Domenica 10 luglio 2011
P. Villarino Rodriguez Antonio, Assistente Generale dei Missionari Comboniani, ha fatto la seguente omelia – che pubblichiamo integralmente – nella celebrazione solenne dell’Eucaristia della Festa del Sacro Cuore, il 1 luglio scorso, a Roma.
Festa del Sacro Cuore 2011
“Quanto è bello che i fratelli vivano insieme”, dice il salmo 133. Siamo riuniti qui perché chiamati, radunati e inviati. Ogni volta che ci raduniamo per celebrare assieme, il Signore si fa presente in mezzo a noi, la comunità si rinvigorisce e la missione riceve nuove luci e nuove energie. Celebrare “in spirito e verità” ci aiuta ad aprire il cuore, la mente e la vita al soffio dello Spirito che, come Gesù ha promesso, ci conduce alla verità completa, una verità che si fa attuale in ogni momento del nostro camminare nella storia.
Come succedeva nel deserto con il Popolo di Israele, così oggi il Signore ci fa avvertire la sua ombra e la sua presenza per mezzo e con i fratelli che ci stanno vicini, mentre celebrano con noi, nella bellezza della liturgia e in modo tutto particolare nelle parole della sacra Scrittura che oggi, come sempre, ci aiutano a fare memoria del passaggio di Dio nella storia, e ci aiutano ad aprirci alla sua azione sempre nuova, anche in questo tempo che ci sembra cosi “fluido” e confuso.
La prima lettura del Deuteronomio ci ha fatto ricordare un piccolo brano del secondo discorso di Mosè al suo popolo, che oggi possiamo considerare come diretto a noi. La Parola parla al nostro cuore e ci dice:
- Comboniani, “il Signore si è legato a voi e vi ha scelti”. “Non siete voi che avete scelto me, sono io che ho scelto voi”. Lo sappiamo, ma continuamente lo dimentichiamo. Siamo delle persone scelte. Il che non vuole dire che questa scelta sia esclusiva o escludente. Tutti e ciascuno di noi è unico davanti al Signore.
- Vi ha scelto – continua la Parola – “non perché siete più numerosi” dei Missionari per l’Africa, dei Gesuiti o dei Missionari del Verbo Divino; non perché siete migliori dei musulmani, degli agnostici europei o degli anziani africani; non perché siete più bravi, intelligenti o moralmente perfetti…
- Vi ha scelto “perché il Signore vi ama”… Questo è il segreto della nostra vita, che come Maria, dobbiamo custodire nel nostro cuore e testimoniare con gratitudine e semplicità. Ognuno di noi può dire con Paolo, “Chi mi ha scelto dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio, perché lo annunziassi in mezzo ai pagani” (Gal 1,15)
Seguendo il pensiero della Prima lettera ai Corinzi, oggi possiamo dire: Posso andare alla missione più difficile, ma se non ho amore non sono niente; Possiamo riorganizzare l’Istituto con una metodologia moderna e vincente, con un linguaggio cattivante, ma se non c’è amore sarò come bronzo che risuona a vuoto. “Ma l’amore – dice una canzone popolare spagnola – non si vende né si compra”. L’amore o è un dono o non esiste.
Ed ecco la grande, la buona notizia: il Signore ci regala gratuitamente il suo amore, anche quando siamo deboli, anche quando siamo peccatori. A noi basta accettarlo, accoglierlo con ambedue le mani (come fanno in Africa occidentale), con tutto il cuore, con il corpo e l’anima.
Accettare di essere amati; sembrerebbe così facile, invece non lo è per niente. Ed è precisamente quello che ci fa soffrire di più, come sanno bene i formatori. Come è difficile aiutare una persona che non si sente amata. Non è forse questa la radice di tante sofferenze intime, di tante inadeguatezze alla missione e conflitti comunitari?
Chi è incapace di accettare quest’amore? Chi, come Adamo, pensa che ce la farà da solo a diventare come dio; chi, come gli abitanti di Babele, pensa di poter arrivare da solo al cielo e sarà invincibile.
Questa è la scelta più importante che l’essere umano debba fare in ogni età, in ogni epoca della storia, anche in questa che stiamo vivendo. Deve scegliere tra il cercare di essere come dio, con il rischio sicuro di cadere nella confusione e nella schiavitù, o di accettare di essere un figlio amato. Ad Adamo, sfortunatamente, non è bastato essere figlio: ha voluto essere un dio-padrone, ma è finito per vergognarsi della sua nudità.
Celebrare il cuore di Gesù, invece, è guardare al Padre di Gesù con il cuore di Gesù, con il cuore di figlio che dice: ABBA! Questa è la nostra più grande vocazione come esseri umani, una vocazione che condividiamo con tutti i cristiani, anzi con tutti gli uomini e donne, perché tutti e tutte sono chiamati a questa comune vocazione, aldilà delle diverse strade culturali e religiose che si sono costruite.
