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P. Giampaolo Pezzi riferisce da Nairobi:

Nairobi 19 gennaio 2007.
In preparazione al Foro Sociale Mondiale (FSM) una cinquantina di comboniane e comboniani, rappresentanti di quasi altrettanti paesi, si sono riuniti nel Amani Center (Centro Pace). La riunione della sera 18 ha focalizzato le aspettative e le preoccupazioni dei rappresentanti in vista di questo FMS dal titolo provocativo: Un nuovo mondo è possibile. Le aspettative si cifrano in significative espressioni: credere che questo nuovo mondo è possibile, situarci nel contesto di questo movimento mondiale, risuscitare le vere motivazioni del sociale che sembra scivolare verso una strumentalizzazione commerciale, confrontarci con i gruppi che lavorano nel sociale con altre motivazioni che quelle missionarie, avere una visione della realtà che sia più vera di quella suggerita dai mass media, costruire contatti per costruire insieme questo mondo nuovo.
Le preoccupazioni sono altrettanto chiare e lapidarie: siamo in Africa ma una voce africana forte non si fa’ sentire, non rimaniamo nelle idee ma scendiamo ad esperienze concrete, i rappresentanti dell’America Latina dove questo movimento è nato sono assenti, c’è l’impressione che il FSM parta sempre dal centro del potere –la città- e che le paure della globalizzazione siano tutte “cittadine”, molti movimenti di fronte alle sfide immense del dominio del capitale danno segni di stanchezza, molti discorsi del FSM non toccano le realtà locali dove siamo immersi.
Questa mattina nell’Eucaristia iniziale, l’ex Superiore generale dei Comboniani, padre Pierli Francesco, ha messo a nudo queste preoccupazioni e attese intorno a due domande: Noi affermiamo la nostra speranza che un mondo diverso è possibile. Ma chi lo vuole questo nuovo mondo? Non certamente chi sta bene. E chi bene non sta? Nemmeno, gli oppressi spesso sognano piuttosto di prendere il posto degli oppressori, vogliono i loro privilegi: sognano di prendere il posto di chi comanda e non di cambiare il mondo.
Ecco quindi la seconda domanda: Come incamminare la nascita di questo nuovo mondo? L’icona non è certo quella del cambio, ma della risurrezione, quel far nuove le cose annunciato dal profeta Isaia. Quest’icona è una chiamata ad una vita semplice, spoglia che nega come morte la società costruita sull’economia del possedere.
L’atteggiamento di speranza del Comboni, in questo mondo nuovo, espressa nel suo Piano ci inspira ad evitare il semplicismo. C’è sempre il rischio di negare i segni del mondo che nasce per pregiudizi anche di tipo religioso: Marx nel suo Manifesto battezzava questa nascita, il Sillabo papale voleva sopprimerla; la voglia di sfondare le pareti per aprire il mondo alla nuova nascita si opponeva, per mancanza di un’analisi seria e oggettiva, ad una realtà che ormai si imponeva. Questa analisi concreta e profonda esige la capacità, che Comboni aveva, di stare in rapporto con tutte le iniziative e forze che di fatto favorivano la nuova nascita; e quindi una metodologia di lavoro e di programmazione che portino la riflessione all’azione: la più grande aspettativa delusa dei Fori fino adesso è quella del “concreto”. Il primo giorno della settimana le donne del Vangelo si avviano al sepolcro per ungere un Cristo morto; trovano che la pietra del sepolcro è già tolta: sentono in cuore invaso dall’angoscia, ma non fuggono, hanno il coraggio di guardano, vedono e dal loro cuore scaturire una gioia che fa’ risorgere e partire verso l’annuncio e l’azione liberatrice.


Nairobi 20 gennaio 2007.
L’incontro della mattina è stato diretto da Marcello Barros che ha presentato la problematica e la storia del Foro Sociale Mondiale. I primi 4 forum sono stati a Puerto Alegre: questo di Nairobi è il secondo fuori dal Brasile, dopo quello in India, e il primo in Africa.
E oggi il davanti della scena in Africa è occupato dalla Cina che dona soldi ai governi senza preoccuparsi dei diritti umani, degli investimenti per la scuola e la salute: la China è solo alla ricerca di materie prime per un miliardo di lavoratori: in Africa la globalizzazione sta cambiando di faccia.
Inoltre è da poco che l’Africa si apre alla problematica della giustizia e della pace: manca l’esperienza, lo spazio di lavoro, ed anche una solidarietà tra le ONGs che vada veramente nel senso della priorità data ai poveri. Ma comunque è questo per l’Africa un momento storico e lo è anche per noi comboniani: il secondo Sinodo per l’Africa assume le realtà sociali, è la prima volta che l’Africa può far sentire la sua voce attraverso il Forum ed è la prima volta che, in Africa, noi comboniani che ci troviamo per affrontare questi temi.
In questi giorni ci troveremo davanti a 1258 attività di gruppo previste: la Caritas si concentra su sette temi: debito, ragazzi di strada, baraccopoli, costruire la pace, pastorale dei gruppi minoritari, Aids, gioventù; il FSM si apre su 9 aree tematiche: pace, giustizia, etica e spiritualità; liberazione dalle multinazionali e dal capitale; accesso ai beni di base; democratizzare il sapere e l’informazione; dignità, diversità, uguaglianza di generi contro ogni discriminazione; economia, società e cultura di fronte ai diritti di tutti; autodeterminazione e diritti dei popoli; economia sostenibile; partecipazione e democrazia.
Ci sono una ventina di congregazioni di religiosi che stanno facendo la nostra stessa riflessione per arricchire con qualcosa di specifico la riflessione e l’azione. Purtroppo si pone il problema di come identificare le aree che ci interessano per poterci inserire. E questo fa’ parte della struttura stessa del Forum che non vuol dirigere la riflessione e l’azione di tutti verso scopi specifici ma essere uno spazio di dialogo e di contatti fra tutti.
Ed è così che, dopo la giornata iniziale con la marcia, i tre giorni centrali saranno organizzati ognuno in tre blocchi di lavoro: i primi due saranno auto generati dai partecipanti, il terzo sarà centrato sulla problematica sociale in Africa con tematiche precise proposte dagli organizzatori. In questo senso il Forum Sociale vuole essere anche Africano. Il quarto giorno poi, ci sarà l’incontro fra tutte le organizzazioni che lavorano nelle diverse aree per formare un network di collaborazione che possa continuare anche dopo il Foro. Ci sarà infine la giornata di chiusura con incontri, festività, discorsi e una maratona che passerà attraverso gli baraccopoli della città.
La domenica mattina, per chi vuole, ci saranno delle celebrazioni eucaristiche e festività condivise con le comunità delle varie aree di lavoro sociale: ragazzi di strada, aids, baraccopoli, eccetera.

Diverse e provocanti le domande poste a Marcello Barros. Scegliamo le più significative.

