La Chiesa locale ci parla. Gli indirizzi missionari di Daniele Comboni sono ancora oggi parte di una storia di grazia che si aggiunge alle grazie che noi riceviamo per fronteggiare le nuove sfide e le nuove situazioni missionarie.
Ho riletto in spirito di umiltà e di preghiera il suo «Piano per la rigenerazione dell’Africa con l’Africa». Ho così potuto capire meglio non soltanto il contenuto dei suoi scritti, ma anche e soprattutto il suo zelo ardente per la redenzione degli africani, il suo grido martiriale e la sua vita che egli ha voluto riassumere nel dilemma: «O Nigrizia o morte». Mi sono lasciato questionare dai suoi indirizzi, che suscitano nel mio cuore tante risonanze e mi fanno ripensare e ridimensionare le mie esperienze di pastore in una chiesa locale africana.
Vorrei dire con parole semplici che gli indirizzi profetici di Daniele Comboni possono suscitare oggi nuovi missionari, africani e non africani, che fronteggino coraggiosamente le grandi sfide e le nuove situazioni rimanendo fedeli alle nuove grazie che lo Spirito Santo comunica oggi alla sua Chiesa.
Le linee missionarie di Comboni hanno fatto crescere delle Chiese locali, non soltanto con i suoi apostoli indigeni (sacerdoti, religiosi, laici), ma anche con delle espressioni originali (culturali e sociologiche) dell’unico Vangelo che Gesù ha predicato e che ci ha affidato per annunciarlo a tutta la famiglia umana.
I ‘semi del Verbo’, seminati dallo Spirito Santo durante secoli in tutti i popoli dell’Africa e del mondo, sono una ‘preparazione evangelica’, che li spinge a maturare fino all’incontro esplicito con Cristo risorto[1].
Gli indirizzi del Comboni, tracciati nel suo Piano missionario, sono stati un mezzo provvidenziale per raggiungere questo scopo. La realtà di grazia, che si trova in tante chiese particolari dell’Africa, è anche merito di tanti missionari che hanno speso la loro vita per costruire delle Chiese pienamente cristiane e quindi perfettamente africane[2].
Il mio cuore di pastore, ricordando la mia esperienza pastorale in Africa, mi fa capire le conseguenze odierne del grido di Daniele Comboni: «O Nigrizia o morte»[3]. La ‘Nigrizia’ viene scelta e amata da lui, poiché era (nel secolo XIX) la più povera e abbandonata tra le genti[4].
Oggi la situazione dell’Africa è peggiorata! Sul piano delle nuove politiche economiche mondiali, l’Africa è stata emarginata ed è diventata una vera e propria appendice, senza alcuna importanza. In un mondo totalmente controllato e dominato dalle nazioni ricche e potenti, l’Africa è un continente sempre meno importante, il più tartassato dalla miseria e dalla sofferenza, un continente dimenticato e abbandonato. Memori delle parole recentemente pronunciate sull‘Africa da Papa Giovanni Paolo II, il continente africano potrebbe essere paragonato alI ‘uomo della parabola evangelica che scendeva da Gerusalemme a Gerico, e che incappò nelle mani dei briganti. Essi lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto (cf. Lc 10,30-37).
Eppure, nonostante questa situazione di estrema miseria e sofferenza, il cristianesimo si è inserito in tutti i paesi africani con grande successo. Tuttavia le nuove povertà, materiali e morali, sono aumentate. Basta ricordare le nuove malattie, le guerre con milioni di morti, la migrazione continua anche verso i paesi più ricchi per poter sopravvivere, la perdita dei valori morali tradizionali. ..
«La Chiesa in Africa, fedele alla sua vocazione, si colloca con decisione al fianco degli oppressi, dei popoli senza voce ed emarginati» (EAf 44). «Essi hanno un bisogno estremo di buoni Samaritani che vengano loro in aiuto» (EAf 41 ).
Ma oggi il raggio d’azione della Chiesa è globale, in tutto il pianeta: le razze, le culture e le religioni, i poveri e sofferenti, si incrociano in tutti gli angoli del pianeta.
La missione nasce dall‘incontro con Dio Amore
Il Signore vede un popolo povero e nella sofferenza e il suo cuore si commuove: “Ho visto le disgrazie del mio popolo in Egitto, ho ascoltato il suo lamento a causa della durezza dei sorveglianti e ho preso a cuore la sua sofferenza” (Es 3,7). Ma, alla luce dell’Incarnazione del Figlio di Dio, queste espressioni di amore prendono la figura di un cuore di carne, il cuore compassionevole di Cristo: “Sento compassione di questa folla” (M t 15,32); “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò... imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (M t 11,28-28).
Tutti i temi si possono spiegare a partire dalle idee che in essi sono contenute. Il tema ‘missione’ indica invio da parte di Dio, per mezzo di Gesù, con la forza dello Spirito, presente nella Chiesa, per la salvezza di tutta l’umanità. Il tema ha quindi dimensione trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiologica e antropologica-sociologica.
Noi cristiani, però, dobbiamo prendere i temi in stretto rapporto a Dio Amore, un Dio compassionevole che ci ama senza limiti. La missione non è un’idea o una cosa, ma ‘qualcuno’ che ama. Rileggendo la biografia e gli scritti di Daniele Comboni, appare con chiarezza che la sorgente della missione e dell’entusiasmo apostolico sgorga dalla scoperta e dall’incontro dell’Amore di Dio per gli uomini. La missione che svolge il Comboni nasce dall’incontro personale con Dio Amore, un amore che sgorga come un fiume impetuoso dal cuore trafitto di Gesù e che «riempie e inonda il fondo delle nostre anime, dei nostri cuori e delle nostre menti, tutto quello che trova» [5].
Si potrebbe dire che la sua esperienza dell’amore di Dio, manifestato per mezzo di Gesù, è simile a quella di Santa Teresa di Lisieux: «Capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa... Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto»[6].
I santi missionari sono esperti nella scienza dell’amore, perché hanno una profonda esperienza di incontro con Dio Amore. La teologia sulla missione s’impara, senza dimenticare la teologia sistematica, «da quel grande patrimonio che è la ‘teologia vissuta’ dei Santi» (NMi 27).
Mettendo in rapporto due testi biblici sull’epifania di Dio, possiamo capire meglio l’esperienza del Comboni, simile a quella di Mosè davanti a una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto, che però non si consumava: “Voglio recarmi a contemplare questo grande spettacolo. Perché mai non brucia il roveto?” (Es 3,3). Alla luce del Verbo fatto uomo, come epifania personale di Dio Amore, appare in tutta la sua profondità la rivelazione su Dio Amore: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui ed esperimenta personalmente il suo amore non muoia, ma abbia la vita eterna (cf. Gv 3,16).
