Una serie di tre articoli –I tre pilastri- per approfondire la nostra realtà di "consacrati a Dio per la missione": reciprocità tra consacrazione e missione, non l'una o l'altra, ma l'una fondamento dell'altra.
I TRE PILASTRI DELLA VITA MISSIONARIA COMBONIANA
Consacrazione-Comunità-Missione
II
1. Consacrazione e missione nella vita della Chiesa[1]
La prima lettera di Pietro attribuisce al popolo cristiano tutto ciò che l’A.T. dice del popolo d’Israele (1Pt 2, 9).
In effetti, la realtà della consacrazione che costituisce il cuore della storia d’Israele come popolo dell’Elezione e dell’Alleanza (Es 19, 5; Dt 7, 6; cf Is 43, 1), trova la sua piena realizzazione nel Nuovo Testamento a tre livelli gerarchizzati: Gesù, la Chiesa, il cristiano.
1.1. Cristo, “il consacrato”
Nel N.T. il Santo di Dio (Mc 1, 24; Lc 4, 34; Gv 6, 69), il Consacrato per eccellenza, il Nuovo Israele è Gesù di Nazaret (Gv 10, 36). Nella persona di Gesù, il Cristo, “si riassumono tutte le consacrazioni dell’Antica Legge (Popolo, Tempio, Sacerdoti, Re, Profeti); e in lui è consacrato il nuovo Popolo di Dio, d’ora innanzi misteriosamente unito a lui”[2].
Con la incarnazione il corpo di Cristo diviene il luogo dove Dio si rende definitivamente presente; definitivamente e nel modo più assoluto prende possesso dell'uomo; definitivamente gli viene incontro e definitivamente si lascia incontrare (cfr. 1Tim 2,5; Eb 8,6); «non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 3,12). La presa di possesso di questa umanità da parte del Verbo è tale che essa perde la sua stessa personalità per acquistare quella del Figlio di Dio, sì da diventare realmente Dio. Proprio perché in essa risiede corporalmente la pienezza della divinità (cfr. Col 2,9; Ap 2,7; 1Gv 2,20), la umanità di Gesù diventa la realtà sacra per eccellenza, al punto che Cristo, o Consacrato, diventerà il suo nome proprio (cfr. At 2,36). La Consacrazione è Lui, e nessuno, da questo momento, potrà essere oggetto di consacrazione se non come partecipazione della sua. «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22-23). «Gesù è colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo in modo supremo (cfr. Gv 10,13). In lui si riassumono tutte le consacrazioni dell'antica Legge, nelle quali era prefigurata la sua; e in lui è consacrato il nuovo popolo di Dio, d'ora innanzi misteriosamente unito a lui» (EE 6a). In quanto, poi, Gesù tutto riassume in sé, tutto in lui ritrova la sua sacralità originaria.
1. 2. La Chiesa o il nuovo popolo eletto
Con la pienezza dei tempi stabilita dal Verbo incarnato, prende definitivamente corpo il disegno eterno di Dio che è quello «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (cfr. Ef 1,3-10). Da questo momento la chiamata di Dio si apre di nuovo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,10; At 1,3), perché tutte le cose, come hanno avuto origine dal suo Verbo (Gv 1,3), così nella appartenenza e nella piena soggezione a Lui, divenuto "tutto in tutti" (Col 3,11), raggiungano la loro pienezza.
Nell'antico Testamento Dio si è costituito il suo popolo attraverso interventi prodigiosi e continuati, ma ora si rende personalmente presente nel suo Figlio "acquistandosi" (cfr Ef 1,14) il popolo non con la forza della sua potenza, ma pagando di persona. «Non sapete che ... non appartenete più a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo» (1Cor 6,19-20). «Non a prezzo di cose corruttibili... foste liberati.... ma con il sangue prezioso di Cristo»: 1Pt 1,19; cfr 2,24-25; Rm 3,25-26; Col l,13-14.21-22; Ef l,13-16; 1Gv4,9.
Consacrato da Dio in Spirito Santo e potenza (At 10, 38), Gesù diviene consacratore a nome del Padre suo. Così nasce il nuovo popolo di Dio che, da questo momento, è il popolo di Cristo «al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli» (1Pt 4,11). «Tutto, infatti, (Dio) ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo» (Ef 1,22-23; cfr. 1Cor 15,24-26).
Della Chiesa Cristo Gesù ha fatto il suo Corpo, la sua Sposa (cf Ef 5, 26-27). In lui e per lui si verifica, a una nuova insondabile profondità, il mistero dell’“appartenenza reciproca” tra Dio Padre ed il Popolo della Nuova Alleanza, acquistato a prezzo del sangue dell’Agnello (cf Ap 1, 6; 5, 9), Popolo-Famiglia di figli, tutti fatti anche Sacerdoti, Re e Profeti (cf LG 9a; 10a; 34).
Il cristiano è, essenzialmente, colui il quale accetta il primato assoluto di Cristo, riconoscendolo come unico "Signore" e mettendosi, dunque, a sua totale disposizione, per servirlo nel modo e nella misura in cui a Lui piacerà. Su questo punto Cristo è stato categorico. Non c'è niente che possa essere a Lui paragonato: «O con me o contro di me» (Mt 12,30; cfr 10,37-38; 18,8-9). E questo che costituisce la esigenza propria e tipica della "sequela cristiana". Poiché Gesù non ha altro cibo che fare la volontà del Padre, lasciarsi da Lui prendere significa lasciarsi immergere nella sua stessa consacrazione, parteciparla in sé e divenire, in un certo senso, un prolungamento della sua umanità, dove Dio continua ad incarnarsi, rivelarsi, comunicarsi.
Ogni cristiano, per tanto, è reso partecipe della consacrazione di Gesù e della Chiesa mediante i sacramenti fondamentali dell’iniziazione cristiana che “imprimono un carattere indelebile”, cioè una consacrazione divina definitiva (cf LG 10-12; 34-36). La Chiesa è tutta intera un popolo di battezzati-cresimati consacrati da Dio a Dio e chiamati a vivere coerentemente nella santità del loro “stato” battesimale-cresimale e ad essere per il mondo sacramento di salvezza.
Tutto ciò viene sacramentalmente espresso e inizialmente attuato attraverso il sacramento del battesimo che inserisce in Cristo come membro nel corpo e (insieme alla cresima che lo completa nell’ordine dinamico) pone nel chiamato il sigillo della totale e definitiva appartenenza al suo Capo, attraverso la impressione di un carattere indelebile (cfr LG 10-12; 34-36) e la conseguente partecipazione della sua stessa consacrazione. Poiché la Chiesa non è altri che l'insieme di coloro che, presi da Cristo e in lui inseriti (cfr Gv 15,5), partecipano la stessa condizione della sua umanità presa da Dio e totalmente consacrata, essa è, tutta quanta, un popolo che "Dio consacra a Sé" (LG 9a), una comunità di "indole sacra" (LG 11a), "adunata nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4b). Ciò che definisce la Chiesa e ogni suo membro è proprio questa specifica e definitiva introduzione nel mondo di Dio e relativa appartenenza a Lui in Cristo. II cristiano potrà anche comportarsi come se non fosse di Cristo, ma ciò non toglie che egli gli appartiene, perché con il battesimo è diventato suo; e deve sapere che ciò che sottrae al dominio di lui, nell'essere e nell’operare, è un furto che gli fa: e questo è il peccato. Posseduta totalmente da Cristo e a Lui appartenente, la Chiesa lo possiede a sua volta, ed è per questo che costituisce “l’universale sacramento di salvezza” (LG 48b; GS 45a; cfr. LG 9).
