«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni». Chi dice “Ecco” attira l’attenzione del proprio interlocutore su una cosa. Intende indicargli un che di evidente e apprezzabile, eppure non scorto; forse per distrazione, superficialità, ovvero perché chi è richiamato all’attenzione è completamente requisito da altre situazioni, pensieri e faccende.

Matteo 28, 16-20

«Ecco»

«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni». Chi dice “Ecco” attira l’attenzione del proprio interlocutore su una cosa. Intende indicargli un che di evidente e apprezzabile, eppure non scorto; forse per distrazione, superficialità, ovvero perché chi è richiamato all’attenzione è completamente requisito da altre situazioni, pensieri e faccende.

Il Risorto dice ai suoi «Ecco». Dove attira la loro attenzione? Cosa indica come lampante e tuttavia non considerato? La sua presenza, la sua compagnia. «Dissi: “Eccomi, eccomi” a una nazione che non invocava il mio nome», lamenta il Signore per bocca del profeta Isaia (Is 65, 1). Agli occhi del Risorto, non ci accorgiamo della indubitabile fortuna, del felice destino della sua presenza reale, viva, efficace, vibrante di incomprensibile premura. Calamitati dal passato della Chiesa, o stregati dal suo futuro, non sentiamo l’operosa vicinanza del Vivente nel chiaroscuro dei nostri giorni.

«Io sono con voi tutti i giorni». Sì. In quelli solari, in quelli piovosi e perfino in quelli col cielo bianco che nasconde il sole e non regala la pioggia. Nei sabati pieni di attesa, nelle domeniche del compimento, nei lunedì faticosi, nei venerdì dai misteri dolorosi, nei mercoledì e giovedì che ci trovano in mezzo al guado. Nei giorni vittoriosi, dove l’anima si espande per santità, e in quelli dove si ritrova rattrappita per i peccati. «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni». Non ce ne accorgiamo?
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Romano]

Perché Dio ha tanto amato il mondo

Dt 4,32-34.39-40; Salmo 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

La collocazione della festa dello S. Trinità dopo il grande evento pasquale non intende essere la celebrazione di un particolare mistero cristiano, ma la celebrazione delle radici di tutto; intende riconoscere, per adorare e ringraziare, il protagonista della salvezza: Dio che è Padre, Figlio e Spirito, tre persone in una sola ed identica comunione di vita.

La S. Trinità è un mistero, non nel senso di un enigma, qualcosa di oscuro, un insulto alla ragione. Mistêrion viene da un verbo greco che significa chiudere la bocca. Nella letteratura cristiana il mistero corrisponde ai segreti divini riguardando il disegno eterno della salvezza. Quello che viene sottolineato, non è l’aspetto impenetrabile alla ragione, ma l’aspetto di rivelazione. Il mistero trinitario, appunto, in una prospettiva esistenziale e relazionale, ci rivela il mistero di Dio ad intra, cioè in se stesso, che supera i limiti della ragione umana.

Ogni persona divina rivela se stesso rivelando le altre due: per esempio, il Padre si manifesta quando proclama che Gesù è il Figlio diletto invia su di lui il suo Spirito; o il Figlio si manifesta quando invoca il Padre con il dolce nome di Abba e gli rende lode “esultando nello Spirito”.

I primi cristiani avevano, quindi, scoperto che le tre persone divine erano in pieno amore e comunione, e che avevano preso l’iniziativa di coinvolgere nel loro amore anche le creature umane. Hanno allora lasciato che la Trinità invadesse la loro vita: pensiamo al segno della croce nel nome del Padre... che apre e chiude ogni preghiera; al Gloria al Padre...; o al credo; siamo anche battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Siamo così chiamati a lasciarci coinvolgere dall’ amore delle persone della S. Trinità. Dio – amore, nella sua dimensione trinitaria, si vuole modello delle famiglie e della nostra società umana.

Il cristiano che crede di vivere questo mistero di amore, rigettando ogni egoismo individualistico, ogni ripiegamento su se stesso; deve diventare l’immagine autentica di un Dio che è relazione e comunione di persone.

Come dice Sant’ Agostino, “puoi avere tutto ciò che vuoi. Ma se ti manca l’amore il resto non ti serve a nulla”. Dio ci ha amati per primo inviandoci suo Figlio come fratello, amico e salvatore. Siamo ormai inseriti in questa spirale di amore, quindi dobbiamo amare Dio e i fratelli con lo stesso amore. E’ quest’amore di Dio che infatti fonda l’amore fraterno, il quale a sua volta, come dice Paolo, deve autenticare la fede.
Don Joseph Ndoum

Dalla Trinità alla Missione
Per amore!