E’ proprio nel triduo di speciali preghiere, in preparazione alla Beatificazione della visitandina francese Margherita Maria Alacoque, che è nato il progetto missionario del Comboni. Precisamente durante la preghiera, cioè nell’incontro intimo con l’ Amore di Dio espresso nel sacro Cuore di Gesù, che sono nati questi pensieri missionari sull’ Africa. Così scrive il Comboni: «Questo progetto credo sia di Dio, perché mi è balenato in mente il giorno 15 settembre mentre facevo il triduo alla Beata Alacoque; e il giorno 18 settembre in cui quella serva di Dio venne beatificata, il cardinale Barnabò compiva di leggere il mio piano. Vi lavorai 60 ore continue»[7].
Nessuno può andare in missione se non ha incontrato personalmente Dio-Amore che lo ama come un padre ama il suo figlio, e se l’Amore del Cristo non lo “spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti.. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro” (2 Co 5,14-15).
Questa è la novità della rivelazione cristiana: «Se Dio va in cerca dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza sua, lo fa perché lo ama eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo» (TMA 7). Dio si rivela come Amore nell’Incarnazione del Verbo, come Parola definitiva per tutta l’umanità: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui” (l Gv 4,9).
La missione di Gesù, comunicata alla Chiesa, è di annunciare questo amore di Dio per tutti i popoli. I santi missionari, come il Comboni, hanno sperimentato la missione a partire dall’incontro con il fulgore della santità di Dio e la visione del Santo: “I miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti... sentii il Signore che mi diceva: ‘chi manderò? chi sarà il nostro messaggero?’ Io risposi: ‘sono pronto! Manda me’!” (Is 6,1.5.7-8; Lv 19,1). Nel Nuovo Testamento, la missione scaturisce dall’esperienza di incontro con Cristo ‘il Santo di Dio’ (M c 1,24): “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato...noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (lGv 1,1-4).
Nell’incontro di Mosè con Dio, ‘faccia a faccia’ (Es 33,11), il suo volto è rimasto radiante di gloria, come riflesso della gloria di Dio, per poter comunicare al popolo la parola piena di luce (cfr. Es 34,29). L’apostolo è toccato dall’esperienza di incontro con Cristo risorto, che perciò diventa il suo ‘splendore’ (Gv 17,10). Abbiamo bisogno di pastori secondo il cuore di Dio: “Vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger 3, 15), che abbiano «un crescente e appassionato amore all’uomo» (PDV 73) e ci ricordino con l‘esempio della loro vita che “Dio ci ha scelti in Cristo Gesù prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nell‘amore, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà” (Ef 1,4-5).
Una delle affermazioni più profonde dell’enciclica Redemptoris missio sulla missione, a mio avviso, è questa: «La missione della Chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o -come spesso dice Luca -opera dello Spirito. Dopo la resurrezione e l’Ascensione di Gesù gli Apostoli vivono una esperienza forte che li trasforma: la Pentecoste. La venuta dello Spirito Santo fa di essi dei testimoni e dei profeti ( cfr .At 8; 2, 17 -18), infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima» (RMi 24)[8].
In questa prospettiva è urgente ricordare che «il futuro della missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell’esperienza di Dio e deve poter dire come gli Apostoli: ‘Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita .’., noi lo annunzi amo a voi’ (1 Gv 1, 1-3) (RMi 91).
Ho l’impressione, leggendo queste affermazioni del magistero, che veramente esse ci offrano una ‘teologia vissuta dei santi’, come quella del Comboni. Non si potrebbe capire il suo ‘Piano’ sull’Africa senza questa esperienza dell’amore di Dio manifestato in Gesù specialmente per i più poveri e dimenticati.
La canonizzazione di Daniele Comboni mette in evidenza che il vero missionario è il santo. Soltanto i santi possono assicurare la santità del popolo e l’educazione della gioventù nel vero incontro col vangelo. In questo senso, la ‘santità’ è quell’approccio alla realtà di Dio che è Amore. Senza quest’esperienza di incontro con l’ Amore, non c’è missione. «La chiamata alla missione deriva di per se dalla chiamata alla santità. Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità. La santità deve dirsi un presupposto fondamentale ed una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa. L‘universale vocazione alla santità è strettamente collegata all’universale vocazione alla missione: ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione» (RMi 90).
Questo brano dell’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II viene citato con insistenza nell’esortazione apostolica Ecclesia in Africa come rivolto ‘a tutti i cristiani d’Africa’, poiché «tutti i figli e le figlie dell’Africa sono chiamati alla santità» (EAf 136). L’esortazione apostolica sottolinea che la santità è un presupposto per il rinnovamento dell’azione missionaria oggi: «La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, ne organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, ne esplorare con maggior accuratezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo ‘ardore di santità’ fra i missionari e in tutta la comunità cristiana» (RMi 90; EAf 136).
Quindi la conseguenza pastorale della proclamazione trinitaria della salvezza è la vigilanza e, in essa, la purificazione e la santificazione: “ ‘Non conformatevi ai desideri di un tempo’, non lasciatevi modellare dalla mentalità mondana, ma ‘diventate santi’, modellatevi ‘a immagine di colui che vi ha chiamato’ per “rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera’ “ (Ef 4,24).
L’urgenza di formare alla santità diventa un’urgenza pastorale: «La prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità... additare la santità resta più che mai un’urgenza della pastorale» (NMi 30).
Evangelizzare in Africa significa presentare una nuova esperienza di Dio. La persona africana ha un profondo senso di Dio, tutta aperta al Vangelo e a quei valori e tradizioni religiosi che pongono Dio al centro della vita e del mondo. Dio diventa familiare, anche se nascosto nel suo mistero infinito [9].
Solo quelli che hanno visto Dio con i propri occhi, quelli che l’hanno toccato, quelli che hanno fatto l’esperienza personale di Dio Amore in Cristo, possono essere mandati come missionari in Africa. Abbiamo bisogno di missionari che abbiano il coraggio di annunciare l’avvento salvifico e definitivo di Cristo: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11 ).
La sorgente della missione sgorga dalla contemplazione del Crocifisso. Così lo capì Daniele Comboni quando in un momento di notte della fede, alla luce del costato squarciato di Cristo, ha avuto l’illuminazione sul modo di evangelizzare l’Africa per mezzo dell’Africa[10].