La Chiesa, per tanto, è tutta intera un popolo di battezzati-cresimati consacrati da Dio a Dio e chiamati a vivere coerentemente nella santità del loro “stato” battesimale-cresimale e ad essere per il mondo sacramento di salvezza.
In virtù di questo stato battesimale-cresimale, ogni cristiano è un amato da Dio, chiamato e consacrato da Lui nel Signore Gesù Cristo ed inviato nel mondo all’incontro di quell’uomo che “...è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso e che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’incarnazione e della redenzione” (RH 14).
2. La centralità di Gesù nella consacrazione-missione del popolo della Nuova Alleanza
La vita consacrata della Chiesa si fonda sulla centralità di Gesù, professato Cristo e Signore.
Gesù è “il consacrato”.
Egli stesso si è così definito nella sinagoga di Nazaret: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato e mi ha mandato ad annunciare la lieta notizia ai poveri” (Lc 4, 16ss).
La consacrazione di Gesù, a prescindere dalla varie funzioni in cui si esplicita, discende dall’iniziativa dello Spirito Santo. Questo legame che unisce lo Spirito a Gesù si manifesta fin dall’episodio del battesimo (3, 21-22) e della tentazione (4, 1-11). I tre eventi sono legati insieme dalla presenza dello Spirito. Questa presenza è intima e stabile e definisce l’identità di Gesù, cioè il suo rapporto con Dio. Gesù è il Figlio amato nel quale Dio si compiace (3, 22b). È il Figlio di Dio, che non deve cedere alla suggestione di ricorrere a gesti di potenza per manifestare il suo essere Figlio, bensì al dono di sé e alla via della Croce. È “il consacrato” dallo Spirito (4, 1), inviato ad annunciare la lieta notizia ai poveri.
La consacrazione, per tanto, è dono dello Spirito ed occupa il posto centrale nella vita di Gesù. Dalla sua consacrazione scaturisce la missione, la quale riceve la sua forma, cioè “il perché” e “il come”, dalla stessa consacrazione.
In effetti, Gesù ha vissuto la sua totale dedizione alla missione a partire dalla sua consacrazione, cioè dalla sua totale appartenenza al Padre nello Spirito. Per questo nello svolgimento della sua missione Egli è stato in tutto la trascrizione visibile, storica, luminosa dell’amore di Dio Padre per l’uomo. Se ha accolto pubblicani e peccatori, è perché voleva svelare in tal modo chi è Dio (Lc 15): non soltanto un gesto di salvezza in favore dei peccatori, ma ancor prima e più profondamente, un gesto di rivelazione. L’appartenenza al Padre ha riempito tutto l’orizzonte della sua vita e della sua missione.
È questa la novità della missione di Gesù “consacrato” e “inviato”: farsi annunciatore di un Dio che ha una lieta notizia da comunicare ai poveri (4, 18-19), che non fa differenze fra popolo e popolo (4, 23-27), che non ricorre alle scorciatoie della potenza per sfuggire al rifiuto (4, 28-29). Predilezione per i poveri e i peccatori, universalità dell’amore di Dio, fiducia nella forza dell’amore fino ad essere scandalosamente sconfitto: questi i tratti del volto di Dio di cui Gesù, il Consacrato dallo Spirito, è immagine perfetta in mezzo al mondo[3].
Gesù, il Consacrato-Inviato al mondo per rivelare il volto di Dio, è il Signore.
Infatti, il titolo di Signore fu attribuito a Gesù fin dal principio, secondo la testimonianza di Paolo, che ricorda il simbolo primitivo della fede cristiana: “Gesù è il Signore” (Rom 10, 9).
Il termine Signore [“Kyrios”] nel linguaggio biblico-teologico non significa padrone dispotico, ma traduce il nome di Jahvè, che è Signore di tutta la terra (Gs 3, 11; cf Mt 11, 25) e ha creato Israele (Is 43, 1), con la certezza che il suo potere è liberatore.
Il Nuovo Testamento trasferisce a Gesù il titolo di Signore, mettendolo così allo stesso livello di Jahvè: “ogni ginocchio si pieghi” davanti a Lui come si piega davanti a Dio e “ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2, 10-11).
Per tanto, Gesù, artigiano di un villaggio perduto tra le colline della Galilea, in quanto Consacrato e Signore, è colui che dà forma umana a Dio e assume la funzione che Dio aveva per il suo popolo nell’A.T., non nel senso che Dio perde questa funzione nel N.T., ma in quanto questa funzione è portata alla sua compiutezza e messa a nostra disposizione attraverso la mediazione, l’opera e la persona di Gesù. In quanto Cristo Signore, Gesù è colui che fa vivere il suo popolo; è colui che è tutto per il suo popolo e nello stesso tempo vuole che il suo popolo, la Chiesa, sia tutto per Lui (cf 2Cor 5, 15).
La presenza di Gesù, l’accoglienza della sua persona nella nostra vita, comporta questa reciprocità, la più radicale che si possa immaginare: noi apparteniamo totalmente a Gesù, il Signore, ed Egli appartiene totalmente a noi; tutto ciò che Gesù è, lo dà a noi; tutto ciò che noi siamo, come persone, come gruppo, come Chiesa, tutto è orientato verso Gesù e messo sotto la sua signoria.
Così la reciprocità tra Dio ed il Popolo dell’A.T., vissuta nella consacrazione-missione, adesso è vissuta come reciprocità tra Gesù, il Cristo crocifisso, risorto e vivo, e l’uomo vivificato dallo Spirito del Signore Gesù. Il N.T. afferma chiaramente un’appartenenza reciproca tra il Signore Gesù ed il cristiano, così come l’A.T. esigeva l’appartenenza a Jahvè.
Per tanto, la vita cristiana come partecipazione alla consacrazione del Signore Gesù è partecipare alla sua comunione d’amore al Padre e alla sua donazione per i fratelli. La consacrazione-missione del popolo della Nuova Alleanza raggiunge il suo pieno significato nel Mistero pasquale, dove Gesù viene “costituito figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti” (Rom 1, 4), e del quale il cristiano comincia a partecipare con il Battesimo.
3. Punti di riferimento per vivere la centralità di Gesù
Nella proclamazione della centralità di Gesù nel contesto della consacrazione-missione del popolo della Nuova Alleanza, vengono sottolineati alcuni punti di riferimento irrinunciabili per la comprensione e l’esperienza della consacrazione-missione del popolo cristiano.
