In prossimità della festa di San Daniele Comboni presentiamo questa riflessione sulla sua vita e la sua opera. «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
La mensa della Parola e dell’Eucaristia nella vita e nell’opera di san Daniele Comboni
Nella dinamica della Celebrazione dell’Eucaristia, tra la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica c’è una relazione d’analogia profonda, che viene espressa con l’espressione: il Mistero delle due mense (cf DV 21). C’è una vera affinità tra il pane della Parola e il Pane eucaristico. Il cristiano vive del Verbo fatto pane, della Parola fatta cibo. Questa Parola proclamata e fatta cibo con l’accoglienza cordiale e obbediente, che riassume e condensa tutte le parole della Scrittura, si fa presente nel pane eucaristico e ci comunica la sua vita in forma di alimento.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani ci rivela quest’unità: «Gesù si mise a istruirli a lungo... mangiarono tutti e furono sazi» (Mc 6, 34ss).
Nella celebrazione del Mistero delle due mense, partecipare all’Eucaristia é entrare in comunione con la vita di Cristo Salvatore nel gesto estremo del suo amore per i suoi, che prolunga e sorpassa l’annientamento della sua Incarnazione-Passione-Morte e nello stesso tempo dà accesso alla potenza trasformante della sua Resurrezione.
Il Gesù che ascoltiamo nel Vangelo, che ci chiama a seguirlo fino a essere l’unico Signore della nostra vita, questo Gesù lo troviamo vivo e vero nell’Eucaristia. I misteri della vita di Gesù, il suo insegnamento, si trovano, si unificano ed echeggiano potentemente nel Cristo Eucaristico e diventano cibo e bevanda, che trasforma e fortifica la nostra esistenza.
Per tanto, l’Eucaristia celebrata, mangiata e bevuta, contemplata e adorata ci unisce nel modo più profondo a tutta la ricchezza del mistero del Cuore di Gesù proclamato nel Vangelo. Il Vangelo e l’Eucaristia formano un’unità, che ci introduce nell’intimità del Cuore di Gesù, che ci ama e ci fa persone rigenerate e libere e ci unisce alla sua missione salvifica.
La partecipazione al banchetto dell’Eucaristia, illuminata dal Vangelo, ci consente di contemplare nel Mistero del Cuore di Cristo, nella loro espressione più piena, gli atteggiamenti interiori di Cristo e di assumerli: la sua donazione incondizionata al Padre, l’universalità del suo amore per il mondo e il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà degli uomini (cfr. RV 3.2); possiamo così uscire dal banchetto eucaristico facendo nostre le parole del prologo della prima Lettera di Giovanni:
«La Vita si è fatta visibile,
noi l’abbiamo vista e ne siamo testimoni e vi annunciamo la Vita eterna.
Era presso il Padre e si è resa visibile a noi.
Quello che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi
perché anche voi siate in comunione con noi,
col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.
E vi annunciamo queste cose perché siate nella gioia perfetta
e la nostra propria gioia sia perfetta» (Gv 1, 1-4).
Rileggendo la vita di san Daniele Comboni non è difficile coglierla modellata sul Mistero delle due mense, cioè, della Parola di Dio e del Corpo di Cristo, e quindi tessuta di annuncio del Vangelo, di sacrificio (dono di sé) e di comunione.
Vista in questa prospettiva, la vita e l'opera di san Daniele Comboni si possono riassumere intorno allo schema della celebrazione eucaristica, che è: 1. annuncio della Parola di Dio, 2. sacrificio redentore per il mondo, 3. comunione con Cristo e con la Chiesa.
Radice della missione della Chiesa è il mandato ricevuto da Gesù: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
Cristo Gesù ha messo al centro della missione degli Apostoli la missione universale di annuncio del Vangelo, cioè della sua stessa persona e della sua parola.
La Chiesa perciò si riconosce missionaria per sua natura. Essa sa che «vive nel tempo, per sua natura è missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la sua origine» (AG 2a). Perciò, «obbediente all’origine del suo fondatore, si sforza di annunciare il vangelo a tutti gli uomini» (A G 1a).
