«L’incontro personale con Cristo è il momento decisivo della vocazione del missionario. Solo dopo aver scoperto che è stato amato da Cristo e conquistato da Lui, egli può lasciare ogni cosa e stare con Lui. Il missionario diviene capace di seguire Cristo rivivendo continuamente questo incontro e approfondendo la sua comunione col Signore»: RV 21.1. I missionari si «formano questa essenzialissima disposizione col tenere fissi gli occhi in Gesù Cristo, amandolo teneramente… rinnovando spesso l’offerta di se medesimi a Dio» (D. Comboni, S 2892).
L’umanità di oggi, sempre più sottratta all’influsso vitale della visione religiosa della vita, è insidiata dal rischio di cadere nella gabbia del narcisismo, privandosi così di quel dinamismo d’amore che solo può aprire l’essere umano alla relazione con l’Altro e farlo crescere nella giusta relazione con se stesso, con gli altri e il creato.
In effetti, “il panorama internazionale, se da una parte presenta prospettive di promettente sviluppo economico e sociale, dall'altra offre alla nostra attenzione alcune forti preoccupazioni per quanto concerne il futuro stesso dell'uomo. La violenza, in non pochi casi, segna le relazioni tra gli individui e i popoli; la povertà opprime milioni di abitanti; le discriminazioni e talora persino le persecuzioni per motivi razziali, culturali e religiosi, spingono tante persone a fuggire dai loro Paesi per cercare altrove rifugio e protezione; il progresso tecnologico, quando non è finalizzato alla dignità e al bene dell'uomo né ordinato a uno sviluppo solidale, perde la sua potenzialità di fattore di speranza e rischia anzi di acuire squilibri e ingiustizie già esistenti. Esiste inoltre una costante minaccia per quanto riguarda il rapporto uomo-ambiente dovuto all'uso indiscriminato delle risorse, con ripercussioni sulla stessa salute fisica e mentale dell'essere umano. Il futuro dell'uomo è poi posto a rischio dagli attentati alla sua vita, attentati che assumono varie forme e modalità” (Benedetto XVI)(2).
D’altra parte, «oggi sono innumerevoli coloro che attendono l'annuncio del Vangelo, coloro che sono assetati di speranza e di amore»(3). Questa stessa umanità, infatti, è contrassegnata dalla ricerca del religioso o del sacro. Non è difficile costatare che l’uomo d’oggi è alla ricerca di nuove spiritualità, religioni e filosofie capaci di dare una risposta al senso dell’esistenza. La domanda spirituale che si credeva ormai tramontata, è chiaramente percettibile anche nella nostra società occidentale. Gli itinerari sono molteplici, le proposte tra le più svariate e inaspettate, a tal punto che sembrano talvolta inintelligibili se non addirittura incoerenti, aprendo le persone al rischio dello spiritualismo e del sincretismo religioso(4).
Molti contenuti che si convertono in un fattore importante per il cammino spirituale del cristiano del nostro tempo, provengono da espressioni culturali orientate allo studio e all’impegno nella soluzione dei problemi del mondo attuale.
È indicativa, per esempio, l’espressione culturale delle Carovane, che consiste in una manifestazione culturale che ha come filo conduttore la conoscenza del mondo in cui viviamo, per mezzo d’incontri con testimoni e autori di saggi, racconti e raccolte di poesie significativi che caratterizzano il nostro tempo. È una corrente culturale che va alla ricerca delle cosiddette Città invisibili: espressione che richiama la necessità di svelare i molti mondi possibili al di là della nostra cultura e del nostro sistema sociale occidentale.
Si scopre così come i paesi del Sud del mondo c’insegnano prospettive diverse, testimoniano di altre priorità, apportano un nutrimento vitale al nostro sapere e mettono in questione i nostri stili di vita. Nasce così una corrente di spiritualità laica, che va in cerca di un nuovo umanesimo; essa si propone di formare persone “riconciliate con se stesse, con gli altri e con la natura, capaci di pensare e di vivere in maniera diversa, per portare l’umanità da una situazione di estrema competitività ad una situazione di estrema solidarietà”.
In questo contesto, entrano i temi quali “sviluppo, ambiente, pace”, la lotta contro le grandi emergenze sanitarie e ambientali, contro l’indigenza di milioni di esclusi dalle leggi dell’economia moderna; la cooperazione internazionale, il mercato equo e solidale, ecc.
In questo stesso contesto, entra anche la ricerca del silenzio come «uno spazio necessario per ritrovare la nostra identità, per non perderci in sterminati campi incolti dove i sogni, come le piante, inaridiscono e muoiono», perché in «questa nostra età tanto progredita tecnologicamente e tanto umanamente regredita, (…) la nostra vita scorre in mezzo al chiasso, tra fiumi di parole spesso inutili che servono solo a coprire le nostre incertezze, il disaggio interiore quando siamo a contatto con gli altri». È tempo quindi «di rivalutare il silenzio: esso solo ci consente di ritagliare spazi di buonsenso per non essere travolti dal ritmo incalzante dell’arroganza dilagante, per intrecciare un dialogo sereno con noi stessi e con gli altri»(5).
