Narrando la vita di preghiera di san Daniele Comboni abbiamo avuto modo di intravedere la profondità della sua esperienza di Dio. Tentiamo ora di vederla più da vicino. Ma per addentraci in questo cammino, abbiamo bisogno di richiamare brevemente alla nostra mente che cosa significa “fare esperienza di Dio”.
Quando si usa l’espressione "fare un'esperienza" si vuole dire che l'esistenza di una persona è percorsa da un fremito particolare che la sottrae al ritmo delle ripetizioni quotidiane e determina nella sua vita una variazione, un “esodo” da una situazione ad un’altra: un'esperienza è sempre un evento particolare per il quale avviene un passaggio, così che ogni persona impara a vivere attraverso tante esperienze; se è credente impara a vivere anche nell’ambito della fede…
Ogni esperienza in quanto passaggio, “esodo”, lascia un segno, denota un cambiamento, una trasformazione, e quindi dà origine a una storia, che coinvolge la memoria e quindi si può ripercorrere nel suo svolgersi. È chiaro, per tanto, che senza memoria cosciente non c’è esperienza.
Il termine «esperienza», per tanto, sta a indicare chi ha una conoscenza diretta di qualcosa e nello stesso tempo evoca lo spazio della novità e del rischio che una tale conoscenza inevitabilmente comporta. Si potrebbe dire che l'esperienza è la conoscenza immediata e diretta, proprio per questo rischiosa e aperta al nuovo, che si ha di qualcosa e ancor più di qualcuno.
Applicato all'incontro con Dio il termine assume un forte significato evocativo e al tempo stesso narrativo-simbolico: "esperienza di Dio" è quella conoscenza diretta, pagata di persona, che nasce dall'incontro sempre sorprendente con Lui, eccedente ogni nostra attesa o deduzione. Un incontro al tempo stesso vivificante e mortale, accecante e pieno di luce, come è analogamente ogni vero incontro d'amore. Questo venire a noi di Dio si offre nel segno della meraviglia e del dono assolutamente gratuito. Il rischio presente in una tale conoscenza è ben noto alla tradizione biblica, che non esita a definire "fuoco divorante" il Signore della vita e della storia e l'esperienza di Lui (cf. Dt 4,24; cf. Eb 12,29). Portare alla parola questa esperienza è il compito dell'espressione e della comunicazione della fede: solo a questa condizione esse risultano veramente efficaci, perché si nutrono dell'eccedenza del vissuto dell'incontro, mai pienamente esaurito dalla parola o dal gesto che si sforzano di parteciparlo. (Bruno Forte).
L’«esperienza di Dio», è una realtà determinante nella vita di Daniele Comboni.
Comboni è certamente un credente che è stato incontrato da Dio e si è esposto al rischio di questo incontro. Questo incontro ha segnato profondamente il suo spirito e lo ha trasformato in autentico «uomo di Dio», capace di narrarci la sua «esperienza di Dio» con il suo modo di vivere e condividendo la sua esperienza con le persone che gli erano vicine e nei molti contatti epistolari. Così facendo, mentre faceva veicolare la sua «esperienza di Dio» per la Sua sola gloria di Dio, se la chiariva a se stesso e l’ha approfondiva ancora di più.
L’«esperienza di Dio» in Comboni è intrinsecamente connessa con la pietà e lo spirito di orazione (S 3615).
In effetti, nel cammino di fede all'interno del Popolo di Dio, la preghiera è la porta che introduce all’«esperienza di Dio» e la fonte che la alimenta. Da questa esperienza nasce il dialogo vocazionale che mantiene l’eletto in “un processo di maturazione che dura tutta la vita” (cfr. RV 85).
Esiste un nesso intrinseco tra esperienza di Dio, fede, vocazione e preghiera, così da costituire un tutto unico inscindibile. Se la fede e la vocazione sono una relazione personale con Dio, un "sì" detto a Lui, una risposta alla sua proposta: - Mi ami tu? -, perciò stesso la fede e la vocazione sono dialogo con Dio. La preghiera è pertanto la fede e la vocazione vissute in modo cosciente ed espresse in un dialogo formale e costante con Dio.
Comboni ne era convinto e per questo diceva: «Siccome l'opera che ho tra le mani è tutta di Dio, così è con Dio specialmente che va trattato ogni grande e piccolo affare della Missione» (S 3615).
Questo nesso è messo in risalto dalla nostra Regola di Vita al n. 46. In esso è chiaro che alla base della vocazione-missione di testimoniare e proclamare l’amore del Padre, c’è l’«incontro con Dio», cioè l’esperienza di Dio in Cristo sotto l’azione dello Spirito Santo. La preghiera, per tanto, sostanzialmente è amare, è entrare nell’atteggiamento contemplativo della vita cristiana, è attenzione e compimento della volontà salvifica di Dio Padre, contenuta ed espressa nella sua Parola fatta Uomo (cfr. Gv 1,1-18; 1Gv 1, 1-4). «Perciò (il missionario) focalizza la sua intera esistenza nell’incontro con Dio e forma con i suoi fratelli una comunità orante» (RV 46).