Il Comboni, consapevole di questo mandato, mette come scopo del suo Istituto “l’adempimento dell’ingiunzione fatta da Cristo ai suoi discepoli di predicare il Vangelo a tutte le genti”, che “è la continuazione del Ministero Apostolico, per cui tutto il mondo ha partecipato ai benefici ineffabili del Cristianesimo” (cf Regole 1871, Cap. I).
A partire dall’azione salvifica della Trinità che si «incarna» nel mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, la missione nella sua essenza si presenta come annuncio del Vangelo dell’amore trinitario che scaturisce dal Cuore della Trinità e raggiunge tutti gli uomini in Cristo, per ricondurli allo stesso amore fontale come destino beatifico ultimo. L’annuncio della salvezza è l’amore della Trinità donato, accolto, testimoniato con la vita e la parola.
Comboni ha vissuto intensamente il dinamismo Trinitario della Missione. In lui la Trinità è realtà di fede vissuta: è relazione amorosa con le Tre Persone Divine, che si concretizza in un audace impegno a essere servo dei popoli dell’Africa, per introdurli in questo Regno di Amore.
Nella vita di Comboni questo costante scambio di relazione con ciascuna delle Tre Persone, raggiunge la massima intensità nell’evento carismatico del 15 settembre del 1864 nel contesto di una peculiare esperienza di preghiera sulla tomba di S. Pietro. Il contenuto di quest’illuminazione lo formulò nell’introduzione alla I edizione del Piano (Torino, dicembre 1864, p. 3-4):
“Il cattolico, avvezzo a giudicare le cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comune Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana.
Allora trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato di un Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli” (S 2742-2743; 2799).
In questo testo Comboni svela nella Trinità le misteriose Sorgenti, che danno origine e sostengono il suo amore “così tenace e resistente” per l’Africa fino al sacrificio della propria vita. Il profondo “senso di Dio”, vissuto abitualmente da Comboni, per la prima e unica volta diviene comunicazione di vita sul Mistero Trinitario in intima connessione con la sua passione missionaria.
Comboni, infatti, assorto in preghiera, prende coscienza di trovarsi coinvolto nel dinamismo storico-salvifico del Mistero Trinitario, che lo trascende e insieme lo abilita a un preciso compito apostolico. Questa azione trinitaria ha come punto di partenza l’iniziativa del Padre che vuole abbracciare nel suo amore anche i neri dell’Africa centrale, si manifesta in pienezza nel Cuore Trafitto del Crocifisso e ritorna verso il “comun Padre su in cielo… seduto nella sua eternità” (S 2742 e 2754), cioè verso l’Amore “fontale” e finale di ogni vita umana.
Questo circuito dell’azione salvifica della Trinità in cui Comboni si sente coinvolto, è originato dall’azione dello Spirito Santo che, uscito dal Cuore del Trafitto sul Golgota, punto culminante della storia dell’Amore trinitario, fluisce vitalmente nella sua attività quotidiana, facendolo una cosa sola con l’amore di Gesù per gli Africani, così che lavora unicamente per riportare la Nigrizia alla comunione con il “comun Padre su in cielo”, lavora “per l’eternità” (cf Regole 1871, Cap. X).
Il Comboni, profondamente coinvolto in questo circuito di Amore trinitario, ha fatto della sua vita un annuncio di questa Buona Novella alla Chiesa stessa perché prendesse più coscienza della sua missionarietà, e agli africani perché accogliessero l'annuncio salvifico e liberatore di Cristo.
1. 1. Alla Chiesa: RV 6; 8; 9
Dai segni dei tempi Comboni aveva percepito che era “suonata l'ora della redenzione della Nigrizia”.
«È spuntato il tempo di grazia, che la Provvidenza ha determinato per raccogliere tutti questi popoli (dell'Africa) ... alle ombre pacifiche dell'ovile di Cristo» (S 1403).
