Le parole di Gesù, domenica scorsa, sottolineavano l'esigenza di "portare frutto": la Chiesa, vigna di Dio, non può essere decorativa, ornamentale, messa lì come oggetto di ammirazione. Deve "fare molto frutto". Oggi viene precisato in che cosa consista esattamente questo "portare frutto". Si tratta di frutti di amore, di carità. Cioè chi vive nel Cristo è cristiano deve recare frutti di bontà, di giustizia, di pace.

Come un fiume in piena!

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore
Giovanni 15,9-17

Il vangelo di questa sesta domenica di Pasqua è la continuazione di quello di domenica scorsa (“Io sono la vite e voi i tralci”). Siamo al capitolo 15 del vangelo di Giovanni. Si tratta della seconda delle tre ondate del discorso di addio durante l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli (cap. 13-14; 15-16; 17). Nel discorso di congedo di Gesù troviamo tutti i temi cari all’evangelista Giovanni. Questi capitoli (13-17) sono come la “magna carta” della vita cristiana, a cui bisognerebbe ritornare periodicamente per rileggere e ravvivare la nostra fede.

Vorrei soffermarmi su cinque parole/realtà che emergono dal brano del vangelo di oggi: Amore/amare, Comandamento/comandare, Padre, Amici e Gioia. Sono cinque “parole” che, in certo modo, riassumono la vita cristiana. Mi auguro che ognuno di noi, in un secondo momento, possa soffermarsi su quella parola che percepiamo nel nostro cuore, per un tocco dello Spirito, essere rivolta personalmente a noi.

1. L’amore di AGAPE

“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. La parola d’ordine di domenica scorsa era “rimanere”. Quella di quest’oggi è amore/amare, che troviamo ben 19 volte nelle letture (9 nel vangelo, 9 nella seconda lettura e 1 nel salmo) e più di una trentina di volte nella bocca di Gesù nel suo discorso di congedo. Nel greco (lingua in cui è stato scritto il nuovo testamento) troviamo un lessico molto ricco per esprimere l’amore/amare, con una grande varietà di sfumature, ma si adoperavano principalmente tre termini: eros, philia e agape.

  • Eros (έρως) è, per lo più, l’amore sensuale, passionale, sessuale;
  • Philia (φιλία) è l’amore di affetto, di amicizia, vicendevole, ricambiato tra amici;
  • Agape (αγάπη) è l’amore gratuito, disinteressato, incondizionato, altruistico, oblativo, smisurato e, quindi, spesso associato ad un amore spirituale. In latino viene tradotto con caritas.

Questo termine “agape”, piuttosto raro nel greco classico, è quello adottato dalla Sacra Scrittura per descrivere l’amore di Dio e la carità fraterna. Agape è la perfezione e sublimazione dell’amore. Nel nuovo testamento la radice di questo termine greco ricorre 320 volte (Gianfranco Ravasi). Agape è diventato l’espressione caratteristica della concezione cristiana dell’amore.

Ogni cristiano sa che “Dio è amore” (1Giovanni 4,7-10, seconda lettura) e che “Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai…” (Galati 5,14). L’amore smisurato a Dio e ai fratelli fa dire a Sant’Agostino: “Felice chi ama te, l’amico in te, il nemico per te.” (Confessioni, IV,9).

La parola “amore” è tanto usata ed abusata, sia nel linguaggio comune come nel nostro ambito ecclesiale, quanto logora. Credo che ci farebbe bene “fare digiuno” di questa parola per tentare di riscoprire il suo sapore genuino, andato perduto. A forza di parlare d’amore ci possiamo illudere di sapere amare. “Non si diventa ubriachi sentendo parlare di vino” (Isacco il Siro). Più che parlarne cerchiamo di lasciare che questa parola risuoni in noi, si renda “vera” per noi, per stupirci, meravigliarci, emozionarci fino alle lacrime: “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Giovanni 13,1, introduzione al discorso di addio). Accogliamo questo amore traboccante, senza resistenze, e lasciamoci travolgere da questo fiume in piena!

2. Il COMANDAMENTO

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.”; “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”. Strano a dirlo, la seconda “parola” che ricorre più spesso nel brano del vangelo di oggi è comandamento/comando. Ma si può comandare al cuore?! Sì e no! L’amore è dono, ma anche impegno, un’adesione e una decisione della volontà. Si può scegliere di vivere nell’amore o nel disamore, nell’indifferenza e perfino nell’odio. Questa scelta si fa spesso in modo inconscio.

Mentre l’amore eros è spontaneo e istintivo, l’amore agape, invece, va voluto e desiderato e, pertanto, “comandato” dalla ragione. Esso non sarà mai “naturale”. Ecco cosa intende Gesù con il suo “comandamento nuovo”!