Nel campo più specifico della spiritualità cattolica si propone una spiritualità che punta a formare «l’uomo trascendente»(6), «una spiritualità della politica»(7). Questa sfocia nella virtù della «carità politica», cioè nella passione per l’uomo, come impegno per promuovere i suoi diritti fondamentali, la giustizia e la pace, sottolineando la dimensione sociale del Vangelo; nella «carità cosmica», cioè aperta all’amore del creato; nella «carità intellettuale», cioè aperta alle diversità culturali, impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso, nell’annuncio del Vangelo nella prospettiva dell’evangelizzazione delle culture, ecc.
La risposta a questo scenario così stimolante «viene a noi credenti dal Vangelo. È Cristo il nostro futuro e il suo Vangelo è comunicazione che "cambia la vita", dona la speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell'umanità e dell'universo (cfr Spe salvi n. 2).
San Paolo aveva ben compreso che solo in Cristo l'umanità può trovare redenzione e speranza. Perciò avvertiva impellente e urgente la missione di "annunciare la promessa della vita in Cristo Gesù" (2Tm 1,1), "nostra speranza" (1Tm 1,1), perché tutte le genti potessero partecipare alla stessa eredità ed essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo (cfr Ef 3, 6). Era cosciente che priva di Cristo, l'umanità è "senza speranza e senza Dio nel mondo” (Ef 2, 12) - senza speranza perché senza Dio (Spe salvi, 3)». In effetti, «chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (Ef 2, 12) (ivi, 27)»(8).
L’umanità di oggi, per entrare in un autentico cammino di liberazione redentrice, ha bisogno di uomini nuovi, di “figli di Dio”, che attingendo all'amore di Cristo "l'attenzione, la tenerezza, la compassione, l'accoglienza, la disponibilità, l'interessamento ai problemi della gente"(9), promuovano un mondo nuovo.
Occorrono “uomini nuovi per un mondo nuovo”. Questi uomini nuovi sono quelli che nascono dall’incontro con il Cuore di Cristo trafitto sulla Croce, in cui Dio rivela pienamente il suo amore per il genere umano. Un amore che diventa modello e dinamismo d’amore per la crescita integrale dell’uomo.
Noi Missionari Comboniani, per dono di Dio, abbiamo scelto di appartenere a un gruppo di “uomini nuovi”, nati sotto la guida di san Daniele Comboni dall’incontro personale con il Cuore trafitto di Cristo Buon Pastore, che diviene epicentro nello sviluppo permanente della vita e libertà interiori di ciascun missionario, corroborato nella condivisione dei beni spirituali nella comunità (Cfr. RV 99; 81-85).
Dalla novità che sgorga dall’incontro continuo con il Signore Gesù, nasce in noi la nostra identità di evangelizzatori del mondo di oggi, che si esprime nel progetto di lasciare tutto e dedicarci completamente e incondizionatamente a spargere nel mondo, assetato di speranza e d’more, il profumo della carità di Cristo (cfr. RV 3-5).
Le note che seguono sono un tentativo di sottolineare i tratti essenziali dell’evangelizzatore, uomo nuovo e figlio di Dio, e della novità di vita che egli è chiamato ad annunciare e proporre.
1. L’evangelizzazione non tollera la manipolazione ideologica né l’industrializzazione
Per noi Missionari Comboniani, in virtù del dono della vocazione, l’evangelizzazione è la ragione della nostra vita. Essa ci fa “prigionieri di Cristo per i gentili” (Ef 3,1), ci spinge quindi verso i lontani che non conoscono ancora Cristo, o non ne hanno sperimentato ancora l’amore liberante (RV 20; 46; 56; 60-61), consapevoli che non è un vanto predicare il Vangelo, ma un compito e una gioia (cfr. 1Cor 9, 16).
Questo compito e questa gioia sono in noi l’eco dell’esperienza degli Apostoli, in particolare di Paolo, che tanto ha influito nell’ “impeto” apostolico di san Daniele Comboni.
Paolo, infatti, «sulla via di Damasco aveva sperimentato e compreso che la redenzione e la missione sono opera di Dio e del suo amore. L'amore di Cristo lo portò a percorrere le strade dell'Impero Romano come araldo, apostolo, banditore, maestro del Vangelo, del quale si proclamava "ambasciatore in catene" (Ef 6, 20). La carità divina lo rese "tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Cor 9, 22). Guardando all'esperienza di san Paolo, comprendiamo che l'attività missionaria è risposta all'amore con cui Dio ci ama. Il suo amore ci redime e ci sprona verso la missio ad gentes; è l'energia spirituale capace di far crescere nella famiglia umana l'armonia, la giustizia, la comunione tra le persone, le razze e i popoli, a cui tutti aspirano (cfr Enc. Deus caritas est, 12). È pertanto Dio, che è Amore, a condurre la Chiesa verso le frontiere dell'umanità e a chiamare gli evangelizzatori ad abbeverarsi "a quella prima originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (Deus caritas est, 7)»(10).
