziò la loro ingordigia. |
1º CORO
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Divennero gelosi di Mosè negli accampamenti, * e di Aronne, il consacrato del Signore. Allora si aprì la terra * e inghiottì Datan, e seppellì l'assemblea di Abiron. Divampò il fuoco nella loro fazione * e la fiamma divorò i ribelli. |
2º CORO
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Si fabbricarono un vitello sull'Oreb, * si prostrarono a un'immagine di metallo fuso; scambiarono la loro gloria * con la figura di un toro che mangia fieno. Dimenticarono Dio che li aveva salvati, * che aveva operato in Egitto cose grandi, prodigi nel paese di Cam, * cose terribili presso il mar Rosso. E aveva già deciso di sterminarli, + se Mosè suo eletto non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, * per stornare la sua collera dallo sterminio. |
1º CORO
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Rifiutarono un paese di delizie, * non credettero alla sua parola. Mormorarono nelle loro tende, * non ascoltarono la voce del Signore. Egli alzò la mano su di loro * giurando di abbatterli nel deserto, di disperdere i loro discendenti tra le genti * e disseminarli per il paese. |
2ºCORO
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Si asservirono a Baal-Peor * e mangiarono i sacrifici dei morti, provocarono Dio con tali azioni * e tra essi scoppiò una pestilenza. Ma Finees si alzò e si fece giudice, * allora cessò la peste e gli fu computato a giustizia * presso ogni generazione, sempre. |
1ºCORO
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Lo irritarono anche alle acque di Meriba * e Mosè fu punito per causa loro, perché avevano inasprito l'animo suo * ed egli disse parole insipienti. |
2ºCORO
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Non sterminarono i popoli * come aveva ordinato il Signore, ma si mescolarono con le nazioni * e impararono le opere loro. Servirono i loro idoli * e questi furono per loro un tranello. Immolarono i loro figli * e le loro figlie agli dei falsi. Versarono sangue innocente, + il sangue dei figli e delle figlie * sacrificati agli idoli di Canaan; la terra fu profanata dal sangue, + si contaminarono con le opere loro, * si macchiarono con i loro misfatti. L'ira del Signore si accese contro il suo popolo, * ebbe in orrore il suo possesso; e li diede in balìa dei popoli, * li dominarono i loro avversari, li oppressero i loro nemici * e dovettero piegarsi sotto la loro mano. Molte volte li aveva liberati; + ma essi si ostinarono nei loro disegni * e per le loro iniquità furono abbattuti. Pure, egli guardò alla loro angoscia * quando udì il loro grido. Si ricordò della sua alleanza con loro, * si mosse a pietà per il suo grande amore. Fece loro trovare grazia * presso quanti li avevano deportati. |
TUTTI
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Salvaci, Signore Dio nostro, * e raccoglici di mezzo ai popoli, perché proclamiamo il tuo santo nome * e ci gloriamo della tua lode. |
SOLO
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Benedetto il Signore, Dio d'Israele + da sempre, per sempre. * Tutto il popolo dica: |
TUTTI |
AMEN. |
3. La purificazione della memoria della Famiglia Comboniana
Comboni “santo” è per noi un continuo invito a ricordare, per lasciarci coinvolgere nella sua esemplare vita di Apostolo “santo e capace”.
Giovanni Paolo II ha detto chiaramente che i cristiani non possono “varcare la soglia del nuovo millennio senza purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi”. La purificazione della memoria collettiva deve riguardare anche la memoria personale, per cui occorre domandarsi in che misura i “peccati” del passato sono tuttora presenti nella nostra vita personale.
Proviamo, per tanto, a comporre il Salmo 105 con parole nostre, narrando la storia della nostra famiglia religiosa, della nostra stessa vita come missionari sotto lo sguardo del nostro Fondatore. Ci accorgeremo come anche la nostra miseria incrocia la misericordia di Dio così come avveniva nella storia di Israele.
Individuiamo i nodi principali del nostro peccato, diventiamone consapevoli, confessiamoli come tradimento dell’amore di Dio. Quali sono i nostri “vitelli d’oro” o “idoli della terra di Canaan”? Le nostre paure e le nostre “aspirazioni” ad avere tutto sotto controllo, continuano a convincerci che è meglio non fidarsi di un Dio che promette salvezza e intanto sale sulla Croce. Il peccato dei singoli raggiunge e coinvolge tutta la comunità e viceversa.
Il Salmo ci chiede poi di non limitarci ad individuare e confessare il peccato. Ci invita a riconoscere nella nostra vita e nella nostra storia la presenza dell’amore e della misericordia di Dio: sorgente di ogni bene e del perdono dei peccati.
Naturalmente questo esercizio diviene più efficace, quando vien fatto in continuità con il “gran Hallel” personale e comunitario , suggerito dal Salmo 135.
3. 1. Litania della Famiglia Comboniana
Per purificare la nostra memoria, componiamo il nostro Salmo della bontà del Signore verso di noi e delle nostre infedeltà in forma di litania
Con questo esercizio di preghiera purifichiamo la nostra memoria, intrecciando il ricordo delle nostre infedeltà a Dio col ricordo della sua misericordia. Ricordando in questo modo, mentre confessiamo i nostri errori chiedendo a Dio che ci liberi e che ci rivesta delle virtù e dei sentimenti del Cuore di Gesù, noi ridiamo il nostro cuore a Lui e riceviamo nuovo slancio nel nostro impegno missionario. È un esercizio che ci porta a “rigenerare” la passione per il nostro carisma.
NB: La formulazione della Litania è presentata con due caratteri: la prima con carattere normale corrisponde alle situazioni di vita desunte dagli Atti dei Capitoli Generali dal 1985 al 2003, la seconda con carattere corsivo corrisponde agli Atti dell’ultimo Capitolo. Questo modo di procedere può aiutarci a sentire il polso della coscienza collettiva dei membri dell’Istituto in questo momento, costatare il cammino fatto e quello che ci resta da fare e cercare assieme concreti cammini di conversione.
V/ Dal pericolo di essere sopraffatti dall'attivismo, da una mentalità efficientista e dall'individualismo,
R/ Liberaci, Signore
***
V/ Perché viviamo nella realtà storica attuale l’esperienza di discernimento di Daniele Comboni,
R/ ascoltaci o Signore.
***
V/ Gesù, che hai fatto della tua vita una donazione incondizionata al Padre,
R/ Facci simili a Te.
Preghiamo
Dio, nostro Padre, concedi a noi, consacrati a Te per la Missione,
di rivestirci delle virtù e dei sentimenti del Cuore di Cristo tuo Figlio,
perché trasformati a sua immagine,
siamo generosi operai a servizio del tuo Regno,
e lavoriamo per la Redenzione eterna nostra e dei nostri fratelli e sorelle.
Per Cristo Nostro Signore. Amen.
P. Carmelo Casile
Casavatore, gennaio 2015