In fatti, non esiste vocazione cristiana e, per tanto, compito nella Chiesa, che possa prescindere da un riferimento diretto alla persona di Gesù, soprattutto da quegli aspetti che più caratterizzano la partecipazione nella sua consacrazione-missione, anche se con intensità e forme diverse.
Gesù, unico mediatore tra Dio e l’uomo mediante la sua Incarnazione (1Tim 2, 5), diviene la Guida assoluta e definitiva inviata da Dio, che gli uomini devono seguire, per raggiungere la liberazione dalle loro oppressioni e la salvezza; assume la funzione di Tempio, unificando nella sua persona ed esercitando il ministero di Sacerdote, Re e Profeta, che nell’A.T. erano ministeri esercitati da distinte persone, e riconcilia Dio con l’umanità e l’umanità con Dio: in Lui Dio si consegna totalmente all’uomo e l’uomo è totale accoglienza di Dio (2Cor 5, 18-21).
3. 1. Sequela di Gesù
Il popolo della Nuova Alleanza deve seguire Gesù, così come Israele doveva seguire Jahvè.
Questa sequela di Gesù è tipificata in modo particolare nell’esperienza vissuta dal popolo d’Israele nella traversata del Deserto verso la Terra Promessa.
C’è, in fatti, uno stretto legame tra la permanenza d’Israele nel Deserto e quella di Gesù all’inizio del suo ministero, che ci presenta in sintesi il nucleo e il senso globale della sua vita: Mt 4, 1-11; Mc 1, 12-13; Lc 4, 1-13.[4]
È lo Spirito che spinge con forza Gesù nel Deserto, come Dio con braccio potente aveva fatto uscire il suo popolo dall’Egitto e l’aveva guidato oltre il Mar Rosso. Nel Deserto, luogo della prova e della fedeltà di Dio, Gesù rimase quaranta giorni, ripercorrendo in sé la storia del popolo di Dio, che nel Deserto fu messo alla prova e cadde.
I quaranta giorni, riferiti ai quaranta anni nel deserto, simboleggiano tutta una generazione, tutta la vita: tutta la vita di Gesù come quella di ogni uomo, fu deserto e prova, fino alla fine; il Deserto è vasto quanto la vita stessa, quanto il desiderio del futuro.
Ma al contrario di tutti i membri del popolo che passarono il Mar Rosso, e soccombettero alla prova e morirono senza giungere alla patria desiderata, Gesù sarà il primo uomo che vince il male, supera la prova e giunge alla Terra Promessa. Egli è l’uomo pieno dello Spirito Santo, venuto al mondo per vincere il male e liberare l’uomo dalla sua schiavitù.
Infatti, il faccia a faccia con il potere dell’illusione satanica e con il fascino della tentazione rivela in Gesù un cuore attaccato alla nuda Parola di Dio. Egli, essendo Figlio di Dio, è anche vero Uomo, che non evade dalla realtà concreta umana, ma la assume in totale attitudine di obbedienza a Dio e di servizio agli uomini.
“Gesù fu tentato come profeta, come sacerdote e come re, intendendo rispettivamente la salvezza in modo materialistico, la comunione con Dio in modo miracolistico, la libertà in modo padronale. Sono le tentazioni di sempre: scambiare salvezza con salute, Dio con le sue (o meglio nostre) prestazioni/sensazioni, l’altro con il nostro potere su di lui”.
Nel Deserto, la vittoria di Gesù sul Tentatore costituisce l’inaugurazione del Regno di Dio, l’inizio di un nuovo mondo e la rottura con l’antico. In Gesù che vince il Tentatore, si realizza il piano divino della salvezza: in Lui abbiamo già superato la prova, in Lui abbiamo la comunione perfetta con Dio.
Così le stesse tentazioni in cui Israele è caduto, invece di ineluttabile luogo di perdizione, diventano promessa di salvezza a causa di colui che le ha vinte. Quel nemico, che fu all’opera al tempo di Israele, è all’opera ancora adesso nella vita della Chiesa. Ma la sua azione vittoriosa sull’uomo è stata rotta e vinta da Gesù. In lui il credente passa attraverso la breccia ed entra nell’ “oggi” della salvezza. Gesù che ha vinto, vince ancora “oggi” nella fede del discepolo che lo ascolta per essere salvato.
Per tanto, il Deserto come luogo geografico e come tempo di maturazione della fede si è realizzato in Gesù: Lui, che è il vero Israele, il vero Popolo di Dio, visse in pienezza l’esperienza del Deserto, come noviziato essenziale al suo ministero; in Lui la figura cede il posto alla realtà, la parabola-profezia del Deserto è realizzazione piena; in Lui realizziamo il nostro Deserto, Lui è il nostro Deserto, perché è Lui il Cammino che ci porta alla Verità e alla pienezza della Vita (cf Gv 14, 6; 10, 10).
Tutti i doni fatti da Dio al suo Popolo sono piena realtà nella persona di Gesù e da Lui offerti ai suoi seguaci; nei suoi gesti e nelle sue parole si profila con chiarezza la presenza del Dio dell’Esodo, che libera il suo popolo dalla schiavitù e lo guida attraverso l’iniziazione nel Deserto a divenire Popolo di Dio e a giungere alla Terra Promessa:
* Egli è la manna, il nuovo pane disceso dal cielo: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame (Gv 6, 35). Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 51).
* Egli è la fonte d’acqua viva, che appaga per sempre la sete di colui che la beva: “Chi ha sete venga a me e beva (Gv 7, 37). Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete (Gv 4, 14) e fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7, 38).
* Egli è il serpente di bronzo innalzato nel Deserto (Nm 21, 4-9), che dà la salvezza a chi lo guarda con fede: Gesù diviene serpente, accetta, cioè, di farsi “peccato”, accetta la maggiore umiliazione possibile davanti a Dio, per salvare gli uomini serpenti: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chi crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-16).
* Egli è la colonna di fuoco, la luce che risplende nelle tenebre finché arrivi la luce del giorno: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre (Gv 8, 12). Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete luce; [...] chi cammina nelle tenebre non sa dove va” (Gv 12, 35).
* Egli è la colonna di nube durante il giorno, sotto la cui ombra va a riposare colui che è stanco ed oppresso: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò” (Mt 11, 28).
* Egli è il cammino, la guida, la porta della Terra promessa: “Io sono la via (Gv 14, 6). Io sono la porta delle pecore (Gv 10, 7), che viene perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10, 10). Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14, 6), perché nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).
* Egli è la Terra Promessa: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre (Gv 16, 28), perché siate anche voi dove sono io (Gv 14, 3): io sono nel Padre e il Padre è in me (Gv 14, 11); chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14, 9); voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi (Gv 14, 20); chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui (Gv 14, 21) e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23).
La Chiesa, il popolo della Nuova Alleanza, cerca e trova la sua Terra Promessa non in un luogo, ma nella sequela di Gesù, suo Signore, che la introduce nella comunione, nella comunione intima di tutti con Dio Padre sotto l’impulso dello Spirito Santo. È qui dove la Chiesa è introdotta, seguendo Gesù, suo Capo, trasferendo così la Terra Promessa da questo mondo visibile al mondo di Dio-Trinità (cf 1Gv 1, 1-4). La Chiesa, nata dal Cuore trafitto di Gesù, non cerca un luogo dove stabilirsi e godere i doni di Dio, ma si fa pellegrina in questo mondo cercando la comunione, dalla quale riceve tutti i beni e la sua missione nel mondo.