Benedetto XVI, in sintonia con lo slancio missionario degli Apostoli, ricorda a tutta la Chiesa e ribadisce:
- che resta necessaria e urgente la prima evangelizzazione in non poche regioni del mondo;
- che il mandato di Cristo di evangelizzare tutte le genti resta una priorità, poiché «il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la vita e la missione essenziale della Chiesa» (Ev. Nunt., 14);
- che la Missione «è ancora agli inizi e noi dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio (RMi, 1)»;
- che «oggi sono innumerevoli coloro che attendono l'annuncio del Vangelo, coloro che sono assetati di speranza e di amore».
E conclude affermando che «quanti si lasciano interpellare a fondo da questa richiesta di aiuto che si leva dall'umanità, lasciano tutto per Cristo e trasmettono agli uomini la fede e l'amore per Lui! (cfr Spe salvi, 8)»(11).
Il nostro posto nella Chiesa, per tanto, è tra quanti si lasciano interpellare a fondo da questa richiesta di aiuto e consacrano la loro vita a Dio per portare il suo Nome alle nazioni (RV 20; 46).
Tuttavia, nell’attuale momento storico, ognuno di noi, in grado diverso, riceve l’influsso di varie tendenze, come
- l’ambizione che uno si possa gestire da sé, in modo autonomo, e ordinare la sua vita secondo il proprio calcolo e progetto;
- il relativismo e l’indifferenza religiosa, che svuota di significato e di attrattiva il trascendente, riducendolo a ornamento o tornaconto personale;
- una mentalità naturalista, che si limita a prendere in considerazione le realtà intra-mondane (psichiche e sociali), giudicandole uniche e assolute, e che esclude la glorificazione escatologica.
Le scienze che studiano la vita umana individuale e associata sono prevalentemente naturalistiche, si limitano all’immediato, a ciò che è evidente e si può provare positivamente. Ci trasmettono regole e schemi molto “intelligenti”, ma a volte poco “sapienziali”, cioè prive di un autentico approccio alla vita “nel e secondo lo Spirito”. Ci si allontana così da quella capacità di “autotrascendenza” almeno potenzialmente presente in ogni persona umana, che spinge alla ricerca del Volto nascosto, e dalla visione cristiana della vita come pellegrinaggio verso l’Eternità (cfr. Regole 1871, cap. X).
Con molta facilità e senza renderci conto, questo contesto ci può portare ad un comportamento di tipo materialista e relativista nella comprensione e pianificazione della nostra stessa vita consacrata e dell’attività evangelizzatrice. È da tener presente che queste tendenze influiscono in modo diverso secondo l’età delle persone e le esperienze culturali. Allora le nostre discussioni, la ricerca di soluzioni, le conclusioni sull’attività evangelizzatrice effettuate in un clima non autenticamente “spirituale”, finiscono per creare in noi una mentalità impresariale e amministrativa, come se si trattasse di un’associazione con finalità soltanto efficientiste, frutto delle capacità di negoziato fra varie correnti.
Così corriamo il rischio di manipolare e industrializzare l’evangelizzazione e di trasformarci in suoi funzionari. Una volta entrati in questa logica, si afferma facilmente l’individualismo e il protagonismo, e quindi diventa una necessità il principio del “divide et impera”, per cui si trova la giustificazione per ogni iniziativa prettamente personale. Il risultato è quello di portare noi stessi e le persone che pretendiamo evangelizzare all’esperienza della Torre di Babele, invece di quella del giorno di Pentecoste a Gerusalemme.
In effetti, a Babele gli uomini, con atteggiamento orgoglioso ed egoista, volevano costruirsi una città e farsi un nome promovendo una unificazione massificante ed oppressiva, e così hanno provocato la confusione delle lingue e la dispersione dei popoli (Gen 11,1-9); mentre a Gerusalemme, quando lo Spirito scende, popoli diversi sentono i discepoli parlare la propria lingua e riescono a capirsi e a comunicare le grandi opere di Dio. Nel cuore delle persone, lo Spirito sposta il centro di interesse: ormai non è più la ricerca egoista di sé stessi o il farsi un nome, ma tutti parlano un unico linguaggio, annunciando tutti la stessa gioia, quella della partecipazione all’amore redentore di Dio svelato e donato ad ogni creatura nel Nome di Gesù, Crocifisso-Risorto; la loro vita ormai gravita su questo Nome, che è al di sopra di ogni altro nome e che è al centro della vita dei cristiani, della loro preghiera e della loro missione.
Allora si comincia a vivere con la disposizione interiore con cui Gesù si è consegnato al Padre e ai fratelli; si comincia a vivere ogni istante di vita con la sua passione d’amore. La vita, raggiunta dalla forza dell’amore del Crocifisso-Risorto, cioè dalla logica pasquale, diviene una lenta e interminabile gestazione dell’uomo nuovo, «riflesso» della luce di Cristo per gli uomini del nuovo secolo e del nuovo millennio (cfr. NMI 54).