II. CHI E’ IL MISSIONARIO
Il missionario: uomo di Dio e per Dio e uomo di Chiesa
Il missionario è un uomo di Dio, un uomo di preghiera, un uomo di contemplazione. L‘esperienza di incontro con Cristo diventa missione. Il missionario vive un amore appassionato per Cristo assieme ad un annuncio appassionato di Cristo. Questa armonia tra incontro e annuncio è il fondamento dell’audacia che spinge a trasmettere agli altri la propria esperienza di Gesù e quindi ‘la speranza’ di trovar soluzione integrale a tutti i problemi della persona e delle comunità umane[11].
Il missionario «è un testimone dell’esperienza di Dio» (RMi 91), un Dio che ‘soffre’ negli ammalati, nei poveri, negli emarginati, nei peccatori. Così il missionario è un esperto di vera umanità redenta da Cristo. In linea di massima, però, non è un esperto dello sviluppo economico, non è un esploratore alla ricerca di ricchezze, non è unicamente un medico, non è un leader dei problemi sociali, politici ed economici[12].
Lo spirito di preghiera del Comboni viene descritto con queste parole: «pur qualificandosi come uomo d’azione, appare animato da una forza interiore, che lo univa costantemente a Dio... Frequentemente nelle sue lettere ripeteva: ‘pregate e fate pregare’... Questa fiducia illimitata della sua preghiera lo fece dire: Ho un’incrollabile confidenza in quel Dio pel quale ho esposto ed espongo la vita, agisco, soffro e morrò... Di fronte alle difficoltà, ai rischi di una vita missionaria dura, si gettava ‘nelle braccia della Provvidenza’. Una frase riassume sinteticamente il suo pensiero sul valore e sulla dimensione centrale della preghiera, soprattutto in rapporto al missionario, che deve fronteggiare continue difficoltà. ‘L’onnipotenza della preghiera è la nostra forza’ (lett. a mons. di Canossa,4 ottobre 1867»[13].
Alla radice di tutti i mali che sconvolgono la società odierna, c’è sempre un cuore che ha sete di trascendenza. I mali dell’umanità provengono da un cuore diviso: «In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo» (GS 10). Il Comboni aveva «capacità intuitive e creatrici... pronto a grandi imprese e a grandi sacrifici... senso vivo della Chiesa... coerenza tra scritti evita vissuta... secondo la carità soprannaturale dell’apostolo, che totalmente si consacra alla redenzione della Nigrizia»[14] .
«Il missionario è l’uomo delle Beatitudini» (RMi 91) e quindi costruisce la pace alla luce delle beatitudini, poiché «gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell’amore, a vincere il peccato essi vincono anche la violenza» (GS 78).
Il missionario è un uomo di Chiesa, come Famiglia di Dio. Egli è greco con i greci, negro con i negri, povero con i poveri, seguendo le orme dell’Apostolo Paolo: “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (lCor 9,22).
Se la missione in Africa per costruire la Chiesa locale prende come modello la famiglia, allora il missionario sarà un costruttore qualificato, sia della ‘chiesa domestica’ (la famiglia cristiana) che della chiesa particolare come famiglia. Si tratta di assumere «l’idea-guida per l’evangelizzazione dell’Africa, quella di Chiesa Famiglia di Dio... La nuova evangelizzazione tenderà dunque ad edificare la Chiesa come famiglia, escludendo ogni etnocentrismo e ogni particolarismo eccessivo... E’ vivamente auspicabile che i teologi elaborino la teologia della Chiesa-Famiglia in tutta la ricchezza insita in tale concetto» (EAf63).
Nella Chiesa particolare, edificata come famiglia, dovrà risuonare l’unica Chiesa di Gesù, cioè la Chiesa universale presieduta dal successore di Pietro, che ‘presiede la carità’ universale [15].
Il missionario, alla luce della fede, non è un girovago né un extracomunitario, perché ha piantato la sua tenda in mezzo al suo popolo, parlando la sua lingua, condividendo la sua vita, le sue sofferenze, le sue gioie. Egli è veramente membro della Chiesa locale. Non è uno straniero, non è di passaggio. Non viene ad aiutare la Chiesa locale o il vescovo locale. Ma è veramente a casa sua, nella famiglia sua. Deve dare la sua vita a questa famiglia fino alla morte, disposto ad andare altrove, cioè a costruire altre Chiese non ancora sufficientemente edificate.
Come Mosè, il missionario deve accompagnare il suo popolo fino alla montagna dell’Alleanza, fino alla terra promessa. Deve inserirsi nella diocesi e contribuire ad impiantare, radicare la Chiesa locale contribuendo a dare una solida formazione al clero locale e al laicato, rispettando e suscitando la propria vocazione e spiritualità specifica sacerdotale, religiosa e laicale. Deve obbedire al Vescovo diocesano come Cristo ha obbedito al Padre: «Conviene procedere d’accordo con il sentire del vostro vescovo, come già fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, degno del nome che porta, degno anche di Dio, è così armoniosamente unito con il proprio vescovo, come le corde alla cetra»[16].
Questa è l’obbedienza ministeriale suscitata dai fondatori e in modo speciale da Daniele Comboni, come si intravede dal suo ‘Piano’ per evangelizzare l’Africa[17]. Si potrebbe parlare di ‘africanizzazione’ dei missionari, non soltanto nel senso di suscitare il clero indigeno ( che è stato un obiettivo di Propaganda Fide fin dalla sua fondazione ), ma anche nel senso di profondo inserimento.
Il Piano di Comboni auspica un atteggiamento missionario che possiamo definire di sussidiarietà: «Non soggiogheranno quei popoli a guisa di terreni conquistatori; ma ad imitazione del divino Pastore... toglieranno sopra le loro spalle quelle misere pecorelle, menandole in trionfo ai liberi ed ubertosi pascoli della Chiesa; sì che i conquistati non già vinti dalla forza, ma vincitori di se medesimi... avranno conquistato col battesimo la vera religione, e il gran beneficio della vita civile»[18]
Il Comboni auspica che la missione d’Africa sia assunta dalla Chiesa in Africa. «Il suo valore perciò consiste da un lato nell’intuizione che esprime nell’apertura di credito all’uomo africano, manifestata quando l’Europa ne mostrava solo disprezzo (deve essere l’Africa, scrive, a ‘rigenerare’ se stessa), e dall’altro nel fatto che esso trasformò Comboni, fornendogli l’idea unitaria e l’indirizzo di metodo che fino a quel momento gli erano mancati»[19].
Il missionario: un evangelizzatore e un promotore della dignità umana
Gli indirizzi del ‘Piano’ hanno lo scopo di annunciare il Vangelo, tale come è, per una educazione alla fede e alla civiltà, senza perdere l’ambito culturale degli evangelizzati, e piuttosto potenziandoli per farli diventare evangelizzatori dell’Africa. Il Comboni è convinto che si doveva «mutare l’antico sistema, e creare un nuovo Piano che guidi più efficacemente al desiderato fine». Ed è disposto a qualsiasi sacrificio: «pel quale saremmo lieti di versare il nostro sangue fino all’ultima stilla» (Piano )[20].