Chi c’è dietro questa organizzazione? E’ una organizzazione acefala ma di fatto c’è chi sceglie e decide cosa fare, dal momento che vediamo di tutto, dai gruppi gays a lobbying in favore della Palestina, da slogan contro Bush a cartelloni di sette religiose?
R/ C’è una commissione internazione che prepara ogni FSM: si tratta di otto organizzazioni che prendono decisioni necessarie. L’assemblea decide del prossimo posto di riunione. Preparano tutto, ma quando il FSM comincia non hanno più autorità. Fino al terzo foro la commissione facevano una lista di conferenze. A partire da là ogni attività è autonoma e basta inserirsi.

Si è sempre parlato di opzione per i poveri adesso tu parli di priorità. Con l’opzione i risultati sono stati nulli, forse perchè si è lasciata da parte quella classe di gente da cui nascono appunto i problemi. Adesso è una priorità?
R/ I movimenti di sinistra partono dai poveri ma non sono poveri. I poveri hanno bisogno del loro foro per esprimere se sé stessi, per questo i poveri nel forum diventano una priorità

Hai parlato di una spiritualità ecumenica: è un’idea piuttosto occidentale, mentre c’è di mezzo tutto il mondo islamico, induista.
R/C’è una imprecisione di linguaggio connotativi; in AL non c’è la differenza fra ecumenismo e dialogo interreligioso; per questo si parla di macro-ecumenismo: oikos, nel senso religioso e culturale, neri e indios. Dobbiamo ricuperare il discorso ecumenico come discorso cattolico, universale.

Che futuro ha il forum perché vediamo che l’impatto sulla società keniana non è solido e dalle previsioni di 100 mila partecipanti si sta scendendo a meno di 20 mila?
R/ Favorendo questi contatti mondiali speriamo nascano forum locali, gli unici che potranno veramente svegliare la coscienza dei popoli.

Cosa significa che il forum è profezia?.
R/ Dio non è religioso. L’evangelizzazione non è propaganda religiosa. La profezia del vangelo è la giustizia, la pace, l’economia solidaria, è il nuovo mondo dove la mensa di Dio sia più visibile, percettibile e a portata di tutti. Quindi il forum è profezia nel senso di portarci fuori dalla nostra chiesa: in Brasile, era la chiesa che predicava la giustizia, oggi sono gli altri che dirigono l’orchestra e questo fa ritornare la chiesa ad essere sale e sacramento del nuovo mondo possibile. E poi il forum è uno spazio libero di dialogo. Questo può generare anarchia o dare l’impressione di anarchia, ma in realtà mira alla autogestione. Anche il forum dei teologi per la prima volta è aperto a tutti, per la prima volta non ci sono conferenze. E’ un processo che si fa’: dobbiamo imparare la democrazia globale. Certo per certi aspetti ci vorrà una organizzazione: per lottare contro la produzione delle armi, ma lo spirito profetico sta nel vedere il nuovo mondo come una democrazia globale dove la autogestione costruisca comunione.



Nairobi, 21 gennaio 2007.
La giornata di sabato 19 è stata dedicata all'inaugurazione. Due i momenti salienti: la marcia e le manifestazioni nel parco Uhuru (Libertà). La marcia doveva essere una lunga camminata attraverso gli slums della città, alla fine si è ridotta ad una bella e festosa camminata di una oretta che ha intralciato il traffico di natura sua sempre convulsionato di Nairobi.
Subito si è notato un vuoto di organizzazione ed è stato bello vedere come i partecipanti prendevano possesso della manifestazione e la trasformavano in una grande sagra dei popoli. E questo è stato per cinque ore l'ambiente nel parco. Qualche raro cartello contro Bush, di qua e di là un paio di striscioni contro la guerra in Iraq, dappertutto magliette contro questo o quello -Aids, globalizzazione, armi, ecc.- o in favore di qualcosa -commercio equanime, diritti umani per tutti, uguaglianza di genero, ecc.- ma tutto sommerso da un'aria di festa: gruppi che si incontrano, nazionali che si ritrovano, lingue che si incrociano, fotografie che si accomunano. Un sole bruciante nell'altura di Nairobi fa' risplendere i colori di costumi tradizionali, divise d'occasione, striscioni e manifesti: africani, asiatici, latino americani, europei si susseguono alla tribuna in discorsi che nessuno ha l'aria di ascoltare, ma tutti applaudono aspettando la danza e il canto seguente. Un monaco buddista mi chiede di fargli la foto: Vengo dalla Tailandia biascica in inglese. Un gruppo di giovani si esibisce con esercizi acrobatici da palestra d'un collegio, ognuno prende il suo pasto a pic-nic o si compra bottigliette d'acqua dalle splendide ragazze che passano dappertutto con cesti anche di panini e caramelle.
Ogni tanto la domanda: Quanti saremo? Non più di 8 mila, dice uno. La radio parla di 40 mila. Impossibile, siamo abbondanti diciamo 10 mila. In realtà calcolo che saremo tra i 12 e i 15 mila perché un sacco di gente va e viene: perfino il discorso ufficiale di apertura, brevissimo tra l'altro, è interrotto dall'intrusione di duecento membri d'una setta religiosa che si fa' sentire a suon di tamburi e chitarre e sfila noncurante di quanto gli organizzatori
hanno previsto davanti al palco degli oratori. Alla fine, applauditissimo e non ascoltato come tutti farà il suo lungo discorso l'ex presidente zambiano Kaunda.
Degli slogan cercano di aprirsi cammino ma l'unico che trova eco è quello ufficiale del Forum. In alcune lingue dicono: Un mondo nuovo è possibile, ma si sente che predomina l'idea: Un mondo diverso è possibile. A poca distanza risuona il traffico rumoroso e inquinante dell'arteria che porta verso il centro città: ma qui la gente fa' festa. Non vuole un mondo aggressivo ma di pace, un mondo arrivista ma fraterno, un modo di contrapposizioni ma di inclusione: un mondo dove si ha fiducia nell'altro, ci si guarda in faccia senza paure né diffidenze. Questo mondo visto da qui appare veramente possibile. Poi sapremo che una donna attraversando la strada è stata uccisa da un matatu -i pulmini del traffico-, che un'altra è stata vista piangere disperata perché derubata da tutto; sotto un albero un poliziotto è assistito da un medico della manifestazione per un malessere improvviso.
C'è nella festa una insinuazione che si respira con l'aria sempre fresca di Nairobi anche sotto il sole cocente: c'è qualcosa che in tutta questa festa manca. Che cos’è?
Quando ci troviamo comboniane e comboniani la sera per condividere le nostre impressioni, questa impressione prende un nome: manca un soffio di spiritualità. Non parliamo di gesti religiosi, perché il forum vuole essere aconfessionale, e nemmeno di preghiere ecumeniche: è quel vuoto che fa' sentire meno umana la persona, che non permette l'audacia della speranza certa, che sminuisce il soffio di novità, che non rende sicuri che l'impossibile di un mondo diverso da quello che è diventi possibile.Forse anche per questo in Africa la voce dell'Africa è un po' assente, i poveri di cui si parla non si vedono nel foro; l'esperimento di far pagare la partecipazione perché l'evento non dipenda da finanziamenti sempre ambigui si ritorce contro loro: anche i cinque dollari, quota minima, tengono lontani la gente degli slums, è molto più che il loro guadagno giornaliero; poi bisognerebbe aggiungervi il trasporto perché gli eventi sono in periferia e il fatto che partecipare al forum vuol dire perdere la giornata di lavoro e qui i poveri sono tutti occasionali. La novità del mondo che cerchiamo esige molta più immaginazione, parecchia dose di coraggio, inventiva costruttrice che il forum nato all'insegna del "contro" e non dell' "essere con" deve ritrovare: è la spiritualità che gli manca.