2. L’evangelizzatore da agli uomini il Dio di Gesù Cristo
Evangelizzare è anzitutto lasciarsi amare e abitare da Dio e irradiare questa Presenza con la vita e la parola davanti agli uomini e le donne che la Provvidenza pone sul nostro cammino.
Questo è il dono che le persone, coscientemente o incoscientemente, aspettano sempre dall’evangelizzatore. C’è infatti in ogni persona un istinto profondo messo nel suo cuore dallo Spirito Santo, che la spinge a uscire da sé e ad aprirsi all’accoglienza dell’Altro a cui perdutamente affidarsi. Dio non è un prodotto della psiche umana, ma elemento antropologico costituivo dell’essere umano. Per questo, gli uomini, nonostante le apparenze, non lasceranno di cercare il Volto di Dio. L’uomo continua a cercare l’Assoluto e nel suo faticoso cammino ha bisogno di chi gli riveli il Volto del Signore.
«Il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'Invisibile. Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell'uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda» (E N 76,9).
L’evangelizzatore è quel cristiano che vive intensamente davanti agli uomini il fatto di essere figlio di Dio-Padre ed è disposto ad aiutarli a incontrare il Volto di questo Dio, camminando insieme, mano nella mano con loro, verso Colui che è il Tutto della vita (Sir 43,29).
«Se tutti gli uomini volessero mettersi in cammino verso Dio - nella speranza di vedere, di sentire, di toccare ciò che la fede fa già loro intravedere - la terra non sarebbe per ciò stesso trasformata in un immenso monastero. Al contrario. L'universo sarebbe ancora più traboccante di attività umane.
Ci sarebbero sì ancora coloro che andrebbero a nascondersi nella solitudine; ma l'intera umanità continuerebbe ad occuparsi, più a fondo ancora, di questa terra e di questa umanità divenute entrambe trasparenti alla presenza e all'attività divine. L'umanità sarebbe più attiva e più contemplativa, e Dio si prenderebbe il gusto di venire alla sera, dopo il lavoro, a conversare con gli uomini. Le giornate non sarebbero come queste grigie domeniche dalle messe tristi e dalle predicazioni vuote e senza sale.
Ci sarebbero ancora nel mondo delle cadute e dei peccati; ma ci sarebbe grande gioia nell'esaltazione dell'atto creatore del Signore: la realizzazione dell'opera creatrice sarebbe, nella sua integrità, tanto di Dio quanto dell'uomo... Ma non c'è dubbio che sia un sogno lontano per tutta l'umanità. Ragione di più perché coloro che ne sentono il desiderio cerchino ancora più ardentemente il volto di Dio.
Molti uomini cercano Dio, ma molti di più lo cercherebbero se sapessero come fare. Essi hanno forse cercato senza trovare. Alcuni si lasciano sedurre da metodi aridi e ardui che promettono loro la pace dell'anima e un'illuminazione assai problematica...
C'è tuttavia un maestro più sicuro di Cristo? Il suo metodo è semplice. Esso richiede meno esercizi e più amore»(12).
Dio e Cristo, il Maestro sicuro per arrivare a Lui! Ecco il Tutto della Chiesa e quindi dell’evangelizzatore.
Evangelizzatore è solo colui che non cessa di supplicare: «Indicami la tua via, così che io ti conosca, e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa gente è il tuo popolo» (Es 33,13); colui che è divorato da un unico desiderio: «Mostrami la tua Gloria!» (Es 33,18); colui che è innamorato di una unica ricchezza: Dio (Mt 13, 44-46) e che alimenta un'unica passione: Cristo (2Cor 5,6; Fil 1, 21-23); colui che è interessato ad un unico progetto: che tutti siano uno in Dio (Gv 17,21) e la cui vita grida il Vangelo.
L’evangelizzatore, per il fatto di vivere sommerso in questo Ambiente Divino, non lascerà di occuparsi delle grandi sfide del mondo di oggi, già ricordate, e vigilerà contro la tentazione dello spiritualismo, senza lasciar mai di essere veramente “spirituale” in tutta la sua attività.
Il termine “spiritualismo” designa quell’atteggiamento del cuore che non prende tutta la persona, tutta la vita e il suo ambiente come realtà che deve essere trasformata e rigenerata in Cristo, ma immagina che deva agire soltanto in qualche cantuccio dell’anima.
Persona “spirituale” nella Chiesa è colui che vive “nel e secondo lo Spirito di Dio”: è un modo di vivere che abbraccia corpo, anima, spirito, aspirazioni, sofferenze, attività; un fatto globale che si riferisce alla persona umana integrale e ad ogni tipo di relazione umana.