E’ un Piano senza frontiere. Si trattava di tutta l’ Africa, poiché tutti i paesi erano coinvolti e non sarebbe stata possibile l’evangelizzazione di un paese dimenticando gli altri. «Io sono convinto che non si potrà mai organizzare per la conversione del centro dell‘Africa nessuna opera stabile e duratura, senza prendere di mira tutta la stirpe dei neri in generale» (Lettera 23 febbraio al Card. Barnabò ). Il Comboni tenta di «comunicare a tutta la grande famiglia dei negri i preziosi vantaggi della cattolica fede... abbraccerebbe tutta intera la stirpe dei negri». Propone una «istituzione, adattata all’opportunità e ai bisogni dell’Africa interna», per «aprire la via dell’Apostolato dell’Africa a tutti gli ecclesiastici secolari delle nazioni cattoliche, i quali fossero da Dio chiamati a sì sublime ed importante missione» (Piano)[21].
Il Comboni voleva coinvolgere tutta la Chiesa, sacerdoti, religiosi, laici, presentando un appello pressante al «cuore dei cattolici di tutto il mondo». «L’Opera dev’essere cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana. Tutti i cattolici devono aiutare i poveri neri, perché una sola nazione non riesce a soccorrere la stirpe nera. Le iniziative cattoliche ( ...) hanno fatto molto bene ai singoli neri, ma fino ad ora non si è ancora cominciato a piantare in Africa il cattolicesimo e ad assicurarvelo per sempre. All‘incontro, col nostro Piano noi aspiriamo ad aprire la via all’entrata della fede cattolica in tutte le tribù in tutto il territorio abitato dai neri. E’ per ottenere questo, mi pare, si dovranno riunire tutte le iniziative fin ora esistenti» (lettera 9 novembre 1864, al Presidente della Società di Colonia)[22]. II Comboni non cessa mai d’insistere sulla globalità del progetto e sulla chiamata generale che esso rivolge ai cattolici. Si trattava di «spiegare e mettere in azione tutte le forze del Cattolicesimo a beneficio dell’Africa»[23].
Uno dei punti più originali del Piano del Comboni si esprime nel titolo: «La rigenerazione dell’Africa con l’Africa». Si cercava di costruire una Chiesa missionaria pienamente evangelica con fisionomia pienamente africana. «Piantando la nostra base di azione là dove l’africano vive e non si muta... Non si potrebbe promuovere la conversione dell’Africa per mezzo dell’Africa? Su questa grande idea si è fissato il nostro pensiero; e la rigenerazione dell’Africa coll’Africa stessa ci parve il solo programma da doversi seguire» (Piano)[24].
Impiantare la Chiesa locale, darle profonde radici che si radichino bene nel Vangelo e nel mistero di Cristo, senza perdere nessun autentico valore locale. «Le nostre chiese locali dovranno lavorare ad un processo d’inculturazione sempre rinnovato, rispettando i due criteri seguenti: la compatibilità con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa universale... l’inculturazione mira a porre l’uomo in condizione di accogliere Gesù Cristo nell’integrità del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio Padre» (EAf 62)[25].
Per arrivare alla vera promozione africana è indispensabile creare delle «scuole per formare maestri neri, scuole per artisti, virtuosi e abili agricoltori, medici, infermieri, falegnami. Bisognerà formare altresì degli onesti e virtuosi commercianti per promuovere e esercitare il commercio degli articoli nazionali ed esotici più necessari alla vita, affine di creare man mano ed indurvi quella sorgente di prosperità che sollevi i popoli negri dalla loro abbiettezza e languore alla condizione di nazioni civili; sì che da tutti questi elementi dell‘industria indigena sgorghino le fonti dei mezzi materiali che sono atti a mantenere lo sviluppo delle missioni cattoliche nell‘Africa interna»[26]. Andando più avanti nel suo piano, il Comboni pensava, «per le necessità della Chiesa e della società insieme: circondare l’ Africa con un sistema di «piccole università teologiche e scientifiche affiancate poi da centri di perfezionamento «per giovani negri cavati dal corpo degli Artisti più atti a ricevere una elevata istruzione. E così è complessivamente abbozzato il disegno dell‘altra novità: le classi dirigenti indigene, dal punto di vista religioso, civile ed economico»[27]. Questa dimensione pastorale rimane finora una preoccupazione prioritaria della Chiesa in Africa.
Il missionario, uomo di pace, rivela Cristo nascosto nei poveri
Il missionario non cerca principalmente il bene della propria opera né solo la sopravvivenza della propria Congregazione nel reclutamento delle vocazioni. E’ suo compito principale, come nel ‘Piano’ del Comboni, suscitare le vocazioni locali. Prima di costruire la Chiesa locale dove si lavora nella missione ad gentes , ci vorrebbe l’esperienza di aver lavorato nella costruzione della Chiesa locale di origine, nel senso di aver collaborato alla comunione ecclesiale tra vocazioni, ministeri, carismi, sempre sotto la guida dei successori degli Apostoli che presiedono le diverse Chiese locali[28]. I limiti o difetti delle Chiese locali giovani non devono essere esaminati principalmente nel loro lato negativo. Alcuni missionari accennano troppo ai difetti e peccati e fanno critiche poco costruttive delle chiese africane. Da queste critiche negative sorge logicamente scoraggiamento negli stessi missionari e questo non giova a nessuno. L‘atteggiamento del Comboni è piuttosto di apprezzamento e incoraggiamento, senza dimenticare i difetti da correggere[29].
Sarebbe bene riflettere sul modo di trasferire troppo facilmente i missionari da un paese a un altro, da un continente ad un altro. Ciò non aiuta per la conoscenza del popolo, e per l’approfondimento della fede. Ci vogliono missionari veramente inseriti, disposti ad una “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Gli stessi incarichi ricevuti domandano una disponibilità di permanenza più costante, naturalmente sempre con la dovuta obbedienza ai superiori riguardo i trasferimenti.
Il missionario è un uomo di pace e un liberatore dalle varie schiavitù e promotore della dignità umana. Ma la vera liberazione è di condurre a Cristo, il vero liberatore e Principe della Pace, l’unificatore dell’umanità (cfr. Ef2,11-22).