Ai Vescovi del Concilio Vaticano I dirà: «Se voi non deciderete con grande benevolenza qualche rimedio, se questo momento passerà portando con sé un'occasione così propizia (al solo pensarci mi sento opprimere dal dolore), quanti secoli passeranno forse prima che cessi la rovina degli Africani... Si deve dunque fare ogni sforzo perché la Nigrizia si unisca alla Chiesa Cattolica... Questo lo richiede pure l'ufficio del ministero affidato a voi che lo Spirito Santo ha posto come Vescovi per reggere la Chiesa di Dio (Atti, 20)» (Postulato, S 2304; 2308).
Per merito del Comboni l'Africa entra nel Concilio Vaticano I; e va notata la sua sottolineatura della responsabilità collegiale dei Vescovi per la vita e missione della Chiesa.
E sentendosi “povero e inutile, ma fedele usque ad mortem servo della Chiesa” (S 2639) vide tutta la sua opera come servizio della Chiesa e visse in profonda dipendenza stimolante dalle direttive di Propaganda Fide.
E voleva che gli Istituti interessati all’Africa si unissero in modo da creare un'azione missionaria unitaria e concordata, in dipendenza da un consiglio centrale in cui facessero parte anche laici, previsto come emanazione di Propaganda Fide.
Infine cercò di sensibilizzare tutti i cristiani al problema missionario in Africa: è questo il senso dei suoi viaggi in tutta l'Europa, degli incontri con le maggiori personalità del tempo, delle sue numerosissime lettere.
Nella sua voce, nei suoi scritti echeggia la voce di tutta l'Africa... E come risposta a questa voce sorsero due Istituti, altri vi s’ispirarono, si formarono associazioni per l'Africa e arrivarono aiuti e persone.
1. 2. Agli Africani: RV 5; 6; 7
II Comboni fu tra i primi missionari a portare Cristo nel centro dell'Africa; per primo vi portò le suore, convinto dell'estrema importanza della loro presenza e del loro apostolato: testimoniare la parola incarnata di Cristo.
Si chinò su quel mondo lacerato dalla piaga della schiavitù e vi portò la parola di Cristo, che è parola di amore, di fraternità. E mentre c'era chi dubitava della natura umana degli africani, egli a essi portava la speranza di Cristo, la sua fiducia nell'uomo rinnovato dal suo sacrificio e agli africani prospettava sotto la luce di Cristo una società e una Chiesa retta, guidata da Africani. Sapeva che Cristo non fa distinzione di bianchi e neri e tutti aveva chiamato al suo banchetto e tutti voleva elevare alla dignità di figli di Dio (S 3350).
La vita del Comboni fu annuncio della Parola di Dio ricordando ai cristiani la loro responsabilità missionaria e annunciando agli africani che Cristo era morto anche per loro, per renderli figli di Dio, fratelli di tutti.
Oggi abbiamo davanti a noi una Chiesa africana con i suoi vescovi e presbiteri, religiosi e laici, piena di vitalità, che sta celebrando il suo secondo Sinodo, consapevole della sua responsabilità missionaria di annunciare il Vangelo agli africani e al mondo intero e di impegnarsi più intensamente nel progetto divino di ricreare la terra e costruire un continente africano riconciliato, giusto e pacifico.
Daniele Comboni, coinvolto nell’annuncio del Vangelo dell’amore trinitario, nella Mensa del Pane eucaristico impara il gesto esistenziale di offrire se stesso a Dio, di fare della sua vita un sacrificio, un dono totale di sé, di vivere come ostia immolata sull'altare per la redenzione dell'Africa. Con l’offerta di se steso a Dio per gli africani, Comboni imprime il senso alla vita quotidiana nelle sue molteplici relazioni.
In tale prospettiva la celebrazione eucaristica non è per Comboni un’esperienza di pura “ricezione” del sacrificio di Gesù e di rendimento di grazie, ma è “composta” anche dal suo dono personale, dall’offerta del suo “corpo” (cf Rom 12,1), cioè dall’offerta di tutto il suo essere, facendosi coinvolgere nella Carità del Cuore di Gesù: “Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per voi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5, 2).