3. Il PADRE

“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”. Il “Padre” appare qui quattro volte e più di una cinquantina nei capitoli 13-17. Gesù parla del Padre con amore e tenerezza, con l’esaltazione di un innamorato, e vorrebbe trasmetterci questa sua passione. È il Padre che si inginocchia davanti a noi, suoi figli, per lavarci i piedi, perché “chi ha visto me ha visto il Padre!”. È il Padre che, per l’unzione dello Spirito, rende belli i piedi dei suoi figli chiamati ad annunziare il Vangelo: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie.” (Isaia 52,7). Tutti i giorni invochiamo Dio come Padre, ma quanto la nostra immagine di Dio è stata evangelizzata? La peggiore conseguenza del peccato è quella di distorcere la nostra idea di Dio, che da Padre diventa padrone e giudice!

4. AMICI

“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici”. È una novità assoluta. Non siamo più servi, ma amici di Gesù, di Dio. L’amore agape ci può intimidire, tant’è alto e sublime, ma l’amore philia, invece, fa sussultare il nostro cuore. L’amore philia, di amicizia, è una via verso l’amore agape. Alla fine del vangelo di Giovanni (21,15-19) Gesù domanda a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami [ἀγαπᾷς με] più di costoro?”. Pietro risponde: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene [φιλῶ σε]”. Pietro non ha il coraggio di rispondere con lo stesso verbo “amare”, ma utilizza il verbo “essere amico”. Finché, alla terza volta, Gesù accetta di chiedergli un amore di amicizia: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Trovo particolarmente consolante questa condiscendenza di Gesù verso di noi, affamati di amore ma incapaci di amare alla misura di Dio. Sì, ti voglio bene Gesù che mi hai amato fino alla [tua] fine e, ne sono certo, mi amerai fino alla [mia] fine!

5. La GIOIA

“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. La gioia è il termometro dell’amore. Il tempo pasquale è il tempo della gioia. Apriamo il nostro cuore alla gioia di Pasqua. La gioia è un dono, ma pure una scelta. Sì, perché possiamo, purtroppo, rimanere nella tristezza, in un atteggiamento continuo di compianto, di mestizia e di insoddisfazione per la vita. Una Pasqua che non porta la gioia è una Pasqua mancata!

Preghiera di Madre Teresa per chiedere il dono dell’amore

Insegnami l’amore

Signore, insegnami a non parlare
come un bronzo risonante
o un cembalo squillante,
ma con amore.
Rendimi capace di comprendere
e dammi la fede che muove le montagne,
ma con l’amore.
Insegnami quell’amore che è sempre paziente
e sempre gentile;
mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso;
l’amore che prova gioia nella verità,
sempre pronto a perdonare,
a credere, a sperare e a sopportare.
Infine, quando tutte le cose finite
si dissolveranno e tutto sarà chiaro,
che io possa essere stato il debole
ma costante riflesso del tuo amore perfetto.
M. Teresa di Calcutta

Padre Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, maggio 2024

La gioia e la fatica

di aprirsi all’amore e alla Missione

Atti 10,25-26.34-35.44-48; Salmo 97; 1Giovanni 4,7-10; Gv 15,9-17

Riflessioni
Due domande di sempre: Dove trovare la gioia piena? - Qual è l’amore più grande? La risposta di Gesù è chiara e definitiva (Vangelo): nell’essere fedele a Dio e nel dare la vita per gli altri (v. 10-11.13). Sono parole di Gesù nella sua Pasqua grande, che, secondo il Vangelo di Giovanni, si apre con la “lavanda dei piedi” (13,1ss), gesto che ha un significato sacramentale ed eucaristico. Siamo all’inizio del Libro dell’Addio, che comprende i capitoli 13-17 di Giovanni, nei quali l’evangelista condensa temi molto cari alla sua teologia: parla con insistenza del servizio e del comandamento dell’amore, spiega il senso pasquale ed escatologico dell’esodo di Gesù, entra nei rapporti di Gesù all’interno della vita trinitaria, parla di Gesù che mostra il volto del Padre e dello Spirito Consolatore, raccoglie l’intensa preghiera di Gesù al Padre… Per Gesù sono ore dense di confidenze e di sfogo con i suoi amici (v. 15), ai quali si rivela come via-verità-vita, offre loro la sua pace, li invita ad avere fiducia, perché “io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

In tale contesto di addio, ricco di significato e di emozioni, l’insegnamento di Gesù sull’amore in tutte le dimensioni acquista uno speciale rilievo.

- Gesù parla anzitutto della sorgente primaria dell’amore in seno alla Trinità, l’amore del Padre, l’amore fontale (come afferma il decreto conciliare Ad Gentes 2): “come il Padre ha amato me...”;

- dal Padre l’amore si riversa nel Figlio, con la sovrabbondanza dello Spirito Santo;

- dal Figlio, nei discepoli: “anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (v. 9);

- dai discepoli l’amore si irradia verso tutti: “che vi amiate gli uni gli altri” (v. 12.17).