Dt 4,32-34.39-40; Sl 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

Riflessioni
L’amore innerva e anima la vita di Dio e la vita dell’uomo. Per una volta, la matematica qui non funziona: 1+1+1 = 1; non solo 1, ma 1 e 3. Perché il nostro Dio, uno e trino, è amore. E l’amore è condivisione, è unità avvolgente. Infatti, “la carità, dal cuore di Dio attraverso il cuore di Gesù Cristo, si effonde mediante il suo Spirito sul mondo, come amore che tutto rinnova” (Benedetto XVI). Perché “Dio è amore” (1Gv 4,8). Non ci sono parole più sublimi per parlare di Lui. Con la sola mente umana noi conosciamo poco di Dio; ciò che sappiamo di Lui ce l’ha rivelato Gesù. Egli non ha usato concetti o formule, ma ci ha raccontato la Sua esperienza personale e che cosa Dio ha fatto per noi. Ci ha raccontato di un Dio-Papà che ama tutti, perdona chi ha sbagliato, rialza chi è caduto; ci ha raccontato della Sua intimità come Figlio, nella preghiera prolungata e nella sofferenza; della presenza amica dello Spirito consolatore che ci guida e ci dà forza. Per Gesù la Trinità non è un mistero da spiegare ma da incontrare, da abbracciare e vivere.

Con una certa facilità i manuali di catechismo sintetizzano il mistero divino dicendo che “Dio è uno solo in tre Persone”. Con questo è già detto tutto, ma tutto resta ancora da capire, da accogliere con amore e adorare nella contemplazione. Il tema ha un’importanza centrale anche sul fronte missionario. Infatti, con facilità si afferma che tutti i popoli - anche i non cristiani - sanno che Dio esiste, quindi anche i pagani credono in Dio. Questa verità condivisa - pur con differenze e riserve - è la base che rende possibile il dialogo fra le religioni, e in particolare il dialogo fra i cristiani e altri credenti. Sulla base di un Dio unico comune a tutti, è possibile tessere un’intesa fra i popoli, in vista di azioni concordate a favore della pace, in difesa dei diritti umani, per realizzare progetti di sviluppo… Ma questa è soltanto una parte dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, la quale è chiamata a offrire al mondo un messaggio che ha contenuti di novità e obiettivi di maggior portata.

Per il cristiano, infatti, non è sufficiente fondarsi su un Dio unico, e tanto meno lo è per un missionario cosciente della straordinaria rivelazione ricevuta per mezzo di Gesù Cristo; rivelazione che abbraccia tutto il mistero di Dio, nella sua unità e trinità. Il Dio cristiano è uno, unico ma non solitario. Il Vangelo che il missionario porta al mondo, oltre a rafforzare e perfezionare la comprensione del monoteismo, apre all’immenso e sorprendente mistero di Dio, che è comunione di Persone.

«Per penetrare nel mistero di Dio i musulmani hanno il Corano, dal quale ricavano i 99 nomi di Allah; il centesimo rimane indicibile, perché l’uomo non può comprendere tutto di Dio. Gli ebrei scoprono il Signore attraverso gli avvenimenti della loro storia di salvezza, meditata, riscritta e riletta per secoli, prima di essere consegnata, molto tardi, nei libri santi. Per i cristiani il libro che introduce alla scoperta di Dio è Gesù Cristo. Egli ‘è il libro aperto a colpi di lancia’, è il Figlio che, dalla croce, rivela che Dio è Padre e dono d’Amore, Vita, Spirito» (F. Armellini). Infatti, il Dio rivelato da Gesù è soprattutto Dio-amore (cfr. Gv 3,16; 1Gv 4,8). È un Dio unico, ma relazionale, in comunione di Persone. Un Dio che dona se stesso per la vita della famiglia umana.

Tendenzialmente, il Dio delle religioni non cristiane è spesso lontano, vive nel suo mondo, per cui bisogna renderselo propizio con pratiche religiose e sacrifici di ogni genere. Invece, il Dio della Bibbia si rivela a noi soprattutto come Dio misericordioso e pietoso, “ricco di misericordia” (Ef 2,4); un Dio amico e protettore, che ama vivere in relazione, un Dio vicino, presente (I lettura), che si è impegnato a fianco del suo popolo con segni e prodigi (v. 34). Non è un dio geloso o rivale dell’uomo, ma un Dio che vuole che “sia felice tu e i tuoi figli” (v. 40). C’è di più: è un Dio che ci chiama a sé, ci fa suoi figli ed eredi, ci coinvolge nel suo piano, donandoci il suo Spirito (II lettura, v. 16-17).