3. 2. Gesù nuovo e definitivo Tempio
Nel N.T., la persona di Gesù, Cristo e Signore, ha la stessa funzione che aveva il Tempio per gli Israeliti: Egli è il vero Tempio.
L’evangelista Giovanni proclama: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14). Più avanti riferisce che, quando i Giudei reclamano a Gesù un segno come prova della sua autorità per aver cacciato dal Tempio mercanti e cambiavalute, egli li orienta verso un nuovo e misterioso Tempio che sarà messo in piedi da lui stesso, affermando: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? Ma egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2, 19-22).
“All’inizio del grande shabbath di Pesah, quando Gesù in croce mise il suo spirito nelle mani del Padre, il velo del Tempio si squarciò. Il suo corpo prezioso (tutta la sua umanità offerta in dono) è allora misteriosamente incorporata al Tempio, diventa pietra di carne, roccia spirituale, ricettacolo della Shekhinah.
Il Tempio è il suo corpo, e il suo corpo è vero e proprio Tempio, luogo di culto”[5].
Per tanto, il contatto con Gesù ci libera dalla nostra peccaminosità. Applicando a noi la sua morte, ci libera da ogni elemento di discordanza riguardo a Dio e a Lui stesso. Nel Tempio, oltre l’elemento di separazione, c’è soprattutto la presenza di Dio, una presenza immediata che impregna della sua vitalità tutto l’ambiente, le persone e le cose. Il contatto con Gesù-Tempio impregna la Chiesa e, quindi, ogni cristiano della vitalità del Signore Gesù, che è il suo stesso Spirito, così che ogni cristiano diviene nello stesso tempo Tempio di Dio e pietra viva per l’edificazione della Chiesa.
Perciò San Paolo chiede ai Corinzi: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1Cor 3, 16).
Cristo è il vero Tempio. Pertanto, essere tempio di Dio, edificare il tempio in noi, significa far vivere Cristo nel cuore (cf Ef 3, 17), incarnarlo nelle nostre vite e quindi rinnovare in noi la sua passione, morte e risurrezione.
San Pietro a sua volta ricorda ai primi battezzati che, uniti a Cristo e resi Tempio in lui, sono pietre viventi, che si costruiscono come casa spirituale (cf 1 Pt 2, 4-10).
La Chiesa, per tanto, è la Casa-Tempio di Dio: i cristiani ne fanno parte al momento del Battesimo in cui aderiscono a Cristo che è la pietra angolare, quella che dà stabilità e coesione a tutto l’edificio, ed è pietra vivente. Gesù è il Risorto che dà la vita ai cristiani, i quali sono perciò anch’essi pietre vive e costruiscono insieme, mediante la fede in Cristo e collaborando gli uni con gli altri, la dimora di Dio in mezzo agli uomini[6].
3. 3. Gesù unico Sacerdote, Re e Profeta
Gesù, nuovo Tempio, unifica nella sua persona ed esercita il ministero di Sacerdote, Re e Profeta, che nell’A.T. esercitavano persone distinte.
Gesù è “l’Unto” per eccellenza, cioè Colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito “Sacerdote, Re e Profeta”.
Ogni battezzato, consacrato per mezzo dell’unzione con il sacro crisma, è incorporato a Cristo e partecipa a queste tre funzioni.
Così dalla consacrazione battesimale, nasce il Popolo che si costruisce come Casa-Tempio di Dio: da coloro che un tempo erano non-popolo Dio ha acquistato un popolo: “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa” (1Pt 2, 9), che “è in Cristo come un sacramento e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). Nasce “il Popolo messianico”, che ha per Capo Gesù Cristo e in cui la medesima Unzione, cioè lo Spirito Santo, scorre dal Capo al Corpo, vivificando tutte le membra.
La consacrazione-missione del Popolo e dei Sacerdoti, Re e Profeti dell’A.T. raggiunge così la sua compiutezza e riceve un nuovo inizio in questa fondamentale e comune consacrazione-missione dei battezzati.
Per mezzo della consacrazione battesimale, infatti, i cristiani prolungano nella storia la consacrazione-missione di Gesù, unico Sacerdote, Re e Profeta e partecipano nella progressiva realizzazione del piano salvifico di Dio, assumendo le responsabilità di missione e di servizio che ne derivano: la consacrazione battesimale porta ogni cristiano a sedersi alla mensa del Padre, per partecipare dell’intimità della SS. Trinità, e a vivere in mezzo agli uomini, suoi fratelli, come operaio di questo Regno d’Amore.
In virtù della consacrazione battesimale, il fine della vita di ogni seguace di Gesù è il Regno di Dio, questo Regno d’Amore che, incominciato in terra dallo stesso Dio, deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando sarà tutto in tutti (cf 1Cor 15, 28).
Per tanto, nel contesto del N.T., la consacrazione-missione è la situazione normale di ogni cristiano, che è chiamato a viverla nella sequela di Gesù, nel senso che incentra la sua vita sulla persona del Signore Gesù, che diviene per lui il valore determinante delle sue opzioni e in Cristo vive come figlio del Padre e fratello di tutti.
3. 4. Gesù, novità assoluta e definitiva di Dio
L’aspetto di novità che contrassegna l’incontro con Dio nel Tempio, raggiunge il suo culmine in Gesù Tempio-Sacerdote-Re-Profeta.
Gesù stesso si presenta senza mezzi termini come il Maestro (Rabbì = mio Signore, mio Maestro): “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono” (Gv 13, 13); quando prende la parola, parla come uno che ha autorità (Mc 1, 22), come un profeta (Lc 7, 16; Mt 21, 46); anzi è più che un profeta (Lc 11, 32) e, per questo, la sua parola è più che la parola di un profeta: Egli è l’ultima parola di Dio, la sua rivelazione definitiva (Eb 1, 2), è la stessa parola di Dio fatta uomo (Gv 1, 1.14; 1Gv 1, 1-2; Ap 19, 13).
Per questo, Gesù-Parola è la porta, che introduce al Regno di Dio (Mt 7, 13), alla vita (Mc 10, 17-22), è l’infinita novità di Dio, che si comunica agli uomini, guidandoli come Buon Pastore, che è venuto perché le sue pecore abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10, 10); chi edifica la sua vita su Gesù-Parola, l’edifica sulla Roccia più solida e rimarrà per l’eternità (Mt 7, 24-27). Per questo:
“Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (cf Fil 3, 8-16).
4. La missione del cristiano alla luce della centralità di Gesù
Il fuoco della missione (cf Lc 12, 49) si accende quando, per l’ispirazione dello Spirito Santo, il cristiano dice “Gesù è il Signore” (1Cor 12, 3). La coscienza missionaria nasce e si forma nell’incontro con il Signore Gesù, perché in lui si manifestano l’amore e la misericordia come tratto essenziale del volto di Dio, vero e autentico Padre, di cui tutti gli uomini sono chiamati a riconoscersi figli.
