In occasione della canonizzazione di Daniele Comboni, domenica 5 ottobre, l’Agenzia Fides ha incontrato l’Arcivescovo di Khartoum, il neo-Cardinale Gabriel Zubeir Wako, che è il 7° successore di Comboni a Khartoum ed il primo Vescovo africano di quella sede. Mons. Wako, dal 1981 a Khartoum, riceverà la porpora cardinalizia nel Concistoro del 21 ottobre.
Eminenza, come è stata accolta nel suo Paese la sua nomina a Cardinale?
È un evento che ha alzato il morale dei cristiani sudanesi che vivono quotidianamente la loro fede in mezzo a tante tribolazioni, persecuzioni e difficoltà di ogni genere. È un po’ come una lampada accesa in mezzo a loro: sperano che con un Cardinale a Khartoum le loro voci siano sentite dal resto del mondo. La nomina è interpretata anche come un segno della vicinanza del Santo Padre ai cristiani sudanesi. Anche dal punto di vista temporale, questa ordinazione è piena di significati: proprio quest’anno ricorre il decimo anniversario della visita del Santo Padre in Sudan, e il venticinquesimo dell’elezione del Pontefice.
Di fronte a tutto questo mi chiedo se sarò capace di fare di più rispetto a quanto ho fatto finora. Spero che il Signore mi dia la forza di assolvere questo compito. Mi vengono in mente le parole di Nostro Signore agli Apostoli: “gettate le reti più a fondo e troverete pesci”. Proprio per questo stiamo preparano il secondo Sinodo diocesano che, alla luce del grande Giubileo, cercherà di approfondire la nostra fede.
Quali sono i suoi sentimenti sapendo di avere avuto come predecessore alla guida dell’Arcidiocesi di Khartoum, un santo come Daniele Comboni?
Penso spesso di occupare la sede che apparteneva ad un Santo come Comboni. Mi sento così piccolo di fronte alla sua figura, ma allo stesso tempo, occupare quella sedia rappresenta una sfida alla quale bisogna rispondere. È anche un’opportunità per approfondire il metodo missionario di Comboni, con la sua capacità di portare coesione tra gli operatori pastorali. Cercava di far capire loro che l’evangelizzazione dell’Africa è un impegno per la vita, secondo il suo motto “l’Africa o la morte”.
Che cosa rappresenta Comboni per il Sudan?
La sua figura è ancora viva nei cristiani sudanesi, specialmente ora con la guerra civile che semina nelle persone lo spirito di divisione e di odio, che può entrare anche nella Chiesa. È una sfida cercare di ridurre i mali che la guerra sta portando nell’animo della gente. In questo ci aiuta la fiducia che Comboni aveva nella presenza di Dio nella sua vita e nella sua opera missionaria. Pensiamo a quante difficoltà ha dovuto affrontare, quanti morti tra i suoi collaboratori ….ci voleva una fiducia totale nella bontà del Signore per ricominciare di fronte ai fallimenti e a difficoltà apparentemente insormontabili. In questo senso San Comboni ci aiuta a riscoprire il valore della Croce, delle croci che in Sudan abbiamo in abbondanza. San Comboni ci dice che questi croci sono necessarie per continuare l’opera di Cristo. Dovremmo allora avere il coraggio di chiedere al Signore non di togliercele ma di darcene di più! Se riusciremo ad arrivare a questo punto possiamo rallegrarci perché siamo sulla strada verso la santità.
Che cosa l’ha colpita di più della figura di Comboni?
Molti rimangano colpiti dalla forza di Comboni e dal suo coraggio. Io invece sono rimasto affascinato dal Comboni bambino che si mette nelle mani di una mamma, che è Dio. Le sue preghiere sono così dirette e ispirano fiducia anche a chi le legge. Anche il suo modo di descrivere se stesso, proprio con il candore di un bambino che non nasconde niente di sé. È bello vedere anche come chiedeva aiuto alle persone con il linguaggio e la perseveranza di un fanciullo. Pensiamo anche al suo piano pastorale: a qualcuno può sembrare l’opera di un megalomane, io invece vedo in esso il coraggio di un bambino che affronta cose più grandi di lui. Ed è proprio per questo che era così sapiente perché sono i piccoli a conoscere i segreti del regno di Dio.
La canonizzazione avviene in un momento in cui l’Africa, pur con diversi segni di speranza, sembra vivere una recrudescenza dei suoi mali come guerra e guerriglia, carestie, malattie…Quale messaggio può venire dalla canonizzazione per la Chiesa e la società africana?
Adesso possiamo contare ancora di più sull’intercessione di Comboni, un uomo che ha toccato con mano, anzi ha vissuto nella sua carne tutte le difficoltà che l’Africa sta vivendo. Abbiamo un avvocato capace di capirci a fondo. Comboni ha sempre detto agli africani: “Siete come gli altri avete dei doni stupendi, tirateli fuori”.
Il miracolo che ha portato Comboni alla canonizzazione riguarda la guarigione di una donna musulmana che ha conservato la sua fede. Possiamo leggere in questo episodio un significato particolare che illumini il confronto – oggi così vivo- tra Cristianesimo e Islam?
È difficile rispondere. Bisogna considerare che anche i musulmani credono ai santi come uomini di Dio: se vedono che i cristiani, pregando un Santo, ottengono una grazia non si stupiscono. Comboni poi è molto conosciuto e rispettato dai musulmani, al punto che se chiedete a uno di loro dove si trova una Chiesa cattolica non sanno rispondere, ma se dite semplicemente “Comboni” te la indicheranno sicuramente.
Card. Gabriel Zubeir Wako