Così Comboni, mosso dalla carità con la quale è amato da Gesù e celebrata nell’Eucaristia, completa con il dono di se stesso, tutti i giorni, la grande offerta di Gesù; partecipando e vivendo l’Eucaristia, diviene frumento di Dio macinato nel mulino della vita quotidiana per essere pane di Cristo per la vita degli Africani e del mondo intero attraverso l’esercizio della carità, che in lui è divenuto autentico martirio.
A questa donazione totale alla causa missionaria dell’Africa Comboni è giunto attraverso un generoso cammino di maturazione nella fede inculcatagli nella sua comunità parrocchiale di Limone, nella povertà e nella sofferenza di una famiglia che vide in breve tempo morire tutti i figli (6 o 7) eccetto Daniele.
Ebbe la sua prima manifestazione nel collegio di don Mazza a Verona dove si viveva con apertura missionaria.
Raggiunse la sua certezza a tre anni dalla sua ordinazione sacerdotale nel 1857, attraverso una profonda sofferenza per il distacco dai suoi genitori. Scriveva al suo parroco: «S'io abbandono l'idea di consacrarmi alle Missioni straniere, sono martire per tutta la vita di un desiderio che cominciò nel mio spirito da ben 14 anni, e sempre crebbe, a misura che conobbi l'apostolato. S'io abbraccio l'idea delle Missioni fo martiri due poveri genitori.... Se consulto chi sempre diresse la mia coscienza son spronato a decidermi alla partenza; se guardo alla famiglia rimango atterrito; se penso al mondo, risolvendomi all'impresa, debbo aspettarmi la maledizione di chi sa le mie circostanze di famiglia, e la pensa col mondo; se penso al mio cuore, esso mi suggerisce di sacrificare ogni cosa, e volare alle Missioni, e disprezzare ogni diceria» (S 7).
Attraverso la preghiera e il consiglio, raggiunse la certezza e fece la sua offerta irrevocabile: apostolo dell'Africa per sempre (cf RV 2). Da allora tutti i suoi pensieri furono per gli africani: non ci fu posto per altre preoccupazioni, per altri interessi. E si firmava “servus Afrorum = servo dell'Africa” (S 6809).
E di fronte a enormi difficoltà che incontrò per l'attuazione della sua vocazione, mai indietreggiò: “Se il Papa, la Propaganda e tutti i vescovi del mondo fossero contrari, abbasserei la testa per un anno, e poi presenterei un nuovo piano. Ma desistere dal pensare all'Africa, mai, mai» (S 1071). «Non allignò mai nel mio cuore nessuna passione fuorché quella dell'Africa» (S 6983).
3. L'immolazione: RV 3-4
L'offerta irrevocabile fu accettata da Cristo.
E la vita del Comboni fu una continua immolazione per l'Africa, fino al sacrificio supremo.
Egli stesso dirà: «La via che Dio mi ha tracciato è la croce» (S 6519), eco delle parole di san Paolo: «sono stato crocifisso con Cristo, vivo, ma non io, vive invece in me Cristo (Gal 2, 19-20). Ma il Comboni sapeva che «è appiè del Calvario ove sta tutta la forza della Chiesa e delle Opere di Dio; dall'alto della croce di Gesù Cristo esce quella forza prodigiosa e quella virtù divina, che deve schiantare nella Nigrizia il regno di Satanasso, per sostituirvi l'impero della verità e della legge di amore, che alla Chiesa conquisteranno le stremate genti dell'Africa Centrale (S 4291).
La croce, le contraddizioni, gli ostacoli, il sacrificio sono il contrassegno ordinario della santità di un'Opera; ed è per questa via seminata di triboli e spine, che le Opere di Dio si sviluppano, prosperano e raggiungono la loro perfezione e trionfo» (S 6337).
Con questa convinzione il Comboni affrontò una vita irta di difficoltà, una vita veramente segnata dalla croce.
Cinquant'anni, innumerevoli viaggi in Europa, sei spedizioni in Africa; disagi del clima africano, le malattie; la fame, le malattie, le morti dei suoi compagni e collaboratori, l'incomprensione, l'abbandono di molti, le persecuzioni, le calunnie, la solitudine fisica e l’isolamento morale: tutto questo attraversò continuamente la vita del Comboni.