Nairobi, 23 gennaio 2007.
Il Forum è entrato nelle sue attività: 1258 previste, riviste, ristampate; alle dieci mattina della domenica tutti sono ancora alla ricerca del programma definitivo. Cartelloni, posters,
foglietti, dépliants sono infissi dappertutto, distribuiti a mano, messi sui tavoli ad ogni angolo del bellissimo Moi International Sports Center di Kasarani. Le 24 entrate a diversi livelli sono state isolate da tende che trasformano gli spalti dello stadio in tante sale; sugli spazi della verde pelouse enormi tendoni raccolgono i grandi gruppi, in attesa degli incontri finali di programmazione, e nei grappoli di tendopoli che ricordano i crociati sono installati gli stands di iniziative particolari che vanno dalla propaganda governativa del Brasile al promozione di safari di lusso. I controlli sono minimi e riservati ai ragazzetti che hanno aria di vagabondi, l'ambiente è di festa, l'impressione quella di entrare in gran supermercato di iniziative, slogans, opinioni. Non dico idee, perché si ha la netta sensazione che le spinte ideologiche si stanno esaurendo.
La nascita di questo Foro Sociale a Davos come contro altare di quello Economico appare lontana. Lo spirito di dialogo e di apertura ha prodotto un gran frutto: i partecipanti al Foro se ne sono appropriati, le ideologie stanno finendo, sopravvivono qua e là, gruppi gay o comunisti, integralisti dell'ETA e attivisti palestinesi, ma è la persona che diventa protagonista: la povertà, l'oppressione, il disagio lascia spazio ai poveri, agli oppressi, ai disadattati.
La maggior parte dei partecipanti, soprattutto gli africani, sono in giro in questo supermercato curiosando, come chi non sa ancora cosa comprare, prende foto, domanda, ascoltando, entra in un gruppo, ne esce e cerca altrove. Su una collinetta stanno piantando una croce: il crocifisso è una donna incinta; sono attiviste, sono contro la contraccezione, se la prendono con il vaticano e propagandano il condor; ma guada caso sono tutti maschi quelli che piantano la croce, neri e bianchi. Ho in mano il loro splendido poster; un'africana di mezza età, dall'aria di popolana mi passa accanto e mi sbatte in faccia quattro parole in swahili pensando che non capisca: "Quelle lì ci stanno mettendo in croce; hanno un sacco di soldi per quella propaganda, che ce li diano per uscire dalla miseria degli slums".
Ieri sera ci siamo scambiati come al solito le nostre esperienze. Marcello Barros ci ha ricordato che già a Porto Allegre tempo si era sentito il vuoto di spiritualità nel Foro. Accanto a quello Sociale è nato così il Foro Teologico. Ci fu insoddisfazione: tutti teologi professionisti che sbarcavano da un aereo, pagati per fare una conferenza e poi se ne andavano. Qui a Nairobi il Foro Teologico è stato aperto a tutti. Però si stenta a capire che la riflessione teologica è come il pane: ogni credente lo sa masticare per nutrirsi e quindi accanto a tavole rotonde di scambi d'esperienza ci sono state anche conferenze e grossi nomi come Desmond Tutu. C'è chi si ostina a "fare teologia" cioè a trasformare l'esperienza religiosa in "cultura", che serve solo a chi la fa'. Qualcuno lamenta che è così anche della Teologia della Liberazione: Sobrino se ne fa' portavoce, se la teologia non diventa martoriale non produce cambi. Solo chi soffre capisce la sofferenza, si deve restituire al credente impegnato la sua voce, basta con voler essere voce degli altri, anche del povero.Mentre si svolgono le diverse attività, dei gruppi di danzatori attirano la gente, altri sfilano con i loro manifesti di protesta contro l'Aids, la povertà, la Coca-Cola, il consumismo, il tal partito: rullano tamburi e tam-tam, strillano gli slogans, il vento sull'altipiano di Nairobi fa' fremere le tende, ascoltare diventa difficile, i congegni di traduzione automatica funzionano sì e no, molti arrivano in ritardo per il traffico caotico. Provo a guardare il lato buono e vedo che è bello: la gente vuole vivere, non vuole essere dominata da ideologie, il potere che si impone sta dappertutto, in modo speciale in una mentalità che non vuole il diverso né il nuovo perché fa' paura.
Il Foro è iniziato ieri mattina, domenica, appena dopo letto il Vangelo di Luca: c'erano molti lebbrosi in Israele, e molte le vedove, ma non è, ma non loro videro il miracolo della misericordia, bensì dei non ebrei: un mondo diverso non può nascere che dalla diversità, dalla novità di Dio. Lo diceva Carlos dove aver conosciuto la sofferenza dei ragazzi soldati del nord d'Uganda.