Persona “spirituale” è colui che ha raggiunto il superamento della barriera tra il sacro ed il profano. Tale superamento non è dovuto ad un calo di coscienza della distanza incolmabile tra Creatore e creatura; al contrario, si fonda sulla certezza che Dio è il mio Signore di misericordia, il mio personale potente Salvatore, perciò egli non può non essere il Signore di tutta la mia realtà, anche la più povera, la più umile, la più terrestre, la più malata: anzi è mio Signore fin dentro il mio peccato. Per questo, l’uomo “spirituale” non stabilisce graduatorie tra cose più o meno spirituali e cose più o meno materiali e non vede molta differenza tra il culto liturgico e l’attività di promozione umana, tra andare ad un ritiro e prestarsi nei piccoli lavori domestici…
Il vero problema, invece, per la persona spirituale è discernere la volontà di Dio in un preciso momento della sua vita, “perché Dio è Dio, e non sempre le sue vie e i suoi pensieri sono le nostre vie e i nostri pensieri” (cfr. Is 55,8)(13).
3. L’evangelizzatore dona Dio agli uomini, accogliendo nella propria vita Gesù, dono del Padre
L’evangelizzatore, abitato da Dio, non inventa la Buona Notizia da se stesso, né la riceve dagli uomini, ma dallo stesso Dio nella comunità ecclesiale, il cui Capo è il Signore Gesù.
Il Padre non comincia imponendogli qualcosa da dire, ma si autocomunica a lui nel suo Figlio, Gesù Cristo.
Nel nostro tempo, le persone aspirano profondamente a trovare il senso della vita. La cultura di massa promossa dal capitalismo e dal socialismo materialisti, continuano a ridurre le persone a funzioni, a pedine di un gioco, a pezzi di una macchina, di un sistema, che impedisce di assaporare la vita; le mete da raggiungere mediante le persone sono l’efficienza in vista del nuovo ordine economico…
La meta primordiale del cristiano e, per titolo peculiare del missionario religioso, è accogliere nella propria vita il Figlio di Dio, che si offre ubbidiente al Padre per la salvezza di tutti, rivelando agli uomini che Dio-Padre ama ogni persona con amore gratuito e misericordioso (cfr. Rom 8, 31-39).
L’evangelizzazione, per tanto, non è una strategia, ma una Persona, Gesù Cristo, accolto gioiosamente nella mia vita e da me irradiato nel mondo.
Il compito del missionario e di ogni cristiano è vivere in Cristo, lasciarsi vivere da Lui, e convertirsi così sempre più in persona-lettera, nelle quale Dio Padre da al mondo Gesù, o in persona-via, per mezzo della quale Dio arriva fino agli estremi confini della terra per essere il Dio-con-noi nel Figlio Gesù.
Evangelizzare, allora, è proclamare con la vita prima di tutto e sempre che vivere è un dono del Padre, un dono che Egli ci da ogni momento in Cristo Gesù. È un dono sempre nuovo secondo la ricchezza infinita di Dio che si da a noi nel Figlio e la limitazione umana con capacità di apertura verso l’Infinito; un dono, per tanto, che deve essere accolto costantemente e che, una volta accolto, suscita stupore, meraviglia, rendimento di grazie, gratitudine, lode; contemporaneamente crea un atteggiamento di povertà e di infanzia spirituale; fa crescere nella libertà, nella gioia e nella speranza; toglie ogni pretesa nei confronti di Dio e la durezza verso il prossimo; introduce nel mondo delle Beatitudini, dove né la persecuzione né la sofferenza riescono a togliere la gioia.
Il frutto dell’accoglienza costante de Figlio di Dio nella vita dell’evangelizzatore è precisamente la Beatitudine, l’atteggiamento gioioso di chi vive tutta l’esistenza ed ogni avvenimento come dono del Padre e impegno verso i fratelli in vista della costruzione del Regno di Dio, come avvenimento nel quale Dio gli fa il dono gratuito di se stesso, comunicandogli la vita e la missione in Cristo Gesù.
Allora essere evangelizzatore è trasformarsi gradualmente in una sequentia Sancti Evangelii, cioè in una pagina viva e aperta del Vangelo, nella quale tutti sanno leggere e capire Gesù Cristo, anche gli analfabeti, perché è un linguaggio esistenziale, detto quindi non tanto con le parole ma nel vissuto della vita.
In questo modo l’evangelizzazione diviene entusiasmante e rivela le infinite ricchezze del Cuore di Gesù Buon Pastore agli uomini di oggi; fa dell’evangelizzatore un segno e un testimone della vita del Signore Gesù, l’unico in cui si trova la salvezza, giacché non è stato dato agli uomini sulla terra altro Nome nel quale possano essere salvati (Cfr. At 4, 1-12).
Tuttavia, per l’evangelizzatore, essere segno trasparente della salvezza di Dio, presente e operante in lui, non significa essere impeccabile. Quando, per tanto, si riconosce peccatore e lontano dall’essere trasparenza viva del Figlio di Dio, supplica con fiducia e sofferenza il Signore, “ricco in misericordia”, chiedendogli perdono e la guarigione del cuore ferito. Appena si mette in questo atteggiamento, è già segno di salvezza per gli uomini peccatori: testimonia, infatti, che crede in Dio e non in se stesso e manifesta agli uomini fragili come lui, il perdono e la misericordia che Dio Padre gli da in Cristo Gesù. Questa testimonianza è ancora più luminosa quando è accompagnata dall’amore e dal perdono comunitario, quando è frutto che nasce in una comunità di fratelli che si amano e perdonano.