Il missionario sa far scoprire Cristo presente in ogni uomo o donna, in un mondo sempre violento e che schiaccia il povero, annienta i deboli. Il missionario è colui che mostra Dio presente in mezzo a noi: Gesù Cristo, nella sua umiltà, nella sua “condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (FiI2, 7).Deve condurre gli uomini alla scoperta di Dio nascosto nella povertà dei poveri e dei piccoli ( cfr . At 18,5). I più poveri sono quelli che non hanno fede e non hanno trovato il senso della vita.
Contemplando con amore il volto di Cristo, il missionario sa scoprirne il volto in tutti i fratelli, in modo speciale nei più poveri. Questo è stato sempre l’atteggiamento della Chiesa nell’imitare la preghiera e carità di Maria: «Se ben recitato come vera preghiera meditativa, il Rosario, favorendo l’incontro con Cristo nei suoi misteri, non può non additare anche il volto di Cristo nei fratelli, specie in quelli più sofferenti» (RVM 43)[30].
Nel capitolo 25 di Matteo, grande pagina del giorno del giudizio, è centrale l’affermazione di Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (M t 25,40). In colui che ha fame, nell’ammalato, nel prigioniero, nel disprezzato, presso ognuno in cui si è attuata la bontà, abbiamo servito Cristo stesso. In questo brano evangelico, ci sono delle affermazioni essenziali, che hanno sempre ispirato la vita cristiana, sia nel cammino di santità che di evangelizzazione.
Trovare Cristo nei fratelli sofferenti non sarebbe possibile senza l’incontro con Lui nella meditazione della sua Parola e nella celebrazione e adorazione del suo mistero eucaristico. E’ necessario che l’interiorità e l’impegno apostolico si fecondino a vicenda.
Leggendo per caso nel giornale ‘Le Monde’ (18 febbraio 2000) un articolo dedicato a un uomo complesso come è stato il socialista francese Jean Jaurès, che era allo stesso tempo filosofo, politico, militante, aggregato di filosofia, ossessionato dai valori spirituali, collega de Bergson, disprezzato da Péguy, ho trovato questo pensiero eccezionale che colpisce: «I veri credenti sono coloro che vogliono abolire lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, e poi, abolire gli odi dell’uomo per l’uomo, l’odio di una razza per un’altra, di una nazione per un’altra, insomma distruggere tutti gli odi, e veramente creare l’umanità che non è ancora apparsa. Ma creare l’umanità significa creare la ragione, la dolcezza, l’amore, e chi sa se magari Dio non è nel più profondo di tutte queste cose».
In questo importante pensiero, Jean Jaurès mette l’apparizione di Dio, ‘la douce lampe de Jesus’, come scrive in un altro posto, in una prospettiva quasi panteistica, all’estremità, ossia alla fine della generosità, della bontà, dell‘azione altruista. Il Vangelo, invece, mette Dio Amore, personale, sin dall’inizio e proprio nel centro di ogni cuore umano. Però il vangelo non separa mai l’ attenzione al Dio della creazione dall‘umanità che non è ancora, dall‘umanità che Dio vuole e che avviene in Gesù Cristo nella forza dello Spirito rigeneratore. «Infatti, nella sua interiorità, l’uomo trascende l’universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori, là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino» (GS 14). Questo è anche l’insegnamento di S. Agostino, poiché niente può soddisfare il cuore dell’uomo:
«Ci hai fatto per te, O Signore, e il nostro cuore è senza pace finche non riposa in te»[31]. Il pericolo della missione è il vuoto spirituale, la mancanza d’interiorità, l’assenza di Dio nella vita profonda e nell’atteggiamento esteriore del missionario. In molti scritti e disegni di azione “apostolica” non si parla di Dio, si parla soltanto di questioni sociopolitiche, d’ingiustizie e di povertà economica. Sarà Gesù il grande assente? Per il Comboni, Gesù era al centro di tutto il suo Piano missionario. Lui curava una ‘educazione religiosa e civile’ di tutti, senza dimenticare di «infonder loro nell’animo e radicarvi lo spirito di Gesù Cristo» (Piano).
III. L’AFRICA E’ STATA SEMPRE ASSOCIATA ALLA DOFFERENZA DI DIO
Il missionario è un testimone di Cristo morto e risorto. La croce del dolore lascia intravedere la luce della risurrezione. La missione in Africa è stata segnata dalla croce e del martirio per poter annunciare che nel dolore di rutti i giorni Cristo è il protagonista della storia di ogni persona e di ogni popolo. I martiri e santi dell’Africa degli ultimi tempi sono una garanzia di questo capovolgimento delle cose umane alla luce del comando dell’amore. Veramente si sta compiendo l’intuizione di Daniele Comboni che è stato anche l’indirizzo tracciato da Paolo VI: «Voi africani siete ormai i missionari di voi stessi»[32].
Molti missionari si domandano sul cosiddetto ‘male’ dell’Africa. Quanti hanno lavorato apostolicamente in quelle terre, si sentono attirati dal mistero nascosto nel cuore di tanta gente che sa accogliere e sa soffrire senza dimenticare l’amore di Dio e dei fratelli. Il continente africano è stato toccato dalla croce e non si potrà mai capire se non alla luce di Cristo crocifisso e risorto.
Fuggire dal dolore e dal rischio della croce e del martirio, significherebbe intraprendere una strada sterile per l’evangelizzazione. Non per caso, l’enciclica missionaria di Giovanni Paolo II (anche lui toccato fisicamente e dolorosamente umiliato e afflitto nella sua carne e nella sua anima dalla croce) indica il significato missionario della croce: «La missione percorre questa stessa via ed ha il suo punto di arrivo ai piedi della Croce» (RMi 88). In effetti, “la Chiesa non può fare ameno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio ed a meritare, con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini» (RMi 11).
L’Africa è stata sempre provocata, invitata a prendere parte nel piano di salvezza di Dio, una salvezza che deve passare necessariamente attraverso la croce e la morte. L’Africa è oggi come il simbolo della sofferenza di Dio in un mondo senza Dio. Sono colpito dal potere dell’odio, che si trova anche nelle famiglie. L‘intenso aggravamento della sofferenza di Dio, espresso nella sofferenza dei poveri e degli emarginati, il desiderio dell’uomo di distruggere Dio distruggendo l’uomo sono terribilmente «farouches et d’une atrocité innommable».
Soltanto alla luce di Cristo, morto e risorto, l’Africa può ritrovare il vero senso della vita, poiché “la Redenzione, avvenuta per mezzo della Croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo» (RH 10). «La croce è una rivelazione radicale della misericordia» (D M 8,a).
Il missionario che va in Africa, ha bisogno di capire che Dio domanda all’Africa di prendere parte alla sua sofferenza, alla sua croce e alla sua morte per salvare l’umanità. La sofferenza, trasformata in donazione di amore, è sempre feconda.