Nairobi, 24 gennaio 2007.
La festa dell’inaugurazione e la confusione iniziale sono terminati. Già nel pomeriggio di domenica, prima giornata di lavori, i forum battono a pieno ritmo. Bisogna sapersi destreggiarsi bene con l’inglese per non morire asfissiati sotto la valanga di parole e di rumori, ma ascoltando con pazienza anche le traduzioni all’inglese abbastanza infami dal francese, dallo spagnolo e anche dall’italiano si scoprono negli scaffali di questo immenso supermercato di opinioni delle ricchezze e delle analisi serie per sostenere azioni convergenti verso un Mondo Nuovo che è veramente possibile. I disastri umanitari della Coca-Cola fanno rabbrividire, la povertà creata nelle sub-regioni dallo sfruttamento del petrolio in Nigeria sono evidenti, la crisi d’acqua in molti paesi sta diventando tragica. Dietro gli incontri quasi informali dei diversi gruppi presenti ci stanno organizzazioni che studiano, riflettono, agiscano: partecipo al forum di Vivat che analizza la pressione sulle politiche economiche degli aiuti che vanno sotto il nome di cooperazione; sento gli echi di premi nobel come Maathai sul problema della debito estero; ascolto l’intervento della vice-ministro Patrizia Sentinelli che promette battaglia al governo Prodi se non si impegna sul problema dell’acqua.
L’effervescenza è tale che verrebbe voglia di vedere questo Mondo possibile già alle porte. Alcuni fatti rimettono però i piedi per terra. I ragazzi di strada hanno bloccato il traffico e sfondato una cancellata: reclamano il libero accesso al forum per far sentire la loro voce, senza pagare i 500 shellini, qualcosa come 8 dollari. L’organizzazione deve fare marcia indietro e si rende conto di aver fatto male a non ascoltare il consiglio dei missionari. Solo che aprendo i cancelli a lavori iniziati, tra il secondo e il terzo giorno c’è stata l’invasione di mercati e mercatini, venditori non solo di acqua ma di cibo, si infiltra gente di ogni tipo e gruppi con le più disparate idee ed iniziative. La poca organizzazione, già parente stretto dell’anarchia, per certi versi e in certi momenti diventa caos. Una banda di ragazzetti svaligia il ristorante, i ragazzini chiedono l’elemosina, i giovani cercano indirizzi per partners europei che li aiutino a studiare. Bisogna dire che l’atteggiamento in genere dei keniani rimane rispettoso, si accontentano di chiedere senza petulanza, ringraziano se condividi qualcosa.
Al terzo giorno dei lavori, deve far seguito una giornata di riflessione e di proposte per il prossimo foro, poi la giornata di chiusura con la maratona attraverso gli slam e l’atto ufficiale di chiusura. Delle idee si fanno strada in chi guarda con simpatia ma anche con certo distacco questo foro: è una gran bella festa dei popoli, appare come un’immensa fucina di iniziative, non è anche una valvola di sfogo? Già lo diceva Marx, e Mao gli dava ragione: per mantenersi in funzione il sistema deve lasciare aperte queste valvole, la troppa pressione lo farebbe scoppiare. Parlo con dei ragazzi di strada, con delle venditrici di acqua, con giovani che distribuiscono i giornali e i volantini: per loro è bello vedere tutto questo movimento, pensano a come approfittarne, in fondo ci vedono come parte integrante del sistema: per loro il diverso è tutta un’altra cosa.
Non è che tutto sa troppo di “città”, e la città non è forse dove risiede il potere?


Nairobi 25 Gennaio 07.
"Prendete parte alla marcia di domani guidati dal suo nome Exodus, che sia come un'esperienza dello spirito di Pentecoste. Il Foro domani sarà una grande festa". Una camminata di cinque, otto, quindici km: simbolo della volontà d'uscire dall'economicismo e voglia di profitto verso un Mondo Nuovo che è possibile.
Di voglia di vivere questo spirito ce n'era tanta stamattina e di festa. A Korococho la distribuzione delle camicette per la marcia era di una confusione unica: alcuni volontari presa la loro se ne erano andati, i dieci scellini (12 centesimi di euro) del prezzo erano alla portata di tutti e la paura che la situazione scappasse di mano aveva fatto chiudere il cancello davanti alla tavola della distribuzione. Ma non è successo nulla. Già ieri sera lo commentavamo: le tensioni allo Stadio Moi quando i giovani depredarono le tavole calde reclamando cibo gratis per i disadattati sociali aveva creato un tensione tale che a Davos e magari anche a Porte Alegre sarebbe terminata nel sangue. A Nairobi no, e la marcia cominciò anche se in ritardo sotto un sole cocente in mezzo a due ali di gente: i bambini non si stancavano di gridare "Au u?" -how are you-, anche ammassati sulle reti di recinzione dei loro asili infantili.
La confusione, la polvere, i mucchi di sporcizia erano tanti e tutti bianchi e neri, partecipanti al forum o keniani aggregatisi all'ultimo minuto scattando foto e filmando questa festa. Qualche cosa non doveva però funzionare: un giovane scarmigliato ci taglia la strada ripetendo con grida roche: "Non avete diritto alle foto, non siamo scimmie!".
All'uscita di Kariobangi due morti sono stesi sull'asfalto. "Un incidente", dice la polizia. Al Parco ci diranno: stavano rubando e la polizia a sparato a bruciapelo. Certo quel sangue e grigio di cervello sparso sull'asfalto ha annacquato la festa a molti.Del resto ieri sera qualcuno aveva insinuato che tutto quello spettacolo di ricchi che parlano di poveri non era in sintonia con le finalità e i discorsi del Foro. Qualcuno aveva ribattuto che gli era sembrato una bella cosa invece vedere ricchi che si avvicinano ai poveri nei loro slums e
poveri che anche per un giorno si siedono accanto a chi a di più condividendo idee e vedendo che in fondo la differenza sta solo nel vestito e in ciò che si mangia ma che le persone sono uguali."Un Mondo nuovo non può nascere che dal coinvolgimento di tutti"; quella specie di separazione che la opzione sembrava propugnare certo non ha cambiato il mondo. Barros si è permesso di sottolineare: "Si è capito questo. La scelta dei poveri deve essere una scelta di umanità non di classi". Dove va a finire allora la priorità data ai poveri? "Questa scelta di umanità più profonda deve partire dai poveri perché non avendo in mano loro le redici del profitto sono aperti all'umano".
Una suora mormora accanto a me: "Allora anche il Foro Sociale Mondiale deve cambiare completamente di faccia".E' la grande scoperta di un settore della pastorale afro - americana: il discorso e una visione inclusivi della realtà.
Al Parco Uhuru -libertà- c'è molta meno gente che sabato per l'atto ufficiale e le celebrazioni di chisura. Si susseguono gli slogans, contro tutto e in favore di tutti, la premiazione dei vincitori della maratona, l'invito a ritrovarci in Africa per il prossimo foro, danze, balli, sfilati di gruppo ma in tono un po' meno entusiasta e fantasioso dell'inaugurazione.Alcuni spagnoli dietro a me commentano fra di loro: sono venuti senza essere affiliati a nessun movimento o gruppo o ideologia. Si stanno domandando: uno dei reclami del Foro è la mancanza di trasparenza con cui i governi e le multinazionali gestiscono i loro capitali. Le fondazioni che gestiscono il FSM hanno mai dato il resoconto dei fondi raccolti per l'evento? Ho visto che la delegazione italiana ha apportato 100.000 dollari, faccio loro vedere l'opuscolo: forse il più semplice e dignitoso, senza sperperi in foto a colori di tutti quelli che ho visto e raccolto. "Ma allora hi ha fatto i contratti con i restauranti dentro il recinto del Foro?", mi chiedono. Sono ospitati in una famiglia e quindi mangiano al Foro fra un'attività e l'altra: un pasto miserabile costa 7 dollari. Diventa chiara la rabbia dei giovani che ieri reclamavano cibo gratis per gli abitanti degli slums. Mi mostrano "Il giornale indipendente del 7 FSM: Terraviva" n°4. A pagina 3 dice testualmente "Cibo gratis per i bambini (e qualche adulto)". E in prima linea: "Proteste hanno caratterizzato il penultimo giorno del FSM: keniani poveri si sono messi a gridare in un sit-in davanti al Windsor Caffè, un'estensione dell'Hotel proprietà del Ministro degli interni (Internal Security) John Michuku". I contratti per occupare lo Stadio Moi, per l'affitto delle tende, della pubblicità, dei trasporti, degli strumenti -pessimi tra l'altro- delle traduzioni simultanee, sono stati gestiti da chi? E chi se ne darà conto?Degli eritrei accanto a noi commentano che il loro foro è stato disertato perché tutti loro sono schedati e il governo keniano si presta all'oppressione di ogni voce dissidente. Il Da lai Lama si è visto rifiutare il visto perché la Cina ha messo il veto alla sua entrata. Un membro della Caritas Francese raccoglie firme perché due attivisti dei diritti umani di Repubblica Popolare del Congo sono stati fermati dalla polizia all'aeroporto di Brazzaville nel momento di prendere l'aereo. Corre voce che metà della disorganizzazione non è dovuta ad un eccesso di democrazia, ma per fratture interne al comitato organizzatore dovute anche a soldi misteriosamente scomparsi.
Ombre e luci di un avvenimento che lascia un cuore pieno di speranze con molte ombre e tante paure di delusioni che esigono posizioni chiare: la festa oggi a preso il sopravvento, domani per i comboniani il FSM continua, la riflessione deve rimettere in cammino la fucina di idee e iniziative se non si vuole che il Foro si riduca ad una valvola di sfogo che salva il sistema.