E la morte rispecchiò la tragedia del Calvario, il «Fate questo in memoria di me».
Moriva a Khartoum, circondato da pochi fedeli missionari, mentre sul Sudan già incombeva la minaccia della rivoluzione mahdista, mentre molti suoi collaboratori morivano colpiti da malattie, mentre in Italia coloro che gli erano sempre stati più vicini sembravano ormai diffidenti di lui.
Come Cristo sulla croce, circondato da pochissimi fedeli, abbandonato da tutti: due morti che proclamavano un fallimento. Ma non fu così!
Per Cristo fu quello l'atto che redense l'umanità. Per il Comboni quella morte segnò l'avvio della Chiesa africana. Molto tempo prima aveva detto quasi profeticamente: «II grano di senapa è gettato: è d'uopo che spunti fra i triboli e le spine. Esso crescerà tra gli urti ed i venti delle persecuzioni, ma sempre produrrà nel campo della Chiesa frutti copiosi, perché il divin Cultore lo difenderà e coprirà con lo scudo della sua protezione. Io confido in Gesù» (S 1453).
«Io confido in Gesù»: questa la forza del Comboni. Comboni veramente credeva in Cristo, credeva nel suo messaggio di bontà, di pace, di salvezza universale, credeva nella vocazione di ogni apostolo, di ogni cristiano chiamato a completare nella propria carne «ciò che manca alla sofferenza di Cristo, a beneficio del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).
E allora poteva affermare con sicurezza e serenità: «Io adoro l'amorosa bontà di Dio che si degna di accordarmi il beneficio di tante croci, e ci guida per le scabrose vie del Calvario, ai cui piedi nacque la nostra ardita e santa impresa, e là appunto sul suo Calvario Dio svilupperà e farà giganteggiare quest'Opera sì apostolica» (S 2613).
E poteva terminare così la sua ultima lettera, scritta sei giorni prima della morte (4/10/81) al Sembiante: «Che avvenga pure tutto quello che Dio vorrà, Dio non abbandona mai chi in lui confida. Egli è il Protettore dell'innocenza e il vindice della giustizia. Io sono felice nella croce, che portata volentieri per amore di Dio genera il trionfo e la vita eterna» (S 2746).
Comboni fu grande per l’offerta di sé che mai ritirò, e per il suo sacrificio che lo assimilò a Cristo che sulla croce salvò 1'umanità. Nelle sorgenti di questa sua energia c’era il suo vivo coinvolgimento nel Mistero dell’Eucaristia. In essa infatti riviveva il dinamismo Trinitario dell’amore-dono: come essa è frutto dell’inesauribile carità divina, così è fonte inesauribile di amore nel cuore del credente, a beneficio dell’umanità intera.
Comboni esprime senza mezzi termini la centralità dell’Eucaristia nella sua vita:
- Non Le dirò nulla, o Eminenza Reverendissima, della pena dai missionari sofferta per non aver potuto aver vino, per celebrare ogni giorno la Santa Messa, ineffabile conforto delle anime tribolate (S 6355).
- Il Cuore di Gesù vive tutt’oggi sui nostri altari prigioniero d’amore e vittima di propiziazione di tutto il mondo (S 3324).
- Fra le rapide del passo presso il monte Abu-Fera “un veementissimo vento squarcia la vela maggiore e rompe in molti pezzi le sponde della barca…. Il vento ci gettò in un banco di sabbia e fummo salvi. Uscimmo a terra e cantammo due allegre canzoni sacre ed ora ci troviamo lieti a Syut, ove domattina contiamo di celebrar messa…” (S 159).
- “ Dopo felicissima navigazione giungemmo in Korosko. Gettate le nostre tende, nostro primo pensiero fu di celebrarvi la Messa. Non posso a parole esprimere la consolazione che provammo ad offrire l’augusto sacrificio in questa terra, ove, forse, a quanto fummo assicurati non fu mai immolata l’Ostia pacifica della nostra Redenzione. Erano circa tre settimane che non celebravamo. Prima di partire contiamo di fare un’iscrizione con sopra dipinto un calice che ricordi ai posteri la fausta circostanza…” (S 167).