Questa volontà di Dio di associare l’ Africa alla sua sofferenza per rinnovare il mondo, che conosce una grave crisi dei valori morali e nei suoi rapporti con Dio, è di sempre. E’ dall’Africa che parte l’Esodo di Mosè e del popolo d’Israele, intraprendendo il lungo cammino di Dio con 1’uomo verso la montagna dell’Alleanza tra Dio e l’umanità (Es. 1-20). E’ l’Africa che protegge Gesù Bambino dalla furia criminale di Erode il Grande (Mt 2,13-23). E’ un africano, “un certo Simone, originario di Cirene”, che aiuta Gesù a portare la croce (Mt 27,32; cfr. EAf 27). E’ nella croce di Cristo, dove le due parti nemiche dell’umanità, divise, sono riconciliate “in un solo corpo per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia” (cfr. Ef 2,16). La vittoria sulla morte e sul peccato si trova nella croce di Cristo (I Cor 15,55-57).
Il nome di ogni africano è trascritto «sulle palme delle mani di Cristo, trafitte dai chiodi della crocifissione» (EAf 143) dice Papa Giovanni-Paolo II. Questa vocazione peculiare dell’Africa, il Papa l’ha ricordato con queste parole: [33].
Gli indirizzi di Daniele Comboni per la rigenerazione dell‘Africa, tracciati nel suo Piano e spiegati nelle sue lettere, sono frutto della sua propria esperienza di croce feconda. Egli intendeva «piantare... il vessillo della croce» (Piano )[34].
Comboni ha capito il mistero dell’Africa dopo aver sperimentato lui stesso il dolore e aver trovato la luce nel Cuore di Cristo. Il suo Piano è frutto principalmente di un’illuminazione o ispirazione (15 settembre 1864), che qualcuno ha definito ‘Pentecoste personale’ di Comboni. Di fatto, come già accennato sopra, lo stesso Piano lascia intravedere uno stretto rapporto con l’amore del Cuore di Cristo crocifisso, come esperienza spirituale: «carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota ed uscita dal costato del Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore» (Piano )[35].
Nella croce è espresso in modo assoluto e totale l’Amore di Dio per l’umanità. E’ proprio questo Amore infinito che il missionario deve rivelare agli uomini[36] e che l’ Africa ha la missione di rivelare attraverso le sue sofferenze, le sue umiliazioni e la morte dei suoi martiri, dimostrando così la vitalità, il trionfo della Chiesa missionaria e la fecondità spirituale delle sue tribolazioni. «Per la croce ed il martirio sono state fondate ed hanno prosperato tutte le missioni. E l’Africa centrale, che è 1‘ultima fra tutte, la più difficile, la più faticosa, non poteva seguire un cammino diverso da quello seguito dalle altre opere di Dio: deve passare per la via della Croce e del martirio, così come il divino Fondatore della Fede è arrivato alla sua gloriosa Risurrezione per la sua Passione e la sua Morte, e così come la Chiesa cattolica, nata dal suo Cuore immacolato, nuotando nel sangue dei martiri ha trionfato nell‘universo»[37]. «La Croce è il cammino regale per arrivare al trionfo»[38].
La sofferenza della missione in Africa, contemplata sotto lo sguardo di Cristo crocifisso, ha fatto capire al Comboni la fecondità apostolica della croce. Una caratteristica tipica della sua spiritualità è ‘il suo amore alla Croce’, e la sua vocazione missionaria si perfezionò nella continua disponibilità al martirio... Comprese allora che la Croce gli era «talmente amica» e gli era «sempre sì vicina» che la elesse per sua «sposa indivisibile ed eterna»... «Senza Croce non si piantano le opere di Dio»... «Le croci e le grandi tribolazioni sono il contrassegno delle opere di Dio. Molti lo dicono con la bocca e lo predicano dal pergamo; ma quando le croci arrivano sono avviliti, desolati e deboli. Il Missionario e la Suora dell ‘ Africa Centrale devono essere carne da macello, e gente destinata a patire grandi cose per Gesù Cristo; non deve avere altro, perché altrimenti non è essere apostoli, ma essere pulcinelli e buoni da nulla. Ciò vorrei si inculcasse ai nostri Istituti Africani di Verona, e non sarò contento finche non saranno ridotti a questo punto, e si ridurranno con la grazia di Dio»[39]. «La via che Dio mi ha tracciato è la Croce»...«son crocifisso»... «lo sono felice nella croce che, portata volentieri per amore di Dio, genera il trionfo e la vita eterna»[40].
Lo zelo ardente di Comboni viene descritto nella Positio in questo modo: «Dopo l’ispirazione del Piano, tutta la sua vita divenne dedizione senza riserve, coerente e costante contro ogni difficoltà; fu una consacrazione integrale alla causa della Nigrizia e tutta sottomessa al Vicario di Cristo e alla Congregazione di Propaganda Fide nella profonda persuasione che nella cattedra di Pietro «ha sede la verità, la carità e la preziosa eredità dell’adorato nostro Gesù Cristo Salvatore del genere umano»... «lo non ho che la vita per consacrare alla salute di quell’anime: ne vorrei aver mille per consumarle a tale scopo» (Relazione al card.Barnabò, aprile 1870»[41].
Se si aiutano i popoli dell’Africa a sollevare le loro sofferenze, mentre al tempo stesso si aiutano a trasformare la croce in una nuova donazione ai fratelli, accadrà in Africa una novella Pentecoste: «La Croce potrà essere piantata in ogni parte del continente per la salvezza dei popoli che non hanno paura di aprire le porte al Redentore»(Eaf 74).1n questo modo si potrà «portare Cristo al cuore stesso della vita africana e di elevare la vita africana tutta intera fino a Cristo»(EAf 127)[42].
Quest’effusione dello Spirito per una novella Pentecoste domanda dai missionari un’atteggiamento di preghiera e di comunione, “con Maria la Madre di Gesù” (At 1,14), per poter diventare nella Chiesa un segno efficace di evangelizzazione, “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Si ha bisogno in Africa e in tutti i continenti, di attuare coraggiosamente il modello apostolico: “Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (At 4,33).
Roma, 14 marzo 2003
[1] Le espressioni “semi del Verbo” (di s. Giustino) e “preparazione evangelica” di Clemente di Alessandria) , vengono citate nei documenti missionari: AG 3,11; EN 53,80; Rmi 28).