Nairobi 27 gennaio 2007.
"Iniziamo la nostra eucaristia", dice Marcello Barro che presiede, "come facciamo noi nelle comunità del Brasile, guardandoci in faccia perché li' c'è Dio". Lo facciamo con calore: oggi ci troviamo fra noi comboniani, è la nostra prima giornata di riflessioni alla fine del Foro. Non tutti si sentono a loro agio però e quando Marcello, dopo aver quasi sorvolato l'Atto penitenziale chiede di sostituire il prefazio con i nostri motivi personali di rendere grazie a Dio, nel coro di lodi uno sbotta: "Ti ringrazio Signore delle cose che in questi giorni non ho capito e che mi hanno fatto arrabbiare".
In realtà nell'ambiente di gioia e fraternità che ci riunisce serpeggia anche un'impressione che continui un certo dogmatismo che ha cambiato di sponda : è tra quelli che lavorano negli slums. Marcelo Barros ne è un po' l'icona: con suo tono umile e dolce è inflessibile nel ripetere un discorso già pre-orientato, che sempre parte dal Brasile: pare ignorare le comunità di Pace di Apartadò in Colombia, il commercio solidale dell'Ecuador, eccetera. Che per esempio l'intuizione delle Comunità di Base è nata nella ricerca su una nuova catechesi fra la Gioventù operaia in Francia che ha dato origine ai preti operai e un risveglio missionario fra il clero francese.
La giornata vuole essere di preghiere e riflessione, lasciando a domani la discussione e la ricerca di una certa convergenza, ma negli spazi informali sgorgano battute e pensieri provocatori. Si è saputo di scontri verbali e discussioni nella delegazione italiana perchè i radicali vedono che il foro e un certo discorso sociale scappa loro di mano. Qualcuno ricorda la famosa frase di Gandhi: "Il fiume Gange dei diritti scende dalle alte vette dell'Himalaya dei doveri". A tutti però fa' impressione la frase di Barros commentano brevemente una parola della lettura del Vangelo: "Andate non fermatevi a salutare". Non è un invito ad essere scontrosi, fare le nostre celebrazioni in fretta, aver paura di perdere tempo nello stare con la gente. "E' un richiamo all'urgenza del tempo presente".
Le analisi serie di specialisti fatte sia durante il Foro Teologico che il Foro Sociale rivelano come il mondo è strettamente manipolato da chi vuole costruire "Un altro mondo" molto meno umano di quello che questi giorni fanno sognare: anche Hitler voleva un mondo diverso, si è sfogata una donna nel Foro. Mentre mangiavo il mio panino, l'altro giorno mi si è avvicinata una delegazione chiedendomi di poter condividere la scarsa ombra dell'unico alberello. Tra di loro una masai, vestita all'occidentale, parliamo del problema della terra. Il governo affermano vende terre dando il titolo di proprietà e loro sono costretti ad abbandonarle perché, pur essendo vissuti là molti anni il titolo di proprietà non l'hanno mai avuto.Dove vanno a finire queste terre? In mano alle grandi organizzazioni che verranno in Africa a fare gli esperimenti sugli OGM viste le restrizioni che pone l'Europa.
Un'altra icona si fa' strada: è nella parabola della gramigna, il terreno è buono, la semente pure, ma "mentre dormivate il nemico è venuto ed ha seminato" del suo. E' bello l'ambiente di festa, di incontro di tutti questi giorni, di condivisione, ma nel frattempo "gli altri" hanno tempo di far camminare gli affari importanti del mondo verso i loro obiettivi.Nele strade di Korokocho si sono moltiplicati mercatini di tutto, tutto è riciclato: l'africano ha una grande ingegnosità per sopravvivere; in molte cittadine congolesi i cosiddetti "borghesi" sarebbero felici di trovare tutto questo ben di Dio. "Dove lo trovano per poterlo rivendere e guadagnarci?", chiedo ad una delle Signore. "Sono gli scarti dei supermercati, invece di pagare gente per portarli agli scarichi li vendono a prezzi ridotti".Ci danno un CD dove possiamo trovare tutta l'informazione sul "perché la struttura l'organizzazione finanziaria non lavora per i poveri". Qualcuno commenta: "Se il profitto è il suo scopo, perché dovrebbe farlo?". A Korokocho negli ultimi anni sono apparsi anfiteatri, scuole, scampi sportivi ma non attività produttive : al mattino la gente si riversa nella città sostiene il sistema per poter vivere. Il grosso problema è forse che abbiamo portato nelle città l'assistenzialismo che prima era nel campo.
Al Foro sul Grandi Laghi è stato detto: l'economia del Ruanda -lodata dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale- è in realtà ufficialmente finanziata per un 50% dagli aiuti esteri e se contiamo l'apporto delle Ongs e della chiesa arriviamo al 70-75%. Se questo rubinetto si chiude il paese ricadrà nell'abisso della guerra civile. E' la dipendenza economica per vivere che impedisce a che gli uomini, "la vera gloria di Dio" possano mettersi in piedi e raggiungere gli obiettivi di pace e giustizia che si propongono.