Così l’Unico Inviato, l’unico Dono di Dio Padre all’umanità, Gesù Cristo, stando presente in modo peculiare nell’evangelizzatore, in lui si mette a disposizione di tutti gli uomini, per farsi Dono e Beatitudine in ciascuno che lo voglia accogliere, finché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,18).
4. L’evangelizzatore segno di continua conversione e rinnovamento nel Signore Gesù
L’evangelizzatore accoglie costantemente il Figlio di Dio nella propria vita e rivela le infinite ricchezze del suo Cuore divino al mondo, quando vive la sua conversione a Gesù come un evento assolutamente personale.
La conversione, infatti, è “a Gesù”, non ai valori cristiani o al cristianesimo. È un evento assolutamente personale, che permette al discepolo di rivolgersi con verità a Cristo, riconoscendolo e proclamandolo come “il mio Signore Gesù”.
Questo rapporto personale, diretto, con il suo Signore, è l’obiettivo che il credente deve ricercare come centro della sua vita.
La condizione e il segno di questo incontro è la “trafittura del cuore” (At 2,37), cioè l’intima coscienza della salvezza ottenuta “per me” dalla morte del Signore che “io stesso” ho ucciso con il mio peccato.
Il rapporto personale con il Signore Gesù nasce dunque dall’annuncio kerigmatico di Pietro: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36).
Finché l’evangelizzatore non si riconosce in quel “voi”, non può entrare, rimanere e crescere in una intima conoscenza di Gesù. La salvezza di Gesù è per me che l’ho crocifisso. Il mio essere uccisore è paradossalmente la mia salvezza. Se accetto di essere l’uccisore di Gesù e sento trafiggermi il cuore, egli diviene il mio Signore che mi da la vita e quindi ho un salvatore da annunciare.
Questo paradosso terribile è l’evento che scatena in me e mi mantiene nella vera e continua conversione, la quale è vissuta non tanto come una comprensione intellettuale o come impegno etico-pratico, ma anzitutto come una dolorosa-gioiosa “trafittura del cuore”. Un colpo al cuore che scuote tutta la mia esistenza e dal quale, solo, può scaturire la vita rinnovata sotto il signorio di Gesù (cfr. 1Tim 1,12-17).
Così vivere in stato di continua conversione al Signore Gesù come frutto della “trafittura del cuore”, di cui parlano gli Atti degli Apostoli, diviene il segno e il sigillo della conversione e dell’appartenenza al Signore Gesù, a questo Gesù da me crocifisso e da Dio costituito Cristo e Signore.
Allora il volto di Gesù che traspare nella vita e nelle parole dell’evangelizzatore è nello stesso tempo tenero e misericordioso, forte e glorioso. Gesù appare in lui, anzi tutto, come il chinarsi di Dio sulla sua persona, il suo Salvatore potente, colui che nessuno e niente, nemmeno il peccato, può separare da Lui (cfr. Rom 8,31-39.
Succede, allora, che di fronte al peccato il discepolo di Gesù non si scandalizza, ma si riempie di compassione verso il peccatore e gli annuncia l’urgenza della conversione mosso dalla sua stessa esperienza di conversione.
La tenerezza di Gesù non è tuttavia un alibi per una vita appagata, alienata in una immagine di Dio rassicurante e tranquilla.
Gesù nella sua tenerezza non è un ingenuo e indifferente bonaccione, ma il condottiero energico della grande battaglia dell’uomo contro il male e il peccato, contro ogni meschinità, cattiveria e menzogna: la battaglia della santità.
Gesù è il Crocifisso-Risorto, il Signore glorioso, Colui che Dio ha costituito Signore, che continua a compiere nella vita dell’evangelizzatore lo straordinario passaggio dalla morte alla vita, quella insperata e incredibile risurrezione narrata da Ezechiele nella visione delle ossa aride (Ez 37,1-10), di cui è protagonista lo Spirito Santo, perché allo Spirito e solo a Lui appartiene il prodigio della risurrezione.
Protagonista, per tanto, di questa conversione al “mio Signore Gesù” è lo Spirito Santo. Il medesimo Spirito creatore che aleggiava sulle acque; lo stesso Spirito che anima, ispira, conduce, guida i grandi personaggi biblici: Gesù compreso. A questo Spirito appartiene il potere di farci riconoscere il crocifisso Gesù come il Signore, il Kyrios, permettendoci di dire: Gesù è il Signore (1Cor 12,3). Questa espressione che costituisce la fondamentale proclamazione di fede, la sintesi di tuta la rivelazione biblica, coinvolge l’anima cristiana e la spinge a gridarla in ogni suo annuncio e a testimoniarla nella vita vissuta.
Questo Spirito, per tanto, opera nell’evangelizzatore il prodigio del continuo passaggio dalle distorsioni di una vita centrata su se stesso alla vita piena nel Signore Gesù.