Senza dubbio la vivacità missionaria delle prime comunità cristiane nasceva dall’esperienza di un personale incontro con Gesù missionario del Padre, che condivideva la sua missione con il gruppo dei Dodici, sua vera famiglia in funzione della missione.
L’urgenza della missione nasce dall’interno e la stessa convinzione che Gesù Cristo è atteso da ogni uomo, è colta a partire dalla propria esperienza di incontro con Lui.
È questa la risposta al “perché” della missione. Infatti più l’incontro con Cristo è profondo, chiaro irrinunciabile, più il cristiano sa vedere i segni della sua attesa nel mondo, le tracce della sua presenza e della sua azione, i punti dell’incontro.
Lo stare e l’essere inviati sono tra loro saldamente congiunti, in un rapporto che si potrebbe dire circolare. È stando con Gesù che si comprende l’urgenza e la natura dell’andare: perché andare, dove andare, per quale annuncio. Ma è anche andando che si sta veramente in compagnia di Gesù: egli, infatti, è sempre in movimento, itinerante, senza fissa dimora: “Il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20)[7].
Camminando con Gesù, ogni cristiano è portato ad aprire gli occhi sull’altro: sul viaggiatore ferito dai banditi e lasciato ai margini della strada, come su quelli che sono malati, nudi, carcerati, affamati con i quali Gesù identifica se stesso. Sui bambini che il Maestro vuole vicino a sé e sul cieco mentre le folle tentano di allontanarlo da lui; il pagano, la cui fede è inaspettatamente più grande di quella dei figli d’Israele, come su quella donna che viene ad attingere acqua e che ha dentro di sé una sete che nessuno riesce ad intuire.
Relazione a Cristo Gesù e ai fratelli, amati da Gesù, costituiscono i due aspetti inseparabili dell’esistenza cristiana. Avendo trovato il Signore Gesù, in lui il cristiano trova anche i fratelli. La vocazione cristiana, per tanto, non è un ruolo sociale che Dio assegna al cristiano, ma è grazia personale che gli dà una identità specifica in ogni momento della sua esistenza; è dono che riceve continuamente da Dio per essere dono agli altri. La vita del cristiano è, anzitutto, testimonianza della sua relazione con Cristo; diffusione dell’amore personale di Gesù che sperimenta come fondamento del proprio essere (cf Gal 2, 20; 2Cor 5,17).
5. Stili di vita, carismi, ministeri
Anche nel contesto della comune consacrazione-missione del Popolo della Nuova Alleanza, Corpo di Cristo, nascono consacrazioni-missioni particolari, accompagnati da differenti carismi, con lo scopo di sostenere la comune consacrazione-missione e rendere possibile la realizzazione delle differenti funzioni del corpo ecclesiale.
Lo stile di vita, che è anche un carisma, distinto dal ministeriale, è la determinazione dell’essere cristiano, l’incarnazione dell’essere cristiano in un modo concreto di vita e consiste in un’opzione per la quale ogni fedele ordina la sua vita secondo il modo al quale si sente chiamato dal Signore e che meglio si adegua alla sua personalità, aspirazioni, possibilità e carattere.
C’è uno stile di vita, lo stato di vita consacrata, che è chiamato così perché, nella varietà delle sue forme di realizzazione, si esprime mediante una consacrazione, privata o pubblica, che nasce dalla consacrazione battesimale e che nello stesso tempo si distingue specificamente da essa.
Di fatto, i Vangeli ci presentano due modi distinti di “seguire il Signore Gesù”: uno comune a tutti e un altro specificamente distinto e riservato ad “alcuni”.
Quello comune a tutti coloro che accettano il messaggio evangelico, consiste in una conversione, che porta il discepolo ad una trasformazione di tutto il suo essere, per cui comincia a vivere una vita evangelica; una vita, cioè, in cui pensieri, valutazioni, modi di agire, tutto va diventando progressivamente più conforme agli esempi e agli insegnamenti del Maestro Gesù, riassunti nelle Beatitudini.
Quello distinto e riservato ad alcuni si realizza nella vita consacrata e consiste in una “chiamata a seguire, nella ricerca della perfetta carità, Gesù vergine, povero e obbediente” (VC 12c). Tale sequela “si esprime nel radicalismo del dono di sé per amore del Signore Gesù e, in Lui, di ogni componente della famiglia umana” (VC 3b).
Questo modo di seguire Gesù è sottolineato nell’episodio del “giovane ricco” (Lc 18, 16-22).
Per vivere in questa sequela, il giovane deve accogliere l’invito di Gesù e condividere il tipo di vita che Egli ha scelto per sé, cioè la sua vita povera (2Cor 8, 9; Mt 8, 20): “vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri” (Mt 19, 21), la sua vita vergine, facendosi eunuco per il Regno dei Cieli (Mt 19, 12) e la sua vita obbediente (Gv 4, 34; Fil 2,8).
Per tanto, la vocazione del giovane resta paradigmatica per chiunque avverte in se stesso un’inquietudine che supera le esigenze di un comune impegno umano (chiamata alla vita) e cristiano (chiamata alla fede cristiana) e che, in forza del battesimo, si sente chiamato da Gesù a un modo specifico di vivere nella sua sequela. Tale modo consiste nella chiamata a stare con Lui, cioè a condividere la sua stessa vita ( = comunione di vita) e per essere mandato a predicare, cioè a condividere la sua missione ( = vocazione specifica). C’è una chiamata universale, e c’è un modo specifico di rispondere alla chiamata.
Ma la mancanza di libertà interiore perché “era ricco” (Mt 19, 22), impedisce al giovane di essere se stesso, di realizzarsi pienamente in conformità al piano di Dio, che lo invitava ad “aderire alla persona stessa di Cristo, condividere la sua vita e il suo destino, partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre” (VS 19).
Questo modo di seguire Gesù, specificamente diverso dal primo e riservato ad alcuni che Gesù stesso chiama, è inaugurato dai Dodici (Mc 3, 14; Gv 15, 4-11). Al contrario del giovane ricco, essi erano interiormente liberi e per questo sono stati capaci di rispondere all’invito di Gesù a “stare con lui” abbandonando tutto (Mt 19, 27).
I Dodici assumono i cinque imperativi, ‑Va’, vendi, dàllo, vieni, seguimi‑, non soltanto come criteri ultimi per portare a compimento la loro vita morale in quanto seguaci di Gesù, ma li incarnano in uno specifico stile di vita, che li distingue dal resto dei discepoli e li rende “segno” in mezzo a loro e davanti al mondo.
È facile constatare che i Vangeli, soprattutto i Sinottici, presentano la vita di Gesù con i Dodici o “la vita apostolica”, come una modalità particolare di seguire Gesù, da cui nascerà tra i cristiani lo stile di seguire Gesù alla maniera degli Apostoli.