Gesù stesso si offre come misura, modello, ispirazione per l’amore più grande: lava i piedi dei suoi discepoli, dà “la sua vita per i propri amici” (v. 13), perdona e ama anche i suoi nemici. (*)

L’amore di cui parla Gesù ha chiare dimensioni missionarie, come si vede in due frasi che occorre leggere in parallelo: l’amore è missione, la missione è amore.

- “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore” (v. 9);

- “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi... ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,21-22).

Amore e missione vanno strettamente insieme: la missione nasce dall’amore, l’amore porta alla missione. Tutto ciò nel segno e con la forza dello Spirito d’amore. Giovanni (II lettura) rafforza lo stesso insegnamento, facendo leva sull’origine divina dell’amore: “amiamoci... perché l’amore è da Dio: perché Dio è amore…; È Lui che ha amato noi” (v. 7.8.10).

Amare fino a dare la vita per gli altri! È l’amore più grande, è l’amore dei martiri. E di tanti altri cristiani, missionari e non. Uno dei 7 monaci trappisti, uccisi a Tibhirine (Algeria, 21 maggio 1996) da alcuni fondamentalisti, lasciò scritta questa testimonianza: “Se arriverà un giorno - e potrebbe essere oggi stesso - in cui cadrò vittima del terrorismo, che sembra voler ingoiare tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita è donata a Dio e a questo Paese” (Christian de Chergé). E Fr. Luca, un altro dei monaci della stessa fraternità trappista (nel film è il medico) lasciò scritto: “Se si vuole essere felici, si va diritti verso la delusione, verso l’infelicità. Se vuoi essere felice, rendi felice qualcuno”.

L’amore di Dio è per tutti; quindi la Missione dei cristiani è aperta a tutti i popoli. Questa universalità dell’azione missionaria della Chiesa emerge in tutta la vicenda della conversione del centurione pagano Cornelio (I lettura), come spiega molto bene Augusto Barbi, teologo biblista di Verona. Con fatica la Chiesa si è aperta ad accogliere i pagani. Nel libro degli Atti, l’episodio di Cornelio costituisce un tornante decisivo in tale apertura. Lo spazio dedicato a questo episodio (ben 66 versetti!) e la ripetitività di alcune parti del racconto testimoniano della sua importanza, ma anche della fatica con cui avviene la progressiva integrazione dei pagani nella Chiesa. San Pietro sviluppa riflessioni basilari proprie della teologia missionaria sul tema della salvezza per qualsiasi persona: “Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (v. 34-35). Al di là delle belle riflessioni di Pietro e compagni, colui che risolve veramente il problema è lo Spirito Santo, che scende su tutti i presenti: fedeli e pagani (v. 44-45), aprendo in tal modo anche per questi ultimi la porta del battesimo (v. 47-48).

Le resistenze della prima comunità cristiana - comprese le esitazioni dello stesso Pietro - sono dovute alla differenza culturale-religiosa degli interlocutori e alla cristallizzazione di pregiudizi legati alle solite paure del nuovo e del diverso. Non è difficile vedere nei personaggi e nella storia di Cornelio un paradigma e un orientamento significativo per l’oggi della Chiesa, che si trova con frequenza ad affrontare le sfide della diversità etnica-culturale-religiosa dei popoli, con il compito di aprirsi continuamente all’universalità e alla missione, con l’impegno dell’accoglienza, integrazione ed evangelizzazione di nuovi gruppi umani. Migranti e non. Accettati, o rifiutati e respinti!

Parola del Papa

(*) «Tutta l'attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell'uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell'attività umana. Amore è pertanto il servizio che la Chiesa svolge per venire costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni, anche materiali, degli uomini».
Benedetto XVI
Enciclica Deus Caritas est (25.12.2005) n. 19

P. Romeo Ballan, MCCJ

Invitati ad amare come Dio ama noi

At 10,25-27.34-35.44-48; Salmo 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

Le parole di Gesù, domenica scorsa, sottolineavano l'esigenza di "portare frutto": la Chiesa, vigna di Dio, non può essere decorativa, ornamentale, messa lì come oggetto di ammirazione. Deve "fare molto frutto". Oggi viene precisato in che cosa consista esattamente questo "portare frutto". Si tratta di frutti di amore, di carità. Cioè chi vive nel Cristo è cristiano deve recare frutti di bontà, di giustizia, di pace.

"Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati...". L'amore costituisce, quindi, l'impegno fondamentale dei discepoli di Cristo. Se il cristiano si rivela incapace di amore, è un fallito; altrettanto se la Chiesa non brilla come testimone permanente e credibile di carità, giustizia, attenzione ai deboli, oppressi e poveri, è una vigna sterile.