Nairobi 28 gennaio 2007.
Il Foro Sociale Mondiale è chiuso da due giorni e quello Comboniano da ieri sera. Il primo giorno del nostro foro -26 gennaio- è stato impregnato di preghiera e condivisione su tre domande: Dove vedi Dio presente nelle situazioni che abbiamo sperimentato e ascoltato; Quale è la principale ispirazione che ricevi da Comboni oggi; Dove senti che Dio ci sta guidando come Famiglia Comboniana.
Il materiale condiviso e raccolto è ricco e pluralista: da l'impressione che ci si stava perdendo; il secondo giorno -27 gennaio- era per individuare le convergenze che si andavano sviluppando; digerito il materiale raccolto il primo giorno, dovevamo, in gruppi di convergenza, formulare un nostro specifico movimento verso l'azione. Il metodo mirava a risultati concreti; non è stato gradito da molti, ma ha permesso ad ognuno di esprimersi e far emergere profonde differenze di vedute pur nell'alveo dell'unica passione -la missione-, e dell'unica scelta di vita : essere accanto alle persone che vivono situazioni di frontiera e di esclusione in seno alla società dei consumi e dell'unica famiglia umana, qualche volta anche nella chiesa.
Parole come convertiamoci e siamo "ponti", convergenza o scelta, riconciliazione o provocazione, presenza o impegno raffiguravano contenuti ed icone provocanti ma anche contrastanti.
Chiamato ad intervenire, Barros ha dapprima messo sapientemente a fuoco questa realtà: l'obiettivo del Foro Sociale Mondiale non era arrivare a conclusioni forti e chiuse, ma a che ognuno si metta in discussione; questo vuol dire ascoltare voci diverse, e il foro comboniano ci è arrivato. Diversi punti di contrasto sono stati appena accennati, hanno bisogno di essere chiaramente espressi. Un saggio diceva "se sei d'accordo con me rafforzi le mie idee, se sei in disaccordo mi aiuti a pensarci su e vederle meglio". E aggiunge: "Vi pongo una domanda, una provocazione: proprio per non tradire lo spirito del Foro quali sono questi punti concreti che voi comboniani avete bisogno di tirar fuori e chiarire? Sento come una grazia, io non comboniano, l'aver condiviso con voi questi giorni, ma devo dirvi: fate una lista ed affrontate i punti di discussione aperti".
Continua con una provocazione affascinante: la Parola di Dio la troviamo scritta nella Bibbia -è la tradizione-, ma la troviamo scritta anche nella realtà -è la novità di Dio-: il profeta è l'uomo chiamato ad ascoltare questa parola nuova e a farla Parola chi illumini la Presenza di quel Dio che molti non riescono a vedere. Parla di profeti, di Osea che "vede" la Parola nel tradimento della moglie. Porta il discorso sui tre strati della realtà sociale: le conseguenze che si vedono, il sistema che le produce e la cultura che sta come il fuoco al centro della terra che scuote gli strati geologici fino a scoppiare in terremoti di cui non vediamo che le conseguenze.
Il suo tono suadente ed umile diventa un po' manipolatore. Marcelo Barros chiede: Qual'è la cultura in cui sono immerso, come comboniano? Anche Elder Camara, anche Romero, afferma, volevano essere ponti fra le due realtà, quella dei ricchi e dei poveri, ma hanno finito per mettersi da una sola parte perché non c'è altra scelta che essere dalla parte dei poveri e della cultura degli oppressi; nella Bibbia si parla di cultura di resistenza non di dialogo con l'oppressore; Gesù domanda ai piccoli di seguirlo, ai ricchi di cambiare, sono due processi diversi; pluralità vuol dire ricuperare e fare spazio alle religioni tradizionali che il cristianesimo ha demonizzato; il cristianesimo in Africa deve fare una immersione nelle culture tradizionali per ritrovare sé stesso, senza queste culture non ci sarà una rivoluzione per un Mondo Diverso.Il discorso suona un po' dogmatico; qualcuno sussurra: Non stiamo idolatrando le culture? Un altro reagisce ad alta voce: Così, non si relativizza tutto? E quelle religioni -dei Turkana, degli Azteca- che usavano i sacrifici umani? Non arriviamo così a giustificare anche l'oppressione perché dimensione culturale di una società?
Sì risponde Barros, "ogni cultura è ambigua ma Cristo si è fatto peccato proprio per assumerle". Non sarà allora che la cultura è proprio, non per vaporazione etica ma teologica, il peccato originale di ogni società, proprio per essere un progetto umano chiuso su sé stesso?
Il Foro comboniano è tecnicamente chiuso, ma la sua organizzazione termina stamattina con l'Eucaristia della 4° Domenica del Tempo Ordinario. Le provocazioni adesso vengono da Cristo e da Paolo l'ebreo che scrive in greco. Solo ad una vedova -la creatura sociale più emarginata del tempo- di Sidone fu mandato Elia; solo un lebbroso, Naaman -ricco rappresentante del potere- fu sanato da Eliseo. Ma che diavolo di scelte fa' Gesù? Lo fa' perché erano stranieri? In realtà tutti e due -la vedova e il primo ministro- avevano nella "loro specifica povertà" il loro progetto -leggi la loro cultura- già definito per risolvere la loro situazione: vado a raccogliere due pezzi di legno, cuocio per me e mio figlio un pezzo di pane e poi moriremo, dice la vedova; pensavo che sarebbe uscito, avrebbe imposto le sue mani ed invocato su di me il suo dio per guarirmi, protesta Naaman. Ed invece la Parola dice ad ognuno: ascolta quello che dice Dio; vai, come Abramo. Andarono, fecero
come loro detto e furono salvi.
Paolo scrive: "se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova". Il problema è che anche la scelta per i poveri, la scelta di essere poveri, la scelta di essere voce per i poveri può essere protagonismo, ideologia, cultura: allora Dio sparisce. La vera icona della chiesa e del missionario invece, si disse nel Foro, è il Battista: occorre che io diminuisca perché Colui che viene dietro me, il vero Forte sia riconosciuto.Una provocazione non è stata raccolta nemmeno nel Foro comboniano: Ci allontaniamo dai veri poveri perché non amiamo più Dio o non amiamo più Dio e per questo ci allontaniamo dai poveri? Sull'immenso palcoscenico in cui svolgeva il Foro Sociale Mondiale a Kasarani c'erano stands di ogni tipo, cartelloni propagandando ogni idea, mercatini di tutto, un'immensa croce di donna incinta reclamando il condom; in mezzo a quella baraonda dell'ultimo giorno due anziane signore proponevano su una miserabile bancarella rosari, crocifissi, immaginette e intanto pregavano in uno sgualcito libretto le Lodi al Signore.
Cos'è stato allora questo Foro? Forse una delle tante strade con cui Dio si apre cammini di salvezza. E what next? E dopo, che? A pensarci.


Nairobi 29 gennaio 2007.