In fatti, Gesù chiede ad alcuni dei suoi discepoli di seguirlo in una maniera differente, nella quale risalta ancora di più il valore dell’Assoluto della sua persona: li invita a vivere la sua stessa vita di Figlio, ‑vergine, povero e obbediente‑, e di Inviato del Padre e a condividere il suo destino, cioè, di partecipare nel mistero della sua morte.
Il significato di tutto ciò è che Gesù, circondandosi di Dodici compagni, non voleva soltanto reclutare ausiliari per se stesso, collaboratori per la sua azione immediata, ma proponeva coscientemente una parabola in atto, la più eloquente di tutte, la più rivelatrice dei suoi disegni: mentre istituiva una funzione nella Chiesa nello stesso tempo inaugurava un genere originale di esistenza, che rimarrebbe come norma, come forma di vita ispiratrice per tutti i discepoli di Gesù.
La Chiesa nascente, lungi dal dichiarare superata la “vita apostolica”, per conservare soltanto “il ministero apostolico”, non volle separare ciò che il Signore aveva unito. Considerò questo tipo di esistenza intrinsecamente appartenente al ministero; lo stimò irrinunciabile in quanto, essendo tornato Gesù al Padre, la predicazione della fede aveva grande necessità di essere confermata da questa forma eloquente di vivere, prova evidente che Gesù, crocifisso e morto sul Golgota, era ancora in vita (At 25, 19).
Ecco perché, raccogliendo nelle sue Scritture questa forma di vita apostolica prepasquale, la Chiesa ha voluto perpetuare la sua possibilità: quella di una “sequela di Gesù senza glossa”. Altrimenti i Vangeli non avrebbero parlato di questo argomento così diffusamente, data la selezione che c’era da fare (cf Gv 20, 30-31).[8]
Coloro che seguono Gesù alla maniera degli Apostoli, non sono necessariamente più santi degli altri suoi discepoli. Semplicemente la loro “conversione” si esprime in gesti di vita evangelica più evidenti, perché sorpassano i bordi della vita corrente e, per tanto, ha valore di segno per tutti gli altri. In effetti, ricorda a tutti le esigenze radicali della sequela di Gesù, rimanendo nella Chiesa come nostalgia di una vita cristiana più generosa, come una necessità della Chiesa di manifestare il suo anelito di fedeltà al Vangelo.
Facendo sua quest’ottica evangelica, il Concilio Vat. II, nel Capitolo V della LG, nº42, propone ad ogni cristiano la sequela di Gesù come punto essenziale e di continuo riferimento per la sua vita cristiana; quando, poi, si rivolge ai Religiosi (Cap. VI della LG e Decreto PC), ai Presbiteri (Decreto PO) ed ai Missionari (Decreto AG, 23‑24) li presenta tutti, anche se con tonalità distinte, come coloro che, per dono dello Spirito Santo, si propongono di seguire Gesù il più possibile da vicino non solo in forma affettiva, cioè ispirandosi ai suoi insegnamenti, ma anche effettivamente, come gli Apostoli.
«Per loro io consacro me stesso»
La grande preghiera di Gesù (Gv 17) dà la ragione profonda della sequela di Gesù alla maniera degli Apostoli.
È giunta per Gesù l’ora di compiere l’ultimo atto, che manifesta fin dove arriva la sua consacrazione, cioè, la sua unità con il Padre e il dono che egli fa di sé agli uomini per salvarli. Per questo le viene dato il titolo di “preghiera sacerdotale”. Ma essa è anche “preghiera missionaria”, poiché, nel momento in cui la vita di Gesù sembra fallimento e solitudine, Egli rimane incrollabile nel suo attaccamento al disegno di Dio, è l’Inviato che compie la missione affidatagli dal Padre e non pensa ad altro che a questa missione che i suoi devono portare avanti.
Questa preghiera si svolge su tre cerchi concentrici. Il primo è Gesù stesso che è il centro ed il mediatore; il secondo sono gli Apostoli, che lo circondano e dovranno estendere la sua mediazione; il terzo sono i credenti, cioè tutti quelli che lo scelgono come loro maestro. Perciò essa comincia da Gesù, va progressivamente dilatandosi in modo tale da raggiungere tutto il mondo e ricondurlo tramite Gesù stesso nella grande unità dell’Amore del Padre.
La preghiera di Gesù per gli Apostoli (vv. 6-19) è significativa per il suo contenuto, marcato dalla circolarità consacrazione-missione.
Gli Apostoli appartengono a Dio in modo particolare: “Tu me li hai dati dal mondo: erano tuoi e tu li hai donati a me” (v. 6).
La consacrazione dunque non dipende dal volere degli Apostoli, ma dal piano e dall’iniziativa divina.
Dio Padre li ha chiamati in modo speciale presso di sé e li ha consegnati al Figlio; a sua volta il Figlio ha dato loro le parole ricevute dal Padre; ed essi in fine le hanno osservate ed in Lui hanno dato il loro assenso all’iniziativa divina.
Con l’elezione, la chiamata e la rivelazione di Dio e con l’assenso dato all’iniziativa divina in Cristo Gesù, gli Apostoli sono divenuti speciale proprietà del Padre e, per suo volere, anche del Figlio.
Il nucleo della preghiera è costituito dalla consacrazione di Gesù per gli Apostoli:
“Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (vv. 17-19).
L’espressione “per loro” rievoca la morte di Gesù (Gv 10, 11): il pastore modello si consegna per le pecore (Gv 10, 15; 11, 50), dà la vita per gli amici (Gv 15, 13), dovendo morire un solo uomo per il popolo (Gv 11, 50ss)[9].
Gesù si consacra nella morte, perché in essa si presenta davanti al Padre per essere uno con lui, e davanti agli uomini per rivelare loro questa perfetta unità.
Gesù si consacra per “per loro”: nella sua morte Gesù e i Dodici sono una cosa sola; sono consacrati appunto perché già uniti a Gesù nella sua grande azione sacrificale con la quale consacra se stesso al Padre.
Questa consacrazione di Gesù non è soltanto la donazione che egli fa di sé sulla Croce, ma l’intera sua vita vissuta in sintonia completa con la volontà del Padre (Gv 4, 34; 5, 30; 6, 38; 8, 29). La consacrazione di Gesù è una separazione dal mondo che lo rende esclusiva proprietà del Padre. Questa disponibilità permanente, questa reciprocità senza limiti tra Gesù ed il Padre è ciò che costituisce lo stato di consacrazione di Gesù, che raggiunge il culmine sulla Croce, e del quale Gesù rende partecipi gli Apostoli.
Lo spazio della verità (“nella verità”) in cui gli Apostoli sono introdotti (“consacrati”) è lo spazio del dialogo trinitario. Infatti la comunione donata agli Apostoli e a tutti i credenti in Cristo è la medesima comunione che unisce il Padre e il Figlio: “Come Tu, Padre, sei in me e io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola... Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità. L’amore col quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (vv. 21.23.26).
La consacrazione di Gesù per gli Apostoli è l’origine del loro invio nel mondo: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (v 18).