Sotto l’azione dello Spirito, nel cuore dell’evangelizzatore Gesù è vissuto come il Signore glorioso, che lo attira dall’alto della croce come un amante (“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”, Gv 12 32), come una mèta, come una vetta del monte, come il più intimo degli amici (cfr. Gv 15,12). Più questa azione è intima e forte, più Gesù appare glorioso e refrattario a qualsiasi riduzione che l’uomo tenta sempre di fare con Dio per trasformarlo in idolo: il grande peccato biblico che sta sempre in agguato….
Per questo, la dimensione della “gloria” è imprescindibile nell’incontro con la persona di Gesù; mai Gesù potrà essere ridotto a una ideologia, a un sistema di pensiero o ad un comportamento etico. Gesù non è il completamento, il coronamento della nostra vita interiore, una specie di supporto per alzare il livello della nostra statura spirituale o del nostro impegno per gli altri e farci così compiacere di noi stessi.
Una tale riduzione è paragonabile al gesto di uccidere di nuovo il Figlio di Dio ed esporlo all’ignominia (cfr. (Eb 6,6).
Quando l’evangelizzatore non vive nel dinamismo della conversione al suo Signore Gesù, allora diviene incapace di evangelizzare con efficacia, cioè di offrire Gesù al mondo come unico Signore e Salvatore. La testimonianza evangelica non è trasparente; non si vede che la salvezza di Dio in Cristo Gesù è a disposizione ed è offerta nella persona dell’evangelizzatore. Le persone non captano più l’annuncio che Dio si da e perdona in Cristo Gesù: questa è la prima affermazione che faccio con la mia vita e le mie parole, quando mi sottraggo alla grazia della conversione, che mi spinge verso la “sublime conoscenza di Gesù Signore” (Fil 3,8) e così non permetto che Cristo viva in me con trasparenza e intensità.
Allora succede che le persone capiscono cose sbagliate per il modo con cui io vivo la mia relazione con Gesù: possono capire che Dio è uno sfruttatore crudele, un padrone esigente ed austero che mi condanna al vuoto del cuore e allo stesso tempo mi esige risultati immediati ed esteriori, che premia la mia capacità di lavorare indipendentemente dalla situazione del mio cuore in rapporto a Lui, che è incapace di dar senso alla mia vita, giacché non riesce a rinnovare realmente il mio cuore, a colmare di senso la mia vita e illuminarla di gioia.
Quando l’evangelizzatore si rende conto che non sta vivendo con libertà e gioia la sua vita di discepolo missionario, ciò che deve fare è chiedere perdono a Dio con umiltà e povertà. Allora, ancor prima di essere guarito totalmente dal suo peccato, si trova già nell’atteggiamento corretto di chi è salvato da Dio e discepolo del Signore.
In chi vive questo atteggiamento gli altri vedranno che Dio è misericordioso, salva e rigenera, e così saranno evangelizzati da questo “frutto dello Spirito” che è la conversione.
Al contrario, se continua a predicare e a moltiplicare “opere”, senza vivere il dono di Dio, gli faranno capire che è potente e importante, ma non entreranno in contatto e non approfondiranno la salvezza di Dio, rimanendo nella superficialità religiosa o nell’angoscia dei loro cuori. Ovviamente questo cammino di conversione rimane incompleto, se gli manca la dimensione comunitaria.
5. Liberazione umana ed evangelizzazione
Alla luce delle anteriori puntualizzazioni sull’identità dell’evangelizzatore e sulla natura dell’evangelizzazione, è chiaro che l’attivismo esteriore orientato all’efficientismo, non è liberazione o promozione umana, ma distruzione umana di se steso e degli altri che si pretende liberare (cfr. MR 15). Esiste un’attività, che se non è realizzata in un vero clima “spirituale”, fa violenza alla stessa persona che la svolge, portandola o alla frustrazione (stress, depressione…) o alla esaltazione (esibizionismo, protagonismo), e tradisce il prossimo. L’autentica promozione umana è crescita integrale di entrambe le persone che intervengono nel processo; è un problema di qualità di vita, non di quantità, che riguarda l’evangelizzatore e l’evangelizzato; tende a comunicare tutta la vita che Cristo è venuto a portare in abbondanza, tenendo unite tutte le grandi dimensioni del mistero della persona umana: «la sua origine, la sua natura biologica e configurazione spirituale, il suo destino per l’eternità e il suo legame con il tempo e la storia, la sua aspirazione alla vita e all’amore, la realtà quotidiana della morte e dell’odio» (Stima di sé e kenosi, p. 5).
Alla persona umana, riconosciuta nella sua dignità e libertà, è necessario che l’evangelizzatore doni anzitutto se stesso, amandola in Cristo. Quando l’evangelizzatore dona se stesso, spinto dalla presenza di Gesù in lui, allora si può stancare e sentire il peso del lavoro che svolge, riconoscerà la sua fragilità e troverà i tempi e i modi per riprendere le forze; ma mai crollerà disfatto né frustrato né amareggiato o privo di speranza e di vita; mai sarà alienato a causa del successo. Trova, infatti, pace e gioia nella consegna di sé incondizionata e amorosa, per mezzo della quale si prolunga nel tempo e nello spazio la consegna di Gesù al Padre e agli uomini (Cfr. Lc 22,14-20).