Il World Social Forum è concluso, il Foro Sociale Comboniano pure. Cominciano le valutazioni dei due eventi. La prima valutazione che attira l'attenzione è quella economica del FSM: si tirano le somme. Chi ci ha guadagnato, chi ci ha perso?
I piccoli rivenditori, come la ragazzina che offriva acqua, sono felici: hanno guadagnato il loro pane quotidiano con il loro lavoretto abituale, in mezzo a sorrisi e rifiuti cortesi, in un ambiente di accoglienza e di rispetto. Sui giornali keniani appaiono invece lamentele dai grossi titoli: "Delegates leave behind a trail of bitter losers", i partecipanti -al Foro- lasciano dietro di sé una fila di amareggiati perdenti; come una certa Julia Njenga che avrebbe perso 160.000 shellini per fare 40 nuovi letti nella sua pensione senza ricevere un solo ospite. C'è chi aveva preso in appalto 500 posti letto senza che nessuno si presenti e senza che l'agenzia che li aveva contrattati paghi almeno il 5% di anticipo per questi contratti. Chi si lamenta che arrivato all'aeroporto Jomo Kenyatta non sapeva dove andare. E gli organizzatori del Foro ci hanno perso o guadagnato? Molti si chiedono se non tocca proprio al Governo italiano esigere conti pubblici e trasparenti, tenuto conto che la delegazione italiana ha apportato 100.000$ -così dicono- presi anche dai fondi delle amministrazioni pubbliche locali. Ma questo fa' parte di quel sistema che il Foro contesta e quindi non sono molti a piangere.
La domanda che brucia di più invece è: quali ideologia ci hanno guadagnato? E' inutile, al settimo di questi Foro, voler nascondersi che il primo a Davos era nato in chiave di contestazione anticapitalista animata dalla sinistra più spinta. E' forse questa l'ideologia che ha perso di più. Ai tempi di Davos il mondo pareva accogliere il capitalismo e la globalizzazione come una benedizione. Oggi ormai nessuno la pensa più così. Forse grazie anche ai precedenti sei Fori. Ma oggi, che parecchi governi sono scivolati a sinistra lasciando altrettanto scontenta la gente, appare chiaro che a chi partecipa al Foro non interessano più le ideologie ma la persona umana, un mondo più umano, ritrovare l'umanità in tutte le sue dimensioni, far risalire alla superficie la centralità della persona in ogni attività e struttura. Gli estremismi sono presi di mira e qualche volta si combattono l'un l'altro. Il Concilio degli Imam e Predicatori Islamici riuniti in questi giorni a Mombasa (Kenya) chiedono al governo niente di meno che di mettere in carcere omosessuali e lesbiche perché "questo vizio è condannato dal Corano", e -perché no? dicono- anche dalla Bibbia.
Ci hanno guadagnato i poveri e specialmente i poveri degli slums di Nairobi? Dipende da come si vedono le cose. Senz'altro ci saranno ancora più progetti di aiuto, più ONG che invaderanno gli slums portando idee, ideologie, danaro. Servirà tutto questo a migliorare la vita di questa gente o li renderà ancora più dipendenti?
Solo una cosa è certa: la corsa a chi, per esempio, ci guadagnerà sul debito estero con l'Italia che la vice-ministro Sentinelli ha promesso di cancellare; solo che il debito sarà trasformato in Fondo per lo sviluppo: ma né il grande pubblico né i poveri sanno quali sono o saranno le regole del gioco. E così un giornale keniano scrive: "L'80% delle organizzazioni che sostengono la cancellazione di questo debito estero affermano che andrà solo in beneficio alle persone sbagliate".
Ma chi ci ha guadagnato allora in questo Foro Sociale Mondiale? Dio forse e il suo Regno? Le chiese locali non si sono fatte vedere; si dice che perlomeno dieci comunità religiose invece hanno accompagnato, come i comboniani, il Foro con la loro presenza, la loro preghiera e la loro riflessione. La Chiesa ufficiale, pare, non ha fatto nulla di concreto. Giustamente per lasciare spazio al mondo e permettere che Dio ci scavasse dentro la sua strada? Difficile dirlo.
Molti partecipanti intervistati per la strada, altri ascoltati nei diversi gruppi di lavoro, alcuni sentiti nei "matatu" -i mini-bus del trasporto urbano e extra urbano- commentavano spontaneamente: il Foro Sociale Mondiale ha aperto nuove strade alla comunicazione interpersonale e di gruppo, alla ricerca di collaborazione fra organizzazioni con lo stesso scopo e questo, anche se fatto positivamente al margine delle Chiese e delle religioni è un segno pentecostale di un nuovo spirito ecumenico che si fa' strada nel mondo: laico in apparenza, ma forse nel suo profondo profetico di cambiamenti che potrebbero portare la globalizzazione verso una umanizzazione insospettata.
"Per me il Foro è stato una bella vacanza di gente che non aveva niente da fare - mi dice con asprezza un anziano medico incontrato per caso-. Solo voi che avete la fede sperate che produca frutti!". E perché no? La speranza non è forse la certezza nelle cose che ancora non si vedono?



Nairobi 30 gennaio 2007.

Una valutazione del Foro Comboniano è più semplice ma anche forse più delicata: 20 comboniani e 25 comboniane hanno condiviso un giorno di preparazione, i 5 giorni del Foro Sociale Mondiale e altri due giorni insieme. Ci siamo ritrovati, compagni di formazione che non si rivedevano da vent'anni e anche più, gente conosciuta nei rapporti delle diverse province ma mai incontratisi personalmente, formatori che ritrovavamo i loro formandi ormai inseriti nel lavoro. Una festa comboniana accanto a quella Foro
Mondiale.
In questo senso il nostro Foro è stato un evento di cui tutti hanno reso grazie al Signore. Abbiamo infatti riscoperto che quella fraternità che il Foro Mondiale cerca di costruire come "Un Mondo Nuovo possibile" di fatto esiste già fra di noi, non completa né perfetta, ma segno di speranza per tutti.
L'entusiasmo, la capacità di lavoro e voglia di far nascere questo Nuovo Mondo ci ha ridato la freschezza della nostra vocazione missionaria. Ci siamo sentiti come una forza nelle mani dello Spirito per divenire -usando una parola di Barros- "sacramento oltre che segno" di questo Mondo che molti cercano ed a cui aspirano.
Allo Stadio Moi abbiamo incontrato altri gruppi di religiosi, sappiamo che almeno una decina di loro partecipavano al Foro con il nostro spirito, ma con una punta di orgoglio molti laici ci facevano notare che i "comboniani si vedono".
Nell'ultimo pomeriggio, quando si cominciava a stendere il documento finale, quest'aspetto però fu notato come uno dei nostri difetti. Il protagonismo del missionario non è ancora morto. C'è chi perfino, dopo magari aver disertato il lavoro di gruppo, pretendeva che si inserissero le sue idee personali nel documento finale. Un altro, con un certo umorismo rifiutava di far parte del gruppo redazionale di questo documento perché "cosciente di possedere molto Spirito Santo" lo avrebbe orientato secondo i suoi gusti.L'impressione era che le comboniane fossero anche più presenti dei comboniani, non solo per il numero -25 a 20- e per l'età -più giovani e vivaci- ma anche per i campi di lavoro: i sacerdoti sentono proprio lo spazio religioso, le suore quello sociale. Dove si trova l'equilibrio voluto dal carisma comboniano?
C'è infine chi faceva notare che tutti gli elementi in preparazione per essere inclusi nel documento finale giù si trovavano nei nostri documenti capitolari. Dov'è la novità? Forse nel fatto che la base si assume questa nuova via della missione e si sente impegnata a realizzarla: la missione è giustizia, è riconciliazione, è la persona che incontra Cristo.L'iniziativa forse più importante che si vuole attuare è quello di un network fra i membri della Famiglia Comboniana ed altri gruppi missionari. C'era uno stand delle suore mariste che quasi nessuno ha visitato, ce n'era un altro dei gesuiti che nessuno di noi ha scorto; c'erano i Forum di Vivat e di Giustizia e Pace per l'Africa che molti non conoscevano. Perché non pensare di arrivare al prossimo Foro Mondiale Sociale con un messaggio nostro, non solo nel Foro Teologico ma anche per un Foro parallelo dei religiosi e dei missionari?
E' ritornata l'immagine di Giovanni Battista come l'icona principale della missione: tutto anche il network non deve finire per essere un lobbing qualsiasi per temi ormai assunti dalla società civile: siamo sul terreno per scomparire, perché la Chiesa locale si manifesti nella sua pienezza e perché questa pienezza delle comunità cristiane locali mostri il volti di Cristo in ogni cultura ed ad ogni persona che nell'angustia della lotta quotidiana, cerca un motivo per continuare a sperare.
In questa prospettiva molti non hanno apprezzato la presenza troppo visibile di alcuni di noi: l'albero non deve nascondere la foresta e se è un dovere denunciare lo è altrettanto lo scomparire come il geme che gettato in terra muore per dare nuova vita. Sapersi imporre una moratoria nel dare aiuti economici e nel parlare è rendere viva oggi l'icona del Battista: la missione e l'impegno sociale sono chiamati non a nascondere ma a manifestare il Dio della vita e il suo Cristo.
Ben lo faceva notare Marcelo Barros: nel fondo siamo ancora un po' docetisti e dualisti. Da quando Cristo si è fatto uomo tutto l'umano è presenza del divino e tutto il divino si esprime nell'umano. Non sarà forse questa spiritualità dell'incarnazione che la chiesa missionaria deve riscoprire in un modo che sempre più si vuole protagonista senza Dio della propria storia?