Alcune voci del nostro tempo cominciano a dire che il grande problema di questa umanità (di cui noi siamo parte) è che sembra voler vivere senza Padre, che pensa che ce la farà da sola, come qualcuno che è nato senza un amore primordiale e si costruisce come assolutamente auto-referenziale. Noi non siamo lontani da questa tentazione dei nostri coetanei che tendono a non riconoscere il Padre che, come ci ricorda la prima lettera di Giovanni, ci ama, ci rivela il Figlio e ci invia a testimoniare la bellezza di questa rivelazione.
La lettera di Giovanni ci invita, inoltre, a renderci conto dell’altro lato di questa stessa realtà. Se accetto di essere Figlio (e non padrone o schiavo), allora viene da sé accettare che sono fratello. “Egli –dice Giovanni- ci ha fatto il dono del suo Spirito”, che non è altro che amore.
Nella nostra Regola di Vita, nei nostri Capitoli e in tutti i nostri documenti si parla della comunità, si fanno raccomandazioni saggie e opportune… Tutto utile, conveniente e necessario. Ma conviene non dimenticare che l’amore non si compra né si vende; è un dono dello Spirito.
Questo non vuol dire che bisogna tralasciare ogni sforzo di disciplina e di buona volontà; al contrario, dobbiamo fare tutti gli sforzi possibili, dobbiamo disciplinare i nostri difetti, dobbiamo imparare continuamente a rispettarci reciprocamente, a controllare i nostri temperamenti, accettare le differenze culturali… Ma tutto questo – necessario, ripeto – non basterà a fare delle nostre comunità luoghi di fraternità. “Chiunque ama – dice ancora Giovanni – è generato da Dio”.
Gesù, nel Vangelo di Giovanni, ci fa capire la chiave di una vita aperta all’amore di Dio e dei fratelli: “Ti benedico, Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.
Infatti, la grande proposta di Gesù, la sua grande rivoluzione, è molto semplice: lasciate di credervi “dio”, lasciate anche di auto-disprezzarvi quando fallite nel vostro vano tentativo di diventare “dio” e padroni gli uni degli altri; nessuno di voi si creda capo, maestro o padre; questo lo è solo Dio; voi siete tutti fratelli. Ma allo stesso modo, nessuno di voi pensi di essere un nulla, un condannato, uno schiavo.
Questa è la buona notizia, questo è il giogo della sapienza del Maestro, che sa di essere Figlio amato e trasforma questa esperienza in capacità di accoglienza dei più deboli – “Venite a me voi che siete affaticati” –, in capacità di caricarsi dei problemi altrui senza esserne schiacciato, in capacità di andare fino alla croce, fiducioso nella vittoria del Padre.
Davanti a questa rivelazione di Dio come Abba e degli esseri umani come fratelli, noi possiamo rispondere in diversi modi:
- come Adamo ed Eva, che preferirono abbandonare l’amicizia di Chi passeggiava con loro e cercarono di diventare “dei” loro stessi, padroni, senza legami con il Padre, come il figlio prodigo che cerca una libertà impossibile, lontano da casa.
- come i farisei, che si affidano alla propria (falsa e impossibile) coerenza morale e ai propri meriti.
- come gli scribi, che preferiscono vivere nell’orgoglio della propria sapienza e delle tradizioni accumulate nella storia dell’umanità, ignorando che Dio non può essere rinchiuso nelle nostre tradizioni.
- come i sadducei, che pensano che alla fine tutto sia potere e ricchezze, anche la religione.
- come i sacerdoti, incapaci di concepire Dio fuori del tempio e dei riti, di cui approfittano loro stessi, come i saducei, vittime anche loro del desiderio del potere e del denaro.
O possiamo tentare di essere come i poveri di Yahvé, semplici e umili, che accolgono il Regno, si sentono gratuitamente amati e vivono la vita come un’esperienza di amore e di donazione. I discepoli-fratelli di Gesù, che accettano l’amore dell’ABBA, non solo credono che un altro mondo sia possibile. Si sentono chiamati a vivere già in quest’altro mondo (il cui umile segno e seme è la propria comunità), dove i più piccoli sono accolti, dove il denaro è condiviso, dove si fa giustizia e si lotta per la dignità di ogni fratello, dove si rispetta la creazione come la casa di tutti…
Tutto questo non come un hobby o una moda, ma come una consacrazione, con una dedizione totale e senza limiti. Come lo ha fatto Comboni che, da figlio appassionato del Padre, ha dato la vita per i fratelli che lui considerava più bisognosi, facendo causa comune con loro.
In questa Eucaristia, celebriamo questo cuore di Gesù, Figlio e Fratello; questo cuore di Comboni, che aveva gli stessi sentimenti di Gesù; questo cuore di ogni comboniano che sente, ama e soffre come quello di Gesù e di Comboni.
Che l’Eucaristia sia un’azione di grazie per questo immenso dono e una supplica per una maggiore fedeltà nella vita di ogni giorno. Che Dio ci conceda un cuore fedele e forte, in sintonia con il cuore di Gesù e il cuore di Comboni.
P. Villarino Rodriguez Antonio, Assistente Generale