[2] Per le mie riflessioni mi ho servito dei seguenti studi: Daniele Comboni. Gi scritti (Roma, MIssionari Comboniani, 1991) ; A. GILLI, Il piano per la rigenerazione dell’Africa nel suo contesto storico e spirituale: Archivio Comboniano VII (1967) 159-170; A. GILLI, P. CHIOCCHETTA, Il messaggio di Daniele Comboni (Bologna, EMI, 1977) (introduzione, pp.17-176); J.M. LOZANO, Cristo è anche nero. La spiritualità di Daniele Comboni (Bologna, EMI, 1989); Positio super virtutibus... (Romae 1988) vol. I-II; G.ROMANATO, Daniele Comboni. L’Africa degli esploratori e dei missionari (Milano, Rusconi, 1998).Tra i documenti del Magistero, oltre il concilio Vaticano II, cito in modo speciale: Evangelii nuntiandi di Paolo VI (EN) , Redemptor hominis (RH) , Dives in misericordia (DM) , Redemptoris missio (RMi), Ecclesia in Africa (EAf) , Tertio millennio adveniente (TMA), Novomillennio ineunte (NMi) , Rosarium Virginis Mariae (RVM) di Giovanni Paolo II.
[3] Lettera 2 novembre 1871, a Mons. Charles Lavigerie, spiegando le sue parole pronunciate nel Congresso dei cattolici tedeschi a Magonza, settembre 1871.
[4] Comboni parla di “quelle vaste e popolate regioni, che sono senza dubbio le più necessitose e le più derelitte del mondo”! (Piano) .cfr. A. GILLI, P. CHIOCCHETTA, Il messaggio di Daniele Comboni (Bologna, EMI, 1977), cap. 3 (“0 Nigrizia o morte!”) .
[5] Sant’Ambrogio: Cf. F. VETTER, Die Predigten Taulers, 25, Berlino 1910, pp. 190-191 (trad. it. : Omelie, a cura di M. Vannini, Milano 1997, p. 5736.) 6 Opere complete. Lib. Ecit.Vat., Ediz. OCD, Roma 1992, p.223
[6] Opere complete. Lib. Ecit.Vat., Ediz. OCD, Roma 1992, p.223.
[7]Domenico Agasso, Comboni, un profeta per l’Africa, Edizioni S. Paolo, Milano 1991, pp 44-45.
[8] “È dunque necessario che la nuovo evangelizzazione sia centrata sull’incontro con la persona vivente di Cristo. Il primo annuncio deve mirare a far fare questa esperienza sconvolgente ed entusiasmante di Gesù Cristo che chiama e trascina al suo seguito in un’avventura di fede” (EAF 57)
[9] “Gli africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio creatore e di un mondo spirituale” (EAF 42)
[10] La sua devozione al Cuore di Gesù viene descritta nella Positio con queste parole: “E’ con l’ispirazione del Piano, in coincidenza con la beatificazione di Margherita Alacoque, che tale devozione acquistò una particolare intensità... come una effusione di amore salvifico verso l’intera umanità. ..Parlò più volte di «una grazia del Cuore di Gesù», che avvertiva come forza interiore contro tutte le difficoltà, per un fecondo apostolato missionario. E’ una devozione che lo educò a un amore sempre più profondo verso Gesù e le anime da redimere” (Positio, II, Doc. XVII, 6, h, p.905). Cf. A. GILLI, P. CHIOCCHETTA, o.c., cap.9 (L’onnipotenza della preghiera) e J.M. LOZANO, Cristo è anche nero..., o.c., pp.163-195 (L’orazione dell’apostolo).
[11] si è missionario anzitutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o W fa” (EAf 77).
[12] “si deve accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo” (Eaf 139).
“si deve accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo” (Eaf 139).
[13] Positivo, II, Doc. XVII, 6, b, p. 904.
[14] Positivo, II, doc. XVIII, 6, a, p. 903
[15] S. Ignazio d’antiochia, Lettera ad Rom. 1,1.
[16] S. Ignazio d’Antiochia, Lettera alla Chiesa di Efeso, 4,1-2. “Spetta in particolare alla Chiesa locale posta sotto la responsabilità del Vescovo, di coordinare l’impegno dell’evangelizzazione” (EAf 88).
[17] Vedere anche lettera 25 maggio 1874 al Card. Franchi (successore del Card. Barnabò): “...prometto e giuro a v.e. assoluta sommissione e perfetta obbedienza... è mio fermo proposito di non mai intraprendere nessuna impresa di rilievo, senza consultare la s.c. di Prop.da” (Positio, p.923).
[18] Si tratta di “istringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli”. Per il piano Comboni: A. GILLI, Il piano per la rigenerazione dell’Africa nel suo contesto storico e spirituale: Archivio Comboniano VII (1967) 159-170; G.ROMANATO, Daniele Comboni. L’Africa degli esploratori e dei missionari (Milano, Rusconi, 1998) : Il piano di Comboni: III (3.4) pp.221-234. Nella Positio, voI. I, doc. VII, A, pp-189-205; A. GILLI, P. CHIOCCHETTA, o.c., Il messaggio di Daniele Comboni (Bologna, EMI, 1977) cap. 7 (Salvare l’Africa con l’Africa) .L’esortazione “Ecclesia in Africa” (1995) afferma: “Sarà così possibile delineare, alla fine, gli impegni della Chiesa in Africa come Chiesa di missione che diventa essa stessa missionaria” (EAf 8)
[19] G.ROMANATO, Daniele Comboni. L’Africa degli esploratori e dei missionari (Milano, Rusconi, 1998) p.231. “L’africanizzazione dei missionari era già in cima ai pensieri di F.M.P. Libermann (1802-1852), l’ebreo francese convertito che fonderà una congregazione missionaria e si rivolgerà alla Guinea. La sua valorizzazione dell’uomo africano era stata espressa quasi negli stessi termini di Comboni: «Spogliatevi dell’Europa, dei suoi costumi, della sua mentalità; fatevi negri coi negri, e allora li guiderete come devono essere giudicati; li formerete come loro hanno da essere, non alla maniera dell’Europa, ma lasciato ad essi ciò che è loro proprio». Melchior Marion Bresillac (1813-1859) iniziatore del Seminario delle missioni Africane di Lione, vittima della febbre gialla in Sierra Leone a quarantasei anni, la pensa allo stesso modo. Queste alcune sue parole: «I francesi adatterebbero ad un Clero spagnolo, e gli italiani ad un Clero francese? Certamente no. E noi giudichiamo negativamente che le nostre cristianità indigene non si adattino a noi, lo prendiamo come un ingiuria, glielo rinfacciamo come una ingratitudine. E’ forse giusto?.. Si sappia bene che noi non intendiamo dominare sui popoli, ma insegnare loro l’unico modo per essere felici e indicare la via da battere. Appena l’abbiamo tracciata, questa via, lasciamoli camminare da soli»” (ibidem, ff.229-230) .