- Allorché la Stella Mattutina si trovò incagliata per quaranta due ore in un banco di fango, fra le sponde di due bellicosissime tribù, “ noi non ci potevamo muovere. Se quegli uomini avessero voluto, avrebbero potuto annientarci in meno di dieci minuti… Nella Stella Mattutina v’è una bellissima cappella, che è fregiata da una bellissima immagine di Maria…. La Vergine Maria, il prezioso conforto dei Missionari…, non poteva lasciare in abbandono quei quattro poveri suoi servi… Alla mattina si celebrò la Messa.
Oh, come fu dolce in quella difficile circostanza stringere fra le mani il Padrone dei fiumi ed il Signore di tutte le tribù della terra, e pregarlo per noi, per i nostri bisogni, per quelli che sono in pericolo con noi, per voi, per quelli che non lo conoscono, per tutto il mondo! Sì, miei carissimi genitori, la più consolante preghiera in quel frangente fu fatta a pró degli Scilluk, dei Denka nelle cui terre mai brillò una scintilla dell’evangelica luce…” (S 256s).
- Miei figli, io commetto tutti in questo giorno solenne alla pietà del Cuor di Gesù e di Maria, e nell'atto di offrire per voi il più accettevole dei sacrifici all'Altissimo Iddio lo prego umilmente di versare sulle anime vostre il sangue della redenzione, per rigenerarle, per risanarle, per abbellirle a seconda dei vostri bisogni, affinché questa santa Missione sia feconda di salute a voi, e di gloria a Dio. E così sia (S 3162-3164).
- Carissimo Padre, stanotte alle 3 ho celebrato Messa nel mio salone (non dormendo quasi nulla, alla mattina non ho fiato né di dir Messa, né di ascoltarla, perciò la dico dopo mezzanotte in cui ho fiato, nelle mie stanze), e la ho celebrata per voi, per celebrare il 78° anno dacché siete venuto al mondo... (S 7034).
- Quando nel Sacrificio dell'altare ogni mattina m'è dato di effondere una preghiera per voi, oh! allora io provo una gioia ineffabile, perché vedo in Dio il centro di comunicazione tra me e voi (S 667).
- Nella nostra di stanza trovo un vero conforto ed una soave consolazione nel ricordarli a Dio nel S. Sacrificio della Messa, cosa che non ho mai tralasciato ogni mattina che ascendo all'altare (S 693).
- Io non ho mai tralasciato di pregare ogni giorno, anche alla messa per lei, sua sorella e sue figlie (S 2373).
L’eucaristia trasforma Comboni in pane per gli Africani. Egli infatti, porta all’Eucaristia tutto il vissuto di gioia e di angoscia del suo cammino missionario per viverlo in quella particolare relazione a Dio e agli altri che è la celebrazione eucaristica. Uscendo poi dalla celebrazione, porta con sé precisi impegni di vita missionaria. Il cuore di Comboni, coinvolto nel Misero Eucaristico, è il cuore con cui Dio-Padre ama i suoi figli oppressi dell’Africa centrale, i suoi occhi quelli con cui Dio vede le loro necessità, i suoi orecchi quelli con cui Dio si serve per venire in loro soccorso. Nella sua Eucaristia Comboni domanda l’aiuto del Signore, per avere il pane da dare ai poveri, ma anche e soprattutto per ottenere da lui l’attenzione, la sensibilità e l’energia indispensabili per non perdere la direzione del suo cammino missionario e rimettersi ogni giorno all’opera.
Ci sono alcune espressioni in Comboni che rivelano chiaramente il suo farsi pane quotidiano per i suoi amici:
- Io ritorno fra voi per non mai più cessare di essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre (S 3158).
- Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi (S 3159).
- Noi non sentiamo né il calore equatoriale, né gli stenti della vita apostolica di questa missione, né la fatica dei viaggi, né le disagiate dimore; né la privazione di tutto (S 3369).
- Biancheria, camicie, tele abbiamo consumato per fare una semplice camicia alle schiave liberate. (S 3369).
4. «Io muoio, ma la mia opera non morirà».