Nairobi 31 gennaio 2007.

La commissione per la redazione finale del testo che i membri della famiglia comboniana - laici suore, sacerdoti, fratelli- vogliono offrire a quanti lavorano nella missione è omai al lavoro da tre giorni, il testo è già pronto e passa alle correzioni prima di essere approvato definitivamente e messo a disposizione di tutti.
Ne approfitto per una scappata da Nairobi verso il mondo dei pastoralisti. Era a soprattutto con questo gruppo che ho riflettuto, pregato e lavorato nel Forum.
Lasciare Nairobi in matatu è una bella esperienza: ci penetra in vicoli stracolmi di gente e di automezzi d'ogni tipo, ci si infila nel proprio mini-bus in attesa che si riempia per poter partire. Da poco il governo ha messo una legge per cui tutti devono viaggiare seduti: una benedizione mi commenta una mamma con una bellissima bambina in braccio, prima in un matatu di 14 posti si schiacciavano fino a 22 persone.
L'uscita dalla città è per me una provocazione: ad ogni fermata, ad ogni piccolo centro, un sacco di gente, soprattutto donne, ragazze giovani ben vestite ed anche truccate, offrono ogni ben di Dio: frutta di ogni tipo -manghi, papaie, banane, maracugia, arance-, e cibo per il viaggio: da quarti di pollo già arrostito, a patatine fritte.
La terra verde e rigogliosa non appare per nulla super sfruttata, però ci sono immense coltivazioni di caffè e il ricordo del libro di Hemingwey "Verdi colline d'Africa" appare verissimo ed ancora attuale. Terra, acqua e cibo" era uno degli slogan del Foro Mondiale Sociale. Il problema, ci confidò Barros, è "che mentre i contadini adulti del Brasile reclamano terra, i giovani la abbandonano verso la città". Ed ecco la provocazione: la società ed anche la Chiesa non sta, offuscata dalla povertà degli slums abbandonando quella che è la vera speranza del futuro? Cibo, terra e acqua è fuori dai centri abitati che si trovano. Abbandonarla significa, farne dono immeritato alle multinazionali ed ai ricchi. E
infatti, appena diminuiscono i centri abitati appaiono reticolati che abbracciano estensioni sempre più ampie.
Quando giriamo a desta per avviarci verso Nanyuki, le verdi e produttive colline lasciano posto ad una savana aspra e brulla; i casolari si fanno rari e minuscoli e quando da Nanyuki penetriamo nella savana verso Doldol un paesaggio strano si presenta a chi vi arriva la prima volta. Lasciamo l'asfalto, ci inoltriamo per una polverosa strada in terra battuta, il matatu buca. Scendo a stirarmi le gambe e vedo a una trentina di metri un grosso branco di zebre; una mezza dozzina di grosse macchine tutto terreno ci sorpassano e quando riprendiamo il viaggio posso contemplare alla mia sinistra quattro bellissime giraffe che sovrastano gli spessi cespugli ed una ventina di cammelli che si trascinano svogliati sotto il sole ormai di mezzo giorno: grosse reticolati delimitano quello che -mi dice l'autista in un buon inglese-, sono due parchi privati di grossi pezzi politici. Da Nairobi organizzano piccole spedizioni turistiche.
Ritornando l'indomani le suore mi faranno notare come nella zona recintata gli arbusti della savana si sviluppano e creano una certa vegetazione, al di fuori la savana si spoglia: gli abitanti bruciano per fare carbone, per venderlo e per il loro uso quotidiano, asini, capre e cammelli brucano tutto e l'erosione distrugge quel poco che resta.
Noi missionari ci siamo spostati dalla brousse alla città perché sono i centri del potere. Ma non è che ci siamo messi a fare anche in città dell'assistenzialismo? Non sarà forse il tempo di ritornare alla campagna dove si forgerà il furto economico e della produzione perché lì c'è ancora cibo, terra ed acqua. Anche in queste terre aride si vedono scarsi pozzi eolici, ogni tanto sorgenti d'acqua, il monte Kenya non è lontano e l'acqua nel sottosuolo non deve mancare. Intanto dalla città numerosi camion vengono ad asportare la sabbia per le costruzioni "dissanguando la nostra già povera regione".
Ha visto giusto il Papa nella sua enciclica: la giustizia è compito dei governi; la carità della chiesa. Non abbiamo mescolato troppo tutto quanto con il risultato che non facciamo bene nessuna cosa?


In questa pagina del Foro Comboniano abbiamo riflettuto insieme. Il documento finale apparirà in italiano e in inglese, forse anche in altre lingue. Sarà uno stimolo per poter continuare a riflettere, a provocarci, a cercare: la luce della Parola ci illumina a partire dalla parola umana, quella degli avvenimenti e delle persone, delle sofferenze e delle speranze di ogni giorno. Non potrebbe essere questo il nostro vero network?
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