Questo è il vero volto di Dio che tutti i popoli (Vangelo) hanno il diritto e il bisogno di conoscere dai missionari, secondo il comando di Gesù: Andate, fate discepoli, battezzate, insegnate... (v. 19-20). Per questo, il Concilio afferma: “La Chiesa pellegrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il progetto di Dio Padre” (Ad Gentes 2). Il dono del Dio vero, uno e trino, è per tutte le nazioni: è una novità che arricchisce tutte le culture, è un tesoro che i cristiani hanno il diritto e il dovere di condividere con tutti. Per amore! Perché la Chiesa non si impone con la forza o con il proselitismo; si propone con amore gratuito e il servizio gioioso. «La Chiesa si sviluppa per ‘attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione» (Benedetto XVI). (*)

Per questa missione, Gesù si è impegnato a essere l’Emmanuele: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni” (v. 20). Egli cammina accanto a ciascuno per le strade del mondo. Con tale certezza, la Chiesa oggi ci fa pregare, perché “diventiamo annunciatori della salvezza offerta a tutti i popoli” (Colletta).

Parola del Papa

(*) «L’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma ‘per attrazione’».
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013) n. 14

Sui passi dei Missionari

30   S. Giuseppe Marello (1844-1895), vescovo di Acqui Terme (Piemonte), fondatore degli Oblati di S. Giuseppe, per la formazione morale e cristiana della gioventù.

30   Giornata del Sollievo, istituita in Italia nel 2001 (si celebra l’ultima domenica di maggio) per «promuovere la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale».

31   Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria alla parente Elisabetta, in un incontro di fede e di lode al Signore.

1     S. Giustino, martire (inizio II sec-165 c.), laico palestinese nato in Samaria, filosofo, apologeta e studioso dell’ellenismo. Attratto dai profeti d’Israele, trovò in Cristo la verità. Dopo il battesimo a Efeso, giunse a Roma, dove scrisse due Apologie in difesa dei cristiani. Fu decapitato con altri sei compagni di fede, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. Scrisse: «Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina, a quella dei cristiani».

·     B. Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), vescovo di Piacenza (Italia), visitò cinque volte le 365 parrocchie della diocesi. Nel 1887 fondò la congregazione dei Missionari di san Carlo Borromeo (conosciuti come Scalabriniani), e nel 1895 l’istituto delle Suore Missionarie di san Carlo, ambedue per l’assistenza pastorale agli emigrati in America. (Vedi 1/7).

 ·    S. Annibale Maria Di Francia (1851-1927), sacerdote siciliano di Messina, apostolo della preghiera per le vocazioni, e fondatore dei Rogazionisti del Cuore di Gesù e delle Figlie del Divino Zelo.

·     Nel 1867 don Daniele Comboni, a 36 anni, fondò a Verona l’Istituto per le Missioni della Nigrizia, primo nucleo del futuro Istituto, detto poi dei Missionari Comboniani. Nel 1872 fondò a Verona anche l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia. (Vedi 1/1).

2     Bb. 7 vescovi Greco-Cattolici Romeni (anni 1950-1970). Arrestati e detenuti dapprima in conventi trasformati in prigione, poi in carceri veri, senza mai rinnegare la fede restarono in comunione con la Chiesa di Roma. Il 19 marzo 2019, Papa Francesco li ha dichiarati martiri e li ha proclamati beati il 2 giugno 2019, durante il suo viaggio apostolico in Romania. I loro nomi: Vasile, Valeriu, Ioan Suciu, Tit, Alexandru, Iuliu, Ioan Bălan. 

·     SdD. Patrick Peyton (1909-1992), sacerdote irlandese, emigrato negli Stati Uniti, fu apostolo della Crociata del Rosario in famiglia e attraverso i social media. Diceva: «La famiglia che prega unita rimane unita».

·     Nel 1537 Papa Paolo III condannò la schiavitù con la bolla pontificia Sublimis Deus.