Nell’esperienza di Gesù, l’essere consacrato e inviato sono realtà intrinsecamente congiunte. La sua appartenenza totale al Padre nello Spirito è la ragione del suo essere inviato nel mondo. La missione di Gesù è anzitutto rivelare questo mistero di unione perfetta nell’Amore.
Gesù comunica e condivide con i Dodici questa esperienza. La loro partecipazione nella consacrazione di Gesù li separa dalla schiera degli altri in una totale donazione a Dio e li invia nel mondo per testimoniare e proclamare l’amore del Padre esperimentato nella comunione personale con Gesù, sotto l’azione dello Spirito Santo.
Ma il mondo in cui i suoi sono inviati è un mondo ostile e perciò Gesù chiede per loro l’aiuto speciale di Dio (vv 9-15).
Tuttavia, quando chiede la protezione dal male per i suoi, il riparo dal mondo non è inteso come un allontanamento fisico dal mondo, ma come un vivere ed un agire in esso e su di esso, in conformità alla missione ricevuta.
Per tanto, la consacrazione di Gesù partecipata ai Dodici, in quanto esprime la mutua immanenza tra il Padre e il Figlio, è origine, misura, modello e oggetto della consacrazione e della missione degli Apostoli.
La consacrazione è quindi intrinsecamente missionaria. Chi la riceve, è in debito verso gli altri, ai quali deve trasmettere e comunicare quello che in essa riceve e vive.
La consacrazione-missione di Gesù è il modello della consacrazione-missione degli Apostoli. L’Apostolo deve operare seguendo le orme di Gesù.
Il risultato della missione sarà l’immolazione dello stesso inviato. Reciprocamente, l’immolazione sarà il più alto e perfetto adempimento della missione.
In realtà, Gesù educò i Dodici a entrare in questo dinamismo di consacrazione per la missione (cf Mt 20, 20-28) e per mezzo di essi arriva a tutti coloro che sono chiamati a vivere la loro esistenza cristiana alla maniera degli Apostoli.
La vita consacrata del vergine
La sequela di Gesù alla maniera degli Apostoli è messa a fuoco nella 1ª Lettera di S. Paolo ai Corinti (7, 25-34), dove Paolo affronta un problema particolarmente discusso nella comunità di Corinto: l’opzione per lo stato di verginità.
Paolo presenta la verginità come un carisma, cioè, un dono proveniente dalla bontà benevola di Dio e afferma esplicitamente che pone in una condizione di consacrazione: “La vergine si preoccupa di essere santa nel corpo e nello spirito” (7, 34). “Santa” e “senza distrazioni” (7, 35), cioè consacrata, appartenente completamente al Signore con un amore che vuole avere un solo cuore: quello di Cristo.
La santità nel corpo e nello spirito è la meta di ogni cristiano, ma Paolo, nel caso della vergine, aggiunge una differenza, che consiste nel vivere l’appartenenza totale del cristiano a Gesù attraverso il carisma della verginità. La ragione o motivazione ultima della verginità è il Signore Gesù, nella sua persona e nei suoi interessi; da qui nasce il particolare stile di vita cristiana nella verginità, che ha come meta partecipare in pienezza, “senza distrazioni”, nella vita e nella missione del Signore Gesù; di annunciare la profondità dell’amore verginale
I cristiani tipo
Secondo il P. Ugo Vanni sj[10], il senso della vita consacrata in genere e della vita consacrata vissuta nel carisma della Vita Religiosa si trova approfondito e applicato alla vita in un testo dell’Apocalisse, che costituisce la sua base teologico-biblica più solida, più matura ed esplicita.
Si tratta della visione dell’accompagnamento dell’Agnello: Ap 14, 1-5.
Il gruppo dei 144 mila “segnati con il sigillo”, che è capace di imparare e cantare il “cantico nuovo”, è costituito da quei cristiani che hanno una sensibilità speciale, una particolare affinità con Gesù Cristo e con Dio, che permette loro di comprendere adeguatamente il gioioso messaggio di Gesù e li rende capaci di insegnarlo agli altri; è un gruppo “consacrato” irreversibilmente a Gesù e a Dio in funzione di tutto il popolo ed è formato: da vergini (= non si sono contaminati con donne), da apostoli (= seguono l’Agnello dovunque va), dai santi (= sono senza macchia).
Queste tre categorie di cristiani costituiscono un gruppo di persone che ha la funzione di concentrare alcuni elementi caratteristici della salvezza, dell’appartenenza al Signore Gesù, per poterli irradiare sugli altri e che anticipa in qualche modo la fase escatologica dell’appartenenza a Gesù Cristo quando saranno “sigillati”.
Tutto ciò è espresso per mezzo d’un quadro simbolico, che si svolge per tappe o momenti successivi:
1. |
Comincia sulla terra, sul “monte Sion”: |
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* L’Agnello è Gesù Cristo, annunciato e preparato dall’A.T., morto e risorto, con tutta la pienezza della sua efficienza messianica, con la pienezza dello Spirito, che vuole effondere sugli uomini. È il Signore Gesù, con il quale entriamo in contatto nell’assemblea liturgica. |
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* Assieme all’Agnello stanno 144 mila persone. Il numero rappresenta una parte del Popolo di Dio, contrapposta alla “moltitudine immensa, che nessuno può contare” (7, 9), e soprattutto ha un valore qualitativo: |
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* I 144 mila costituiscono un gruppo di persone unite a Gesù-Agnello, che, a somiglianza del “resto d’Israele” dell’A.T., incarnano e condensano nelle loro vite valori religiosi, che devono comunicare alla gran massa del popolo. |
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*La condensazione dei valori è ulteriormente sottolineata per mezzo del nome dell’Agnello e di suo Padre, che i 144 mila portano scritto “sulla fronte”: appartengono totalmente ed in modo irreversibile al Signore Gesù ed al Padre, anticipando così nel tempo quell’appartenenza totale che, in fase escatologica di salvezza compiuta, sarà una caratteristica di tutto il Popolo di Dio (cf 22, 4). |
2. |
Il quadro simbolico si trasferisce dal “monte Sion” al Cielo, cioè, a livello del Mistero di Dio, della sua trascendenza divina. |
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* Nel Cielo, Dio proclama un messaggio, che rivela qualcosa del suo Mistero e che provoca un salto di giubilo e si trasforma in canto e musica “come di suonatori di arpa che si accompagnavano nel canto con le loro arpe”. |
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I suonatori di arpa cantano un cantico nuovo, cioè, la novità di Dio che si realizza nella storia (cf Sl 33, 3; 40, 4; 96, 1; 98, 1; 144, 9; 149, 1) e che nell’Apocalisse è strettamente unita a Gesù Cristo. Il “cantico nuovo” esprime tutta la vitalità, la novità di Gesù-Agnello che, nella sua funzione messianica, porta in avanti la storia della salvezza. |
3. |
Il quadro simbolico ritorna sulla terra e si conclude. |