Queste parole, pronunciate sul letto di morte, sono una profezia.
L’opera di Comboni non muore, perché la sua vita fu annuncio della Parola di Dio, fu sacrificio di redenzione per l'Africa.
Nei primi mesi del 1881, Comboni esplora ancora nuove regioni del Kordofan e del Gebel-Nuba, ma l’autunno di quell’anno si mostra particolarmente crudele. Negli ultimi giorni di settembre e nei primi di ottobre muoiono cinque del suo stremato gruppo di missionari. L’ultimo, il suo vicario generale, muore il 9 ottobre… e il 10 cade sulla breccia lui stesso. È sepolto nel giardino della missione di Khartoum.
Un anno dopo, le orde fanatiche del Mahdi distruggono tutte le missioni del Sudan e fanno prigionieri i missionari e missionarie, che non sono riusciti a mettersi in salvo in tempo. Neppure il sepolcro di Comboni rimane intatto… Tuttavia la tormenta passa, i suoi piccoli Istituti si ricompongono e sono, da più di un secolo, uno strumento di Dio, affinché la semente sparsa allora nell’arida terra sudanese fruttifichi nella giovane Chiesa di oggi, tribolata sì, ma viva fino al martirio.
La morte di Comboni, in situazione che umanamente era di totale fallimento, segnò l’inizio della comunicazione del suo spirito a molte persone. Precisamente come il chicco di frumento che, per germinare in nuova vita e dare la spiga, deve prima essere lanciato nel solco e esperimentare la corruzione della morte nelle viscere della terra.
Così l’opera di san Daniele Comboni si sviluppa su due versanti: la Chiesa del Sudan e la Famiglia Comboniana. Egli è Padre di entrambi.
4. 1. San Daniele Comboni Padre e Guida della Chiesa del Sudan
Innanzi tutto Comboni è Padre e Guida della Chiesa del Sudan, nata dalla sua “passione” per la rigenerazione della Nigrizia.
In quella terra, che fu il primo amore di Comboni (Cf S 3156), oggi è presente una Chiesa giovane e piena di vitalità, nonostante che fin dall’inizio sono presenti e si moltiplicano sempre nuove tribolazioni….
Il 10 febbraio 1993, il Papa Giovanni Paolo II effettuò una visita di nove ore a Khartoum. Voleva celebrare sul posto la prima festa liturgica di Giuseppina Bakhita morta l’8 febbraio del 1947 e da lui stesso proclamata Beata il 17 maggio 1992.
Quando, circa cento trent’anni fa, la schiava Bakhita era comprata e venduta fino a quattro volte, Daniele Comboni, primo Vicario-apostolico dell’Africa Centrale, stava gettando nello stesso luogo le fondamenta della Chiesa sudanese.
Bakhita, che letteralmente significa Fortunata, è questo bel fiore, un fiore-simbolo, nata e cresciuta nell’arido deserto sudanese, dove Comboni seminò tra le lacrime…
È possibile che i percorsi di Bakhita si siano incrociati con quelli di Comboni. Ella nacque verso il 1869 nella regione del Darfur, nella parte Ovest del Sudan, e fu rapita agli otto o nove anni. Nel suo scabroso peregrinare di schiava, certamente passò per il Kordofan, forse per la stessa El-Obeid, sulla strada verso Khartoum mentre Comboni percorreva queste stesse strade.
La descrizione che Bakhita fa delle carovane di schiavi delle quali faceva parte, coincide esattamente con quella fatta dal Comboni. Ma Bakhita non ha avuto la fortuna di andare a finire in nessuna missione cattolica che la riscattasse; doveva bere ancora per molto tempo l’amaro calice della schiavitù prima di essere la “Fortunata” che oggi veneriamo sugli altari.
“ Ella – afferma il Papa nella sua omelia – divenne per i cristiani del Sudan modello di virtù e di santità di vita… perché nel suo cuore superò tutti i sentimenti di odio verso coloro che le avevano fatto del male. La sua beatificazione ha costituito un atto di rispetto non solo verso di lei, ma anche verso il Sudan, perché una figlia di questa terra è stata presentata come un’eroina di misericordia e di buona volontà”.