3     Ss. Martiri dell’Uganda – Carlo Lwanga e altri 21 compagni, uccisi – alcuni arsi vivi – fra il 1885 e il 1886 a Namugongo e nei pressi di Kampala, in particolare per essersi rifiutati di accondiscendere ai desideri omosessuali del re (13 di essi erano suoi paggi). Assieme a loro, furono uccisi altri 23 giovani di confessione anglicana e 62 musulmani. Paolo VI, durante il suo viaggio in Uganda (1969), parlando ai leader musulmani, disse: «E come non associare alla testimonianza dei martiri cattolici e protestanti la memoria di quei confessori della fede musulmana, che sono stati i primi, nel 1848, a pagare con la vita la fedeltà alla loro religione?»

·     Ricordo di fra’ Juan de Zumárraga (1476-1548), francescano spagnolo, primo vescovo di Messico (1530), e di altri francescani, fra i quali: Pedro de Gand e i ‘12 Apostoli’. Altri grandi evangelizzatori del Messico furono: Bartolomé de las Casas, domenicano (cfr. 18/7), Eusebio Francesco Kino, gesuita (cfr. 15/3), Vasco de Quiroga (cfr. 14/3) e altri. Annunciarono il Vangelo, facendo promozione umana e lottando per la difesa dei diritti degli indios.

·     Ricordo di Mons. Luigi Padovese (1947-2010), frate cappuccino milanese, docente e studioso dei Padri della Chiesa, vescovo vicario apostolico dell’Anatolia. Promotore del dialogo ecumenico con la Chiesa ortodossa e interreligioso con il mondo islamico, era una personalità di alto profilo morale. Sapeva di essere a rischio, ma ripeteva: «L’amore è più forte della morte». Fu ucciso a Iskenderun (Turchia) dal suo autista, ma il movente e i mandanti sono ancora ignoti.

4     S. Pietro da Verona (c. 1205-1252), martire domenicano, ucciso da eretici sulla strada Como-Milano. È compatrono di Verona, che lo celebra oggi. (Vedi 10/4).

·     Bb. 10 martiri del Quiché” (Guatemala): padre José María Gran Cirera (1945-1980), sacerdote spagnolo dei Missionari del Sacro Cuore (Msc) e 9 compagni: altri 2 sacerdoti Msc spagnoli (Faustino Villanueva Villanueva e Juan Alonso Fernández); e 7 laici guatemaltechi: Domingo, Tomás, Reyes, Rosalío, Nicolás, Miguel, Juanito, che erano catechisti, sacrestani, un ragazzo e altri attivisti dell’Azione cattolica, quasi tutti sposati. Sono stati uccisi dal regime militare, tra il 1980 e il 1991, nel corso di una prolungata e sistematica persecuzione contro la Chiesa in quanto impegnata nella tutela della dignità e i diritti dei poveri. (Vedi altri martiri in Guatemala: 13/2; 26/4; 1/7; 28/7).

·     Ricordo di Afonso Mwembe Nzinga, re del Kongo (s. XV), primo sovrano dell’Africa centrale a ricevere il Battesimo (1491). Nel 1518 suo figlio Enrico diventò il primo vescovo nero dell’Africa subsahariana.

5     S. Bonifacio (675-754), martire, monaco benedettino inglese. Con un gruppo di monaci e di monache, partì come missionario in Germania, dove operò numerose conversioni e organizzò la vita ecclesiale. Nominato dal Papa vescovo di Magonza, fu ucciso da briganti durante una missione tra i Frisoni in Olanda. È patrono della Germania ed è sepolto nella cattedrale-monastero di Fulda.

·     Giornata mondiale dell’Ambiente, indetta dalle Nazioni Unite nel 1972.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)

Sito Web:   www.comboni.org    “Parola per la Missione”

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

La montagna e il nome di Dio

Commentario a Mt 28, 16-20

Questa domenica dedicata alla Santissima Trinità è, in qualche modo, il punto algido dell’anno liturgico. Al discepolo missionario, che cerca d’identificarsi con Gesù Cristo, è offerta, nell’adorazione e nella contemplazione, un’approssimazione al mistero di Dio, realtà che lui è più intima della propria intimità (Secondo Santo Agostino) e, allo steso tempo, lo supera in tutte le dimensioni. La Chiesa ci fa leggere oggi gli ultimi versetti del vangelo di Matteo, nei quali, quasi per caso, sono nominati il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Vi propongo di meditare brevemente su alcuni concetti che troviamo in questi ultimi versetti di Matteo:

1. Salire sulla montagna

Gesù trova i suoi discepoli su una montagna di Galilea. Sembra un’annotazione geografica senza maggiore importanza, ma non credo che così sia. Tutti noi siamo in qualche senso segnati dalla geografia. Al meno io posso dire che alcune montagne hanno lasciato un chiaro segno nella mia vita personale. Penso, per esempio, ai maestosi pichi del Sinai, che mi hanno aiutato a capire come Mosè ed Elia hanno potuto esperimentare l’ineffabile presenza del Dio  (Es 19, 20; 1Re 19,8); penso anche all’imponente Machu Pichu (Peru), dove ho avuto l’impressione di trovarmi al centro della Terra e di entrare in comunione con gli antichi peruviani… Di fatto, per molte religioni e culture, la montagna è il luogo della manifestazione di Dio (teofania). E si può capire, poiché la montagna mi aiuta ad andare oltre a me stesso, uscire dalla routine e la superficialità, cercare il più alto livello di coscienza personale… Ed è precisamente qui, nel più alto livello della mia coscienza, che Dio si manifesta, con una presenza che difficilmente può essere espressa in parole, ma che uno percepisce come molto reale e autentica.

Gesù, da parte sua, andava continuamente sulla montagna, solo o con i discepoli, attingendo, in quanto figlio di Maria, il più alto livello di coscienza e comunione con l’Amore Infinito; e tal esperienza è diventata uno straordinario dono per noi, suoi discepoli e fratelli. Nella sua sequela, anche noi abbiamo bisogno di salire continuamente sulla “montagna” della nostra coscienza, con l’aiuto di un “luogo” che ci inviti a superare la routine, il rumore e la superficialità.

2. Adorazione e dubbio

Davanti a un Gesù che si manifesta nella “montagna”, nella quale s’identifica come Figlio con Dio, i discepoli esperimentano un doppio movimento di adorazione e di dubbio. Da una parte, sentono il bisogno di prostrarsi e riconoscere questa presenza della Divinità nel Maestro e Amico, perché soltanto nell’adorazione noi possiamo avvicinarci al mistero di Dio; le parole non servono e a volte quasi sembrano diventare una “blasfemia”, nel senso che nessuna parola può contenere questa realtà che uno appena riesce a intravedere dalla profondità della coscienza. Per questo, assieme a un senso di gioia e adorazione, i discepoli esperimentano anche lo sconcerto e il dubbio: sono consci che per loro non è possibile attingere a Dio e che tutte le nostre parole e concetti al rispetto sono limitati e, in un certo senso, anche falsi. Tutti i nostri concetti su Dio sono inadeguati e devono essere costantemente corretti, con l’aiuto del dubbio che ci obbliga a non “sederci” e accontentarci con quello già acquisito e apparentemente capito, per andare sempre oltre. Dio ci aspetta sempre più avanti sulla strada della vita e dalla storia.

3. Il nome di Dio

I popoli, le culture e le religioni cercano “a tastoni”, il mistero di Dio, imponendogli diversi nomi secondo le proprie esperienze culturali. Israele, da parte sua, ha sempre preferito rinunciare a imporre un nome a Dio, perché ha capito che Lui è l’innominabile. Quando uno da un nome a una cosa, in qualche modo, ne prende possesso e la manipola. Ma Dio non può essere oggetto di possessione né manipolato. Di fatto, neanche Gesù da un nome a Dio. Quello che Gesù fa è parlare di Dio come Padre, della sua identificazione con Lui come Figlio e dello Spirito che condividono; e manda i discepoli a battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Quando battezziamo, in sintonia con questo mandato, non stiamo imponendo un nome a Dio, ma, nel suo nome, siamo consacrati per diventare parte di questa “famiglia” divina. Noi – e tutta l’umanità- siamo chiamati a entrare in comunione con il mistero divino, fatto di relazioni e di amore.

4. Dio-Comunione

Le religioni più importanti sono arrivate al concetto di un Dio unico, il che è un passo rilevante nella storia dell’umanità. Ma Gesù, dalla “montagna” della sua coscienza, ci insegna che Dio, essendo unico, non è “monolitico” ma plurale; non è “solitario” ma comunitario. Allo stesso modo, noi, creati a immagine di Dio, siamo fatti per vivere in comunione. Nessuno di noi è completo in se stesso, ma ha bisogno degli altri per realizzare l’immagine di Dio Padre-Figlio-Spirito. Quando uno nega un membro della comunità, nega Dio. Adorare Dio è accoglierlo nel santuario della propria coscienza e nella realtà concreta di ogni essere umano, nella sua meravigliosa singolarità e diversità.

P. Antonio Villarino
Bogotà