"Come il Padre ha amato me, così anch' io ho amato voi, Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore". L'amore del Padre è la fonte e il modello dell'amore che, tramite Gesù, raggiunge i discepoli. La condizione per restare in questo amore è "osserva" i comandamenti di Gesù come Egli osserva quelli del Padre. E in questo caso Gesù appare la fonte e il modello dell'osservanza dei comandamenti per restare nell' amore, cioè di fedeltà estrema.

I comandamenti poi, si riducono in un comando unico, quello che riassume tutto e rappresenta la sintesi e lo spirito della Legge: l'AMORE. Si tratta proprio di un programma di vita per i cristiani. Il Cristo ci ha amati abbassandosi, svuotandosi, diventando "servo" di Dio (nel senso di uomo di fiducia, fedele e giusto) e "servo" di tutti. Dobbiamo anche noi "uscire" da noi stessi, dal nostro egoismo, dai nostri calcoli ed interessi, per scendere fino all' altro, e impossessarci (con empatia) della sua situazione, dare se stessi (più che delle cose), dimenticarsi e perdersi. È così che ci si mette alla scuola di Gesù Maestro (che ha "dato la vita per propri amici"). Considerando tutto , possiamo accorgerci di essere "analfabeti" in fatto di amore cioè principianti che chiamano amore ciò che è semplicemente egotismo verniciato di buoni sentimenti.
Don Joseph Ndoum

La strada principale

Giovanni 15, 9-17

Pregando sul vangelo di questa domenica, sono rimasto prigioniero di due parole, Gioia e Amore. Le parole di Gesù sono di grande consolazione e tutti ne abbiamo bisogno: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Una gioia che non dipende dalle circostanze della vita, ma è profonda esperienza dello Spirito. Il dono di sentirsi amati.

Noi potremmo camminare dentro la Parola di Dio e i secoli del cristianesimo attraverso la strada della gioia. È la strada principale. Lo disse Gesù leggendo la storia: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8, 56).

«Possa tu avere molta gioia!» (Tb 5, 11). Come sarebbero più belle le nostre chiese e le nostre case, se ci ripetessimo più spesso queste parole che l’angelo rivolse a Tobia all’inizio della nuova vita del figlio. Gesù parla spesso della gioia e anche prega per i suoi discepoli: «Perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17, 13). Li rasserena come fa la mamma con il suo bambino perché la loro tristezza si cambierà in gioia quando lo vedranno risuscitato.

Sì è la strada della gioia, quella più vera, quella della Chiesa, quella del vangelo, di milioni di pellegrini lungo i secoli. Pensiamo alla gioia dell’Attesa, così importante in questi tempi di pandemia: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce […]. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9, 1-6).

E poi ecco la gioia di Natale, annunziata dall’angelo, sperimentata dai pastori e dai magi, vissuta dal vecchio Simeone e dalla profetessa Anna. E poi finalmente la pienezza della gioia a Pasqua. Maria Maddalena, gli apostoli, i discepoli di Emmaus: «Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli» (Mt 28, 8): «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20, 20).

Nella notte di Pasqua la Chiesa vive la gioia del suo Signore con il canto dell’Exultet, dove cielo e terra esultano insieme. Nell’oggi perenne della Chiesa viviamo in noi una perenne Pentecoste, la gioia dello Spirito Santo che ci guida e ci sostiene.

La vita anche se sempre non è facile, sempre può essere felice perché sotto la tristezza di tanti nostri giorni, nascosto in qualche angolo dentro di noi, c’è un tesoro prezioso che dobbiamo cercare con la lampada dello Spirito, l’Amore del Padre. Nessun dolore, nessuna difficoltà, nessun male della vita sarà mai più forte dell’amore del Padre. Un Padre misericordioso che ci vuole più felici che fedeli, suoi amici e non servi.

Noi dobbiamo osservare il comandamento dell’Amore, altrimenti la nostra osservanza potrebbe essere per paura, per far carriera, per calcolo, o anche per sensi di colpa. Lasciarsi amare da Lui è il primo passo nel cammino della vita. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12).

Questa Parola è la semplicità è la mitezza, è il cuore della “rivoluzione” cristiana. Ribalta tutti i tavoli, manda per aria i progetti di ogni potere che si illude di avere in mano il mondo. Dobbiamo però essere umili e vigilanti perché la “mondanità” che è il contrario dell’Amore si oppone al vangelo, e lo contrasta fin dentro la Chiesa nel cuore di ciascuno di noi. In un attimo si passa da amare secondo la misura del cuore di Dio, ad amare se stessi e quello che più conviene. Chiediamo al Signore e al Suo Spirito, di essere persone che vogliono bene, così semplicemente senza condizioni e tornaconti, per aiutarci gli uni gli altri a camminare verso la visione del volto del Padre che Gesù ci ha rivelato.
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]