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* Il “cantico nuovo” possono impararlo solo i 144 mila, i quali, anche se si trovano ancora sulla terra, tuttavia sono in qualche modo separati e divisi da essa, “redenti” da essa, costituendo precisamente un gruppo a parte. Possiedono un udito particolarmente intonato, una sensibilità, una sintonia con Gesù e con Dio, che permette loro di comprendere adeguatamente il gioioso messaggio di Dio che presenta Gesù agli uomini. Una volta che hanno imparato il cantico nuovo, saranno capaci di insegnarlo agli altri. |
4. |
Applicazione del quadro simbolico alla vita A questo punto, l’autore dell’Apocalisse passa dal simbolismo alla vita reale della comunità ecclesiale e segnala tre categorie di persone, nelle quali s’incarnano e si concretizzano i valori o caratteristiche attribuite ai 144 mila: |
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Prima categoria: i vergini Una prima categoria che incarna i 144 mila è costituita dai quei cristiani che hanno ricevuto il carisma della verginità. Nell’A.T. l’esercizio sessuale in se stesso, come atto, senza metterlo in rapporto con l’aspetto morale, era considerato una “macchia” per certe attività liturgiche, che durava per un determinato periodo di tempo ed era necessario purificarsene. Al contrario, i “vergini” si trovano in uno stato di sacralità permanente, nel senso che sono sintonizzati con Dio e con Gesù a tal punto che hanno la capacità di comprendere in tutta la sua pienezza e novità i valori di Gesù Cristo espressi nel cantico nuovo. |
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Seconda categoria: gli Apostoli La seconda categoria è costituita da quelli che, nella vita attuale della Chiesa, seguono Gesù come Agnello, cioè, morto e risuscitato, presente attivamente nella storia della salvezza, per portarla a compimento. Si tratta di una sequela “apostolica”, vissuta a tempo pieno e con una disponibilità senza limiti. I cristiani che si trovano di fatto in questa categoria, avranno una sensibilità, una prontezza particolare per comprendere la novità di Gesù e offrirla a tutti. |
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Terza categoria: i santi o testimoni esistenziali La terza categoria è costituita da cristiani, che vivono il massimo del radicalismo evangelico, mettendo in pratica la verità di Gesù nella vita quotidiana. Si tratta di persone separate e distinte dalla massa degli altri e che rappresentano, precisamente riguardo agli altri, la primizia di un raccolto, che li includerà tutti. La vita di Gesù nella sua totalità, con la sua parola e con i suoi esempi, costituisce la sostanza che caratterizza questi suoi seguaci, che “sono senza macchia”, cioè, nella cui vita non c’è traccia di falsità e di menzogna davanti alla verità di Gesù. Questa categoria non si nota dall’esterno, ma si basa totalmente nell’interiorità delle persone che la compongono. Queste sono persone che sanno ascoltare Gesù, che riescono a imparare il cantico nuovo a partire dalla loro interiorità. |
Alla luce dell’analisi e della lettura fatte, per quanto riguarda il tema della consacrazione-missione nel N.T., si può concludere che i vergini, assieme agli apostoli e ai santi, costituiscono i cristiani tipo e più qualificati rappresentanti del Popolo di Dio. È a queste categorie di cristiani che forse Paolo allude quando parla di “quanti dunque siamo perfetti” (Fil 3, 15).
È importante rendersi conto che le tre categorie sono presentate come distinte: ognuna possiede una capacità particolare per imparare il cantico nuovo e realizza a suo modo l’appartenenza irreversibile a Gesù e al Padre. Tuttavia, valide separatamente, le tre classi si possono raggruppare tra esse: soprattutto la terza non può essere immaginata separata dalle altre due. Sommando le caratteristiche delle tre categorie, si somma e si moltiplica anche la capacità di imparare il cantico nuovo.
In questo testo, considerato nel suo insieme, dentro l’orizzonte della Storia della Salvezza, è facile scoprire e riconoscere come “resto d’Israele” molte situazioni e stili di vita della Chiesa attuale: tutte le forme di vita consacrata, la vita sacerdotale, e tutti coloro che si dedicano ad una attività apostolica a tempo pieno. È un testo, che costituisce il punto di arrivo del cammino di consacrazione-missione, di reciprocità tra Dio e il suo Popolo, tra Dio e alcune persone o gruppi di persone dentro del cammino del suo Popolo, che ha avuto inizio nell’A.T. e si concluderà nella Gerusalemme celeste (Ap 21).
Per tanto, il testo dell’Apocalisse (14, 1-5) proclama l’identità specifica della Vita Consacrata nella Chiesa: i consacrati sono una realtà creata dallo Spirito di Dio e sono chiamati a anticipare, per mezzo del loro stile di vita, l’appartenenza escatologica a Gesù e al Padre, per poter imparare il “cantico nuovo”, che esprime la novità inesauribile della persona del Signore Gesù, mentre tende a realizzarsi nelle loro vite, e che devono insegnare agli altri.
Nelle tre categorie di cristiani è possibile vedere riflesso lo specifico della vita consacrata nelle sue multiformi realizzazioni, sebbene senza prendere in considerazione gli aspetti o forme giuridiche. C’è qui l’identikit della Vita Consacrata, chiamata a imparare e ad esprimere, senza limiti e senza stonature, il “cantico nuovo”, che canta oggi e domani la novità del Cristo di sempre.
In verità non c’è convergenza tra gli esegeti sull’interpretazione di questo testo. Comunque, è possibile scoprire una consonanza tra il suo contenuto e il tema della consacrazione-missione nell’A. e nel N.T. e, soprattutto, è possibile essere d’accordo sul fatto che “il testo costituisce un’eminente testimonianza della stima che la Chiesa delle origini aveva della verginità” (L. Orsy), visto che per designare i cristiani perfetti non è stato trovato un termine più appropriato che quello di “verginità”.
p. Carmelo Casile
[1] Cf Arnaldo Pigna, La vita consacrata, Ed. OCD 2002, pp. 244-245
[2] EE 6: Elementi Essenziali dell’Insegnamento della Chiesa sulla Vita Religiosa. SCRIS, 1983
[3] Bruno Maggioni, Il fondamento biblico della Vita Consacrata, in AA.VV., Vita Consacrata, Ed. ELLE DI CI, 1993, pp. 95-96.
[4] AA.VV., Una comunità legge il Vangelo di Marco, Vol. 1º, EDB 1978, pp. 31-33.
AA.VV. , Una comunità legge il vangelo di Luca, Vol. 1º, EDB 1986, pp. 106-107.
S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Matteo, Vol. 1º, EDB 1998, pp. 45-46.
[5] Da: Sulle orme di Gesù-1, Ed. Audiovisivi, Paoline, p. 16.
[6] S. Zedda, L’Amore di Cristo nel Nuovo Testamento, Ed. Apostolato della Preghiera, 1981 pp. 150-151.
[7] Consiglio Episcopale permanente, L’amore di Cristo ci sospinge, Roma 1999, 1-2
[8] Cf Andrè Manaranche, Come gli Apostoli, Queriniana, pp. 86s; 120s.
[9] Mateos-Barreto, El evagelio de Juan, Ed. Cristiandad, p. 722.
[10] U. Vanni, I fondamenti biblici della consacrazione religiosa, in “La Consacrazione religiosa”, Roma 1985, pp. 23-37.