Tutto il resto verrà come conseguenza e sviluppo della vita in Cristo, in forma appropriata, secondo le esigenze delle circostanze.
6. Il messaggio di padre Aleksandr Men' (1935-1990) (14)
Il 19 settembre 1990 veniva assassinato a colpi d'ascia, accanto alla sua casa sulla strada che portava in chiesa, padre Aleksandr Men', prete ortodosso infiammato d'amore per Cristo.
Nato a Mosca il 22 gennaio 1935 in una famiglia di origini ebraiche, venne battezzato a sette mesi in una chiesa catacombale tenuta da un gruppo di credenti che rifiutavano di collaborare con le autorità sovietiche.
Nel 1958 fu espulso dal collegio a motivo delle sue convinzioni religiose. Ordinato prete nel 1960, cominciò ad animare con immensa creatività un movimento di rievangelizzazione usando anche i moderni mezzi di comunicazione. Profondamente radicato nella tradizione della sua Chiesa seppe collaborare con i credenti delle altre confessioni cristiane, come pure essere attento a quelli di altre religioni: il suo amore per Cristo così come lo aveva respirato nella sua Chiesa lo rese capace di quel medesimo amore. Divenne presto una personalità di spicco soprattutto tra gli intellettuali; fu lui a fondare la Società biblica russa e ad aprire una università ortodossa. Il KGB si interessò a lui e soprattutto fu allarmato dalla Sua entusiasmante attività missionaria. Una frase era solita comparire sulle labbra sorridenti di padre Aleksandr Men': «Cristo ci obbliga a "sentire Dio vicino», perché come prega la divina liturgia bizantina «colui che è presente in ogni cosa, ogni cosa porta a compimento».
A soli 12 anni intuisce, quasi per contrasto con le pressioni comuniste, la sua vocazione al sacerdozio come servizio ad assicurare la signoria di Cristo sul mondo a partire dal proprio cuore. Se è chiaro il terribile contrasto tra l'ideologia comunista e il mite messaggio del vangelo di Gesù Cristo, è ancora più chiaro per quest'uomo di Dio che il combattimento contro le incarnazioni storiche di una logica contraria a quella del Vangelo comincia nel proprio cuore e nella risoluzione a scacciare dalla propria interiorità le passioni negative per dare lo spazio principale - il più bello, come avviene per le icone nelle case dei credenti ortodossi - proprio al Cristo quale unico Signore della storia.
Infatti, se si dimentica il male che tenta di dominare nel proprio cuore, si rischia di esaurirsi nella critica senza convertire la propria vita e, così facendo, senza dare il proprio apporto alla conversione del mondo.
Al cuore della sua spiritualità troviamo una sensibilità particolare verso la bellezza della vita che riteneva come una realtà affascinante, tanto da ripetere a quanti - giovani e vecchi - lo ascoltavano: «Tutto è gioia, anche il sacrificio». Secondo la migliore tradizione ortodossa, sapeva parlare alla mente interessando il cuore. E in questa modalità seppe preparare i tempi nuovi senza coinvolgersi in nessuno schieramento, ma cercando di essere totalmente assorbito dal suo compito che era quello di preparare un angolo a Cristo nel cuore della Russia... un angolo che ora si va dilatando. Due chiese sono già sorte sul luogo del suo assassinio che da molti viene considerato un vero martirio, il cui aguzzino o aguzzini rimangono ancora sconosciuti. La sua preghiera forse lo ha accompagnato anche nel momento più solenne della sua vita: «Ti amo, Signore, ti amo più di ogni altra cosa al mondo, poiché tu sei la vera gioia, l'anima mia».
Corso di Rinnovamento, Roma Ottobre 2008
1. I Voti: un tesoro in vasi di argilla, p. 32
2. Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.
3. Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.
4. Jean Vernette, Nuove spiritualità e nuove saggezze. Le vie dell’avventura spirituale, Ed. Messaggero 2001
5. Cf Romano Battaglia, Silenzio, Rizzoli maggio 2005, luglio 20053
6. Cf Alberto Degan, L’Uomo trascendente. Progetto Missionario di Dio, EUROPRINT, Rovigo 2005
7. Cf: - Marco Guzzi, La nuova umanità. Un progetto politico e spirituale, Ed. Paoline 2005; 20052
- A. Riccardi, La Pace preventiva. Speranze e ragioni in un modo di conflitti, San Paolo 2004
- Giordano Frisino, Per una spiritualità della politica, Editrice Esperienze 1996
8. Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.
9. Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.
10. Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.
11. Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.
12. Da: Yves Raguin, Cammini di contemplazione, Gribaudi 1972, pp. 23-26.
13. Cfr. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, 1
14. L’autore di questo profilo biografico è fratel Michael Davide, in Messa quotidiana, EDB, Ottobre 2008