[20] “Si potrà con sicurezza affidare a sacerdoti e catechisti indigeni di provata idoneità la permanente direzione delle stazioni e cristianità dell’interno, già iniziate ed avviate dai missionari europei”. Propone di “stabilire delle piccole università teologiche e scientifiche nei punti più importanti, che circondano la grande isola africana”. Ci vorrebbe una società o istituto missionario per promuovere questa iniziativa: “Verrà stabilita una società composta d’individui di mente, di cuore, e di grande azione, la quale piglierà il nome di Società dei SS. Cuori di Gesù e di Maria per la rigenerazione della Nigrizia, sotto il patrocinio della Vergine Immacolata, di S. Giuseppe sp. di Maria, e dei Principi degli Apostoli” (Piano) .
[21] 21 L’esortazione apostolica “Ecclesia in Africa” augura “un’organica solidarietà pastorale nell’intero territorio africano e nelle isole attigue” (EAf 72) .
22 Domenico Agasso, Comboni, un profeta per l’Africa, Edizioni San Paolo, Milano 1991, p. 57.
43 “Troverà... un appoggio di favore e di aiuto nel cuore dei cattolici di tutto il mondo, investiti e compresi dallo spirito di quella sovraumana carità che abbraccia la vastità dell’universo, e che il divino Salvatore e venuto a portar sulla terra”. “Il cuore d’ogni pio cattolico infiammato dello spirito della carità di Gesù Cristo” (Piano).
[22] Domenico Agasso, Comboni, un profeta per l’Africa, edizioni S. Paolo, Milano 1991, p.57.
[23] “Troverà … un appoggio di favore e di aiuto nel cuore dei cattolici di tutto il mondo, investiti e compresi dallo spirito di quella sovraumana carità che abbraccia la vastità dell’universo, e che il divin Salvatore è venuto a portare sulla terra”. “Il cuore di ogni pio cattolico infiammato dello spirito della carità di Gesù Cristo” (Piano)
[24] L’esortazione apostolica “Ecclesia in Africa” auspica questo stesso scopo: “E’ in questo modo che l’Africa si integra nell’attività missionaria” (EAf 130) .
[25] “L’inculturazione comprende una duplice dimensione: da una parte, l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e, d’altra, il radicamento del cristianesimo nelle varie culture” (EAf 59) .”Ogni cultura ha bisogno di essere trasformata dai valori del vangelo alla luce del mistero pasquale” (EAf 61). Perciò, “le Chiese locali dell’Africa hanno un posto legittimo nella comunione della Chiesa, che esse hanno il diritto di conservare e sviluppare: proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede la comunione universale della carità” (EAf 11) .
[26] Cf. Domenico Agasso, Comboni, un profeta per l’Africa, p. 50.
[27] o.p. p. 51.
[28] “Fine dell’evangelizzazione è edificare la Chiesa, come Famiglia di Dio” (EAf 85).
[29] Comboni ricorda i missionari morti, “consumati ostie pacifiche sull’altare della loro carità”... “le file dei missionari continuamente assottigliate dall’inclemenza dei climi, dalle fatiche e dal martirio” {Piano) .L’esortazione postsinodale “Ecclesia in Africa” afferma: “La splendida crescita e la realizzazioni della Chiesa in Africa sono dovute in gran parte all’eroica e disinteressata dedizione di generazioni di missionari. Ci’è da tutti riconosciuto. La terra benedetta dell’Africa è, in effetti, disseminata di tombe di valorosi araldi del Vangelo” (EAf 35) .
[30] Si dovrebbe presentare la preghiera del Rosario nella sua dimensione missionaria: “Il Rosario, se riscoperto nel suo pieno significato, porta al cuore stesso della vita cristiana ed offre un’ordinaria quanto feconda opportunità spirituale e pedagogica per la contemplazione personale, la formazione del Popolo di Dio e la nuova evangelizzazione” (RVM 3).
[31] s. Agostino, Confess, I,l: PL 32, 661; cfr. GS 21.
[32] Paolo VI, Kampala, 31 luglio 1969: AAS 61 -1969- 575; cf. EAf 33.
[33] EAf 56; citazione dell’omelia di Paolo VI per la canonizzazione dei beati Carlo Lwanga, Martin Mulumba Kalemba 2 20 compagni martiri dell’Uganda, 18 ottobre 1964: AAS 56 (1964) 907-908.
[34] J.M. LOZANO, Cristo è anche nero. .., o.c., pp.133-162 (La Croce diCristo) .
[35] Ibidem, pp.89-132 (Il Cuore di Gesù) .
[36] Nel “piano” di Comboni si invita a guardare l’Africa “al puro raggio della sua fede”. E’ il “linguaggio di fede”, poiché “la nostra opera è basata sulla fede. E’ un linguaggio che lo intendono poco, anche fra i buoni sulla terra. Ma l’hanno compreso i santi, che soli dobbiamo imitare” (lettera 13 agosto 1881, al P. Sembianti).
[37] 37 Al Cardinal G. Simeoni[ 31-12-1878. Scritti. Pp. 2327-2328; J.M. Lozano[ Cristo è anche nero, EMI[ Bologna 1989[ pp.157-158. 38.
[38] O.C. p.2336.
[39] Al Cardinal di Canossa[ 3-3-1879. Scritti, p.2462[ Lozano pp.158-159.
[40] Positio[ II, Doc. XVII, 6[ h[ p.904. Nella Positio vengono sottolineati “tre aspetti fondamentali della sua spiritualità: senso di Dio, senso di Cristo, senso della Chiesa” (Positio II, doc. XVII, p.902).
[41] “Sembra giunta un’ «ora dell’Africa», un’ora favorevole che invita con insistenza i messaggeri di Cristo a prendere il largo e a gettare le reti per la pesca (cfr. Lc 5,4)” (EAf 6) .E’ “un kairos, un momento di grazia” (EAf 9) .Bisogna migliorare in modo speciale la formazione delle vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata, poiche “dalla sollecitudine posta nella soluzione di questo problema, dipende l’avverarsi della speranza di una fioritura di vocazioni missionarie africane, quale è richiesta dall’annuncio del Vangelo in ogni parte del continente e anche oltre i suoi confini” (EAf 50).
[42] Nell’anno del Rosario (ott. 2002, ott. 2003), Giovanni Paolo II invita a ricevere le grazie di una novella Pentecoste: “La Pentecoste mostra il volto della Chiesa quale famiglia riunita con Maria, ravvivata dall’effusione potente dello Spirito, pronta per la missione evangelizzatrice” (RVM 23) .