4.2. San Daniele Comboni e la Famiglia Comboniana
Comboni, dopo la sua morte, rivive in una numerosa “famiglia” di missionari e missionarie composta di Suore, Sacerdoti, Fratelli, Secolari e Laici e tanti altri che, in diversi modi appoggiano e sostengono la crescita di questa Famiglia Comboniana e le attività della Missione.
Quando Comboni muore, i suoi missionari sono solo 35: 14 in Sudan, 5 al Cairo e 16 a Verona. Le suore 41, di cui solo 22 professe. Pochi mesi dopo, la bufera della rivolta mahdista in Sudan sembra spazzare per sempre tutto ciò che è stato costruito in anni di fatiche. Missioni distrutte, padri, fratelli e suore prigionieri del Mahdi, alcuni morti... Umanamente, un disastro. Ma il seme caduto nel solco è buono, e dopo la tempesta rispunta. Proprio come aveva detto il fondatore: “Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della Croce”.
L'Istituto femminile si consolida. Quello maschile nel 1885 si trasforma in congregazione religiosa e assume un nuovo nome: Figli del Sacro Cuore di Gesù. Il riferimento al Cuore di Gesù raccoglie uno degli elementi fondamentali dell'eredità carismatica di Comboni (cf RV 3). E così i due Istituti crescono e si espandono, riaprendo le missioni del Sudan, aprendo nuove case in Egitto e poi spingendosi più a sud, verso l'Uganda e il cuore dell'Africa, realizzando il sogno incompiuto del fondatore. Lavorano fianco a fianco, ma col passar del tempo ogni Istituto risponde a richieste che provengono da ogni parte, anche in paesi diversi. I primi decenni del 1900 sono caratterizzati in Europa da nazionalismi spinti e contrapposti, che sfociano nella prima grande guerra mondiale. I missionari non sono esenti da questo fenomeno, e l'Istituto maschile ne soffre le conseguenze. Nel 1923 Roma ne accetta la divisione in due Istituti distinti, ciascuno con un suo nome e le sue missioni. Per mezzo secolo i Figli del Sacro Cuore di Gesù (FSCJ), con casa madre a Verona, e i Missionari Figli del Sacro Cuore (MFSC), in prevalenza di lingua tedesca, si sviluppano e lavorano indipendentemente. Alla fine, il richiamo al comune fondatore e carisma conduce tutti alla riunione nella casa comune dell'Istituto dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù (MCCJ), sancita nella festa del Sacro Cuore del 1979. La loro attività missionaria si estende in Africa, America Latina ed Asia.
Attualmente i Missionari Comboniani del Cuore di Gesù contano 1.783 membri e le Suore Missionarie Comboniane 1.689.
Nel frattempo, verso gli anni '60, dal ceppo della famiglia comboniana, ormai presente anche in America, sboccia una nuova realtà, espressione originale e moderna della dimensione missionaria vissuta nella realtà secolare della vita e del lavoro di ogni giorno: sono le Missionarie Secolari Comboniane, che attualmente sono 145. Finalmente, nell'ultimo ventennio, attorno ai Comboniani e alle Comboniane che lavorano in vari continenti spuntano gruppi di laici che si sentono chiamati ad assumere in prima persona l'impegno della missione secondo lo spirito e il carisma di Comboni.
È il movimento dei Laici Missionari Comboniani, che si esprime con modalità diverse a seconda dei vari paesi di origine.
Ma la famiglia comboniana ha un'ulteriore dimensione più ampia e fondamentale, un'appartenenza che abbraccia tutte le migliaia di familiari, parenti, benefattori, amici e collaboratori a vario titolo, che in mille modi, con la loro preghiera, offerta e sacrificio sostengono l'opera missionaria iniziata da Comboni e portata avanti oggi nel mondo dai suoi figli e figlie. Tutti animati da una forte passione per la missione, uniti in una sola, grande famiglia. E così, la storia e la missione di Daniele Comboni continuano.
Carmelo Casile, mccj, Casavatore (NA